
Not Okay: che significa essere okay – Recensione del film con Zoey Deutch e Dylan O’Brien
Titolo: Not Okay
Genere: commedia
Anno: 2022
Durata: 1h 40m
Regia: Quinn Shephard
Sceneggiatura: Quinn Shephard
Cast principale: Zoey Deutch, Mia Isaac, Dylan O’Brien, Nadia Alexander
Sempre più spesso capita di leggere dei disclaimer all’inizio di un film e Not Okay si accoda a questa recente usanza. Lo fa a modo suo perché il film è una commedia e non tocca argomenti delicati quali suicidio o violenze che normalmente motivano l’avviso iniziale. Quel disclaimer diventa stavolta un mezzo inusuale, ma efficace di presentare la protagonista. Di avvertirci: non è una bella persona. Anzi.

Una protagonista adorabilmente detestabile
Disponibile dal 29 Luglio su Disney+, Not Okay è una commedia semplice che nasconde dietro una ostentata leggerezza una critica feroce al mondo dei social. Un tema non del tutto originale e, anzi, recentemente quasi abusato, ma che qui viene affrontato con un tocco comedy che permette al discorso di essere sincero e spietato senza però mai farsi banale e noioso. Un modo di parlare allo spettatore non usando concetti astratti e respingenti, ma mostrandogli esempi concreti lasciando che sia lui a decidere se imparare qualcosa. Not Okay non rinnega la sua natura comedy, ma neanche fa sconti nell’esporre la propria condanna di un certo mondo. Solo, non si preoccupa di convincere gli altri di essere nel giusto. Un film a cui non interessa avere ragione e che perciò può prendersi la libertà di non dimostrare di essere nel giusto.
Scritto e diretto da Quinn Shephard, alla sua prima prova da regista dopo essersi fatta apprezzare come attrice in The Miseducation of Cameron Post, Not Okay vive della sua protagonista Danni. Una ragazza impiegata in un’agenzia che si occupa di promuovere l’immagine di influencer con il sogno di diventare influencer lei stessa o almeno una scrittrice. O quantomeno di attirare l’attenzione dell’adorato Colin. E, invece, a Danni va tutto al contrario di come desidererebbe. Il capo intende licenziarla. I colleghi la emarginano. La madre preferisce andare al circolo del libro invece che incontrarla. Si potrebbe pensare ad una vittima di bullismo e ad una storia triste in arrivo. Ma è l’esatto contrario.
Perché la verità è che Danni si merita tutto questo. È talmente superficiale da credere di avere il diritto di essere triste perché era in gita su uno yacht durante gli attentati alle Torri Gemelle e si è quindi persa l’occasione di vivere il dramma in diretta. Scambia le manifestazioni a favore dei diritti LGBT per feste a cui si è fortunati a partecipare. Vede i genitori come bancomat da cui prelevare soldi quando serve o come camerieri a cui ordinare la cioccolata con i marshmellow. Sbaglia tenacemente i nomi degli unici che provano a essere suoi amici perché la loro opinione non le interessa. Si preoccupa di come appare su Instagram atteggiandosi ad adolescente quando è ormai fuori tempo massimo.
Not Okay ci presenta una protagonista che non ha niente di positivo e che non si può che condannare su tutta la linea. Ma lo rende così volutamente estremo da farne una caricatura inconsapevole di cui non si può non sorridere. Un cattivo per lo più innocuo che è adorabilmente detestabile.


Quanto costa un like
Da un personaggio simile è lecito attendersi che non si faccia alcun tipo di problema pur di ottenere un like in più all’ennesima foto su Instagram. Anche fingere di essere a Parigi esultando per il mi piace dell’adorato Colin. Che per sostenere questa bugia sia poi costretta a inventarne una ancora più grande è parte del gioco della commedia. Ma che quest’ultima si riveli la mossa vincente che la trasformerà da influencer wannabe in star del momento e musa ispiratrice di un intero movimento d’opinione è la storia del sassolino che rotolando sulla neve diventa valanga.
È in questo momento che Not Okay inizia a nascondere in piena vista le sue critiche sarcastiche ad un certo modo di intendere la presenza sui social. Le trovate improbabili di Danni aggiungono sempre nuovi piani ad un castello di bugie sotto le cui mura sempre più gente è felice di accalcarsi per osannare la nuova principessa. La falsità dei modi di Danni è talmente evidente che è spontaneo per lo spettatore sorridere della dabbenaggine di chi ci casca.
Ed in quel additare la stupidità altrui non si rende conto quanto egli stesso sia stato, sia e sarà un fratello delle stesse persone di cui sta ridendo. Non sarà Danni e il suo hashtag rubato ad altri. Ma magari ha appena finito di parlare in corsivo, di postare l’ultimo video di qualche challenge, di editare la foto da postare su Instagram, di copiare qualche frase poetica senza sapere neanche chi sia l’autore.
Not Okay ci lascia ridere di Danni per ricordarci che spesso si sorride di chi fa dei nostri difetti una caricatura estrema. Ci concede la possibilità di criticare le sue azioni inaccettabili suggerendoci che può farle perché sa che ci piaceranno. Eleva noi spettatori su un piedistallo da cui giudicare Danni per sottolineare quanto normalmente saremmo accanto a lei e con lei se nessuno ci avesse fatto salire lassù. Andy Warhol aveva profetizzato quindici minuti di celebrità per tutti. I quindici minuti sono diventati quindici milioni di views e Not Okay viene a dirci che il mondo è pieno di Danni che pretendono il diritto di averli almeno per una volta, costi quel che costi.
E che quelle persone sono proprio le stesse che hanno appena criticato Danni.


Una critica al come e non al cosa
Sarebbe, tuttavia, sbagliato accusare Not Okay di voler demonizzare il mondo dei social. Non è il cosa ad essere condannato, ma il come. Ed è per questo che particolare importanza ha il personaggio di Rowan. Non solo perché permette a Danni di trovare gli argomenti con cui alimentare la propria fama posticcia. Ma soprattutto perché è una figura complementare a quella della protagonista. Non una asceta fuori dal mondo, ma una persona che degli stessi social ha fatto uno strumento proprio come fa Danni. Banalmente, non è l’auto a portarti contro un muro, ma chi la guida. E a Rowan interessa andare dove splende il sole della solidarietà e dell’altruismo. Ci arriva essendo semplicemente sé stessa come a dire che il segreto del successo dopotutto è non importarsene di raggiungerlo.
Not Okay è un’opera prima e come tale non può essere perfetta. Lo si vede in un eccesso di didascalismo per quanto probabilmente voluto. La sceneggiatura sembra alle volte voler sottolineare troppo punti che lo spettatore può cogliere da solo, mentre alcune scene danno l’impressione di essere state aggiunte solo per allungare il minutaggio complessivo. Conservativa è poi la scelta di una regia semplice e lineare conseguenza inevitabile dell’essere Quinn Shephard al suo esordio dietro la macchina da presa. Difetti comunque compensati dal modo fresco con cui il film veicola i suoi messaggi.
Merito anche di un casting fatto in maniera intelligente. La scelta di Zoey Deutch come interprete di Danni è quasi provocatoria. La ventottenne attrice americana è, infatti, quasi una Danni che ce l’ha fatta senza imbrogliare. Più che per i suoi film è, infatti, nota per il profilo Instagram sempre ricco di foto strategicamente scelte e postate nei momenti giusti. Il tono comedy del film si sposa bene con le sue doti attoriali permettendole di interpretare con naturalezza un personaggio che deve risultare al tempo stesso odioso e simpatico.
Più sorprendente è la presenza, invece, di Dylan O’Brien che dai social si è sempre tenuto alla larga. Il suo Colin è una studiata esagerazione di tanti trapper famosi più per gli atteggiamenti e i modi che per le doti vocali o i testi delle canzoni. Un personaggio ideale per incarnare il tipo di divo da cui una come Danni è irresistibilmente attratta. Bene anche Mia Isaac la cui recitazione pervasa da modi timidi e trattenuti è la sponda ideale per far risaltare l’irruenza di Zoey Deutch in un efficace contrasto tra Rowan e Danni.
Not Okay è, infine, una commedia leggera che non ha paura di violare le regole del genere per il modo in cui si conclude. Affronta un tema importante senza la drammaticità di una serie come The Girl from Plainville (in onda in queste settimane su StarzPlay), ma senza rinunciare comunque a far riflettere. Disegna un sorriso sul volto dello spettatore, ma gli chiede di capire il problema per cui quel sorriso è inevitabilmente amaro. Se non lo ha capito, allora è lo spettatore stesso a essere parte del problema.
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Not Okay: la recensione
Regia e fotografia
Sceneggiatura
Recitazione
Coinvolgimento emotivo
Una commedia apparentemente semplice dal finale non convenzionale per mandare un messaggio da cogliere tra i sorrisi