
Foundation: 5 motivi per recuperare la serie di Apple TV+ con Jared Harris e Lee Pace
Stando alla fredda logica quantitativa dei nudi numeri, Foundation non è stata la serie evento che prometteva di essere. La notizia che David Goyer avrebbe adattato il ciclo della Fondazione di Isaac Asimov aveva generato una enorme aspettativa tra gli appassionati di fantascienza. Anche perché il budget a disposizione era estremamente alto e i nomi di Jared Harris e Lee Pace lasciavano intendere una qualità più che discreta del cast. Le premesse per un successo di critica e, soprattutto, di pubblico c’erano quindi tutte. Non è andata così, invece.
Per tanti motivi. Da quelli più prettamente commerciali essendo la serie distribuita da una piattaforma come Apple TV+ che, nonostante l’offerta di alta qualità, è rimasta piuttosto di nicchia. A quelli legati all’accoglienza piuttosto tiepida tra gli addetti ai lavori che non hanno fruttato alla serie nessuna candidatura ai premi più ambiti. Fino alla reazione virulenta degli appassionati dell’opera di Asimov che hanno mal digerito la scarsissima aderenza al capolavoro dello scrittore russo.
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I numeri, però, sanno essere bugiardi. E i fan spesso si fermano a fare il gioco delle differenze rispetto all’originale invece di giudicare cosa gli viene proposto. Se lo facessero, potrebbero restare piacevolmente sorpresi. Magari proprio per i 5 motivi per recuperare Foundation che trovate di seguito.


1. David Goyer non è Isaac Asimov
Questo dovrebbe essere, a prima vista, un motivo per non recuperare Foundation. Ma, in verità, è una osservazione fondamentale per capire perché alla creatura di Apple TV+ non si può e non si deve imputare quei peccati di lesa maestà e blasfemia che hanno frenato tanti innamorati lettori dei libri impedendogli di diventare fedeli spettatori della serie. Dal ciclo di romanzi, Goyer prende solo l’ambientazione e alcuni personaggi lasciandosi però le mani libere nel cambiarne, spesso radicalmente, i ruoli all’interno di una narrazione che procede lungo una propria strada completamente originale.
Questa scelta è una dichiarazione di indipendenza fatta da Goyer non come atto di superbia o come volontà di tradire le fonti originarie. Ma è una necessità dettata da diverse comprensibili motivazioni. In primis, il differente medium che rende difficile lasciar dipanare gli eventi con la lentezza dei secoli che trascorrono nei romanzi. Soprattutto, la Foundation di Goyer e quella di Asimov si rivolgono a pubblici differenti a cui vogliono parlare di argomenti differenti. Anche perché 35 sono gli anni trascorsi tra il debutto nella serie nel 2021 e l’ultimo romanzo del ciclo pubblicato nel 1986. Addirittura, 68 se si considera la data di pubblicazione dell’ultimo romanzo della trilogia originale.
Così tanti che un lavoro di riscrittura era indispensabile se si voleva uscire dal recinto dei fedelissimi del maestro russo della letteratura fantascientifica.


2. La schiavitù del potere
La psicostoria di Hari Seldon aveva previsto il collasso dell’impero galattico e fatto nascere la necessità di creare la Fondazione per ridurre gli anni di barbarie che ne sarebbero conseguiti. Nel ciclo di romanzi, l’impero è solo il casus belli necessario a mettere in moto la storia senza che sia davvero necessario sapere null’altro su chi detiene il potere. L’imperatore è una figura assente nell’opera di Asimov, mentre diviene centrale in Foundation. Non solo come villain che si oppone alla realizzazione del piano di Seldon, ma proprio come protagonista di una trama parallela che porta avanti un discorso autonomo.
La dinastia genetica che si perpetua nei secoli attraverso la clonazione di tre copie di diversa età dell’imperatore Cleon I è una invenzione originale di David Goyer. Rappresenta il modo in cui lo sceneggiatore statunitense può affrontare il discorso sul significato del potere. Su cosa si è disposti ad accettare pur di conservarlo. Nella società autoritaria di Foundation l’imperatore è un dio elitario rinchiuso in una città celeste che non lascia mai neanche solo intravedere il resto del mondo. Un uomo il cui potere assoluto va oltre la stessa morte perché può essere tramandato a un altro sé stesso.
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Eppure, questo potere è, in realtà, la più alta forma di schiavitù. Non è l’imperatore a detenerlo, ma è il concetto astratto di impero a richiedere che a un uomo tocchi rinunciare alla sua identità. Spogliato di ogni autonomia, l’imperatore diventa vittima del suo compito. Per questo, nella prima stagione, lo vediamo sottomettersi alle prove di una religione in cui non crede perché è questo che il ruolo gli impone. Chiuso nella sua aura impenetrabile, è condannato a non amare né essere amato. Anche vivere o morire non è una scelta autonoma, ma una imposizione di un protocollo che deve restare immutabile.
Sarà la seconda stagione a mostrare le conseguenze del volersi ribellare a questo inevitabile giogo e chi è detenere le chiavi di questo schiavismo del potere.


3. Ragione e sentimento
I romanzi di Asimov erano, da un certo punto di vista, il trionfo della ragione. L’invenzione della psicostoria realizzava il sogno segreto di ogni scienziato: prevedere il futuro sulla base di rigorosi calcoli matematici. Erano la promessa di un domani dove l’uomo avrebbe potuto indirizzare la storia invece che esserne vittima. Una vittoria della ragione che lasciava comunque spazio al sentimento relegandolo però alla sfera privata che la psicostoria era incapace di tracciare. Ma che non aveva neanche bisogno di seguire poiché non avrebbe alterato il corso degli eventi.
Foundation, al contrario, recupera la dimensione del sentimento donandole una importanza che Asimov le aveva negato. Hari Seldon continua ad ammonire che la sua creazione non può applicarsi ai singoli individui, ma stavolta le loro scelte dettate dal cuore possono far deviare gli eventi dai binari tracciati dalle equazioni del radiante. Una consapevolezza ben presente allo stesso Hari la cui figura si arricchisce di una componente irrazionale che la rende più drammatica. Il passato del grande scienziato ci viene raccontato non come preludio alla nascita della psicostoria, ma come motore delle sue idee e motivazione del proprio sacrificio. Da qui il maggiore spazio concesso a Raych e il suo essere presente in un momento diverso rispetto ai romanzi.
Soprattutto, da questa accresciuta centralità del rapporto ragione – sentimento deriva la necessità di cambiare sesso a Gaal Dornick e Salvor Hardin e rafforzare il loro legame e la loro importanza. Proprio questa affettività che cresce tra le due è la causa per cui ragione e sentimento cessano di essere forze che si oppongono, ma diventano invece , in Foundation, due motori diversi dello stesso viaggio. La ragione studiata dalla psicostoria disegna i percorsi possibili, ma è il sentimento a sceglierli e a motivare le deviazioni e le correzioni di rotta.
Foundation fa, dunque, qualcosa di sorprendentemente rivoluzionario: non più la scelta tra mente e cuore, ma l’unione di mente e cuore per uno stesso obiettivo.


4. Fede e scienza
Asimov non era solo un eccellente scrittore di fantascienza, ma anche un ottimo divulgatore scientifico. La sua fede nella scienza trasuda inevitabilmente dai suoi romanzi, ma è egli stesso consapevole di quanto importante sia la dimensione religiosa. Non a caso una delle fasi dello sviluppo della sua Fondazione prevede un periodo in cui la scienza viene venduta come religione. Quando l’analfabetismo scientifico diventa dominante, i progressi della tecnologia possono essere visti come doni divini e i pochi che sanno usarli assurgere al ruolo di sacerdoti di una nuova divinità. La fede nella scienza diventa, quindi, scienza della fede: la ricerca razionale del miglior modo di controllare le masse soggiogandole alla fede in qualcosa che non sanno più comprendere.
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Questo passaggio si vede molto chiaramente nel confronto tra prima e seconda stagione di Foundation. La figura di Hari Seldon smette di essere quella di un maestro da studiare per mutarsi in quella di un profeta in cui credere. Ma questa dimensione fideistica pervade, in verità, anche altri aspetti del mondo futuristico della serie. La si ritrova nella figura stessa dell’imperatore, ma anche nel personaggio di Tellem che guida i mentalici. La fede come arma di potere da usare per fare il bene o il male.
E, tuttavia, ancora una volta Foundation riesce a riscrivere il rapporto tra gli opposti. Fede e scienza cessano di essere avversari che si contendono la devozione del singolo essere umano. Questo perché la scienza stessa diventa un qualcosa in cui credere con fede ossia con la convinzione che ciò che non è possibile qui e ora lo sarà da qualche parte domani. Questo spirito anima personaggi come Poly Verisof e fratello Constant che affrontano sfide impossibili perché è Seldon a chiederlo. Contagia nichilisti come Hober Mallow che si convertono alla fiducia nel piano del profeta. Convince menti razionali come quella del generale Bel Riose a sacrificarsi per un bene superiore che non vedranno.
Fede e scienza si sostengono a vicenda in una ricerca comune di un domani migliore.


5. La ricchezza dei personaggi
Si potrebbe raccomandare Foundation per la magnificenza degli aspetti tecnici. Che ogni episodio costi molto lo si vede banalmente dalla perfezione della CGI e dalla grandiosità degli scenari, dalla ricchezza dei costumi alla lucentezza della fotografia. Altrettanto facile sarebbe appoggiarsi alla maestria della regia che cerca soluzioni cinematografiche esaltate da una fotografia luminosa. Le scene di azione, in particolare, donano alle avventure spaziali quell’epica drammatica che i primi Star Wars avevano portato nel genere fantascientico.
La vera forza di Foundation, tuttavia, non sta in questi mirabili tecnicismi, ma piuttosto nella sua capacità di scrivere personaggi che sanno come imprimersi all’attenzione dello spettatore. L’intelligenza lucida e la capacità di comprensione degli altri di Hari Seldon. Le diverse personalità delle incarnazioni dei tre imperatori Alba, Giorno e Tramonto così fissamente uguali nell’aspetto esteriore quanto molteplici nella loro interpretazione del compito assegnatogli. Il coraggio indomito e l’istinto protettivo di Salvor Hardin. I principi morali di Gaal Dornick che le permettono di affrontare la paura di non essere all’altezza della sua missione. L’orgoglio sicuro di Bel Riose che sa mettersi al servizio della giusta quale che sia il sacrificio richiesto. L’astuzia rapida di Hober Mallow. La fiducia incondizionata e travolgente di fratello Costant che rinsalda la vacillante fede di Poly Verisoff.
Tutti personaggi magistralmente interpretati dagli attori scelti in un casting perfetto. Che raggiunge il suo punto più alto grazie a Laura Birn capace di dare vita ad una indimenticabile Eto Demerzel. Un essere immortale condannato a non sapere mai se le sue azioni e i suoi stessi sentimenti sono figli del libero arbitrio o la conseguenza di una condanna eterna che nessuno più sa se fosse meritata.
Foundation trascina lo spettatore in un universo di meraviglia dove a splendere più dei mille soli che punteggiano il buio intergalattico sono i protagonisti immaginati da Asimov, ma inventati dagli autori.