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Parasite: quell’odore che non va via – Recensione del film di Bong Joon Ho

Titolo: Parasite
Genere: comico – drammatico
Anno: 2019
Durata: 2h 12m
Regia: Bong Joon Ho
Sceneggiatura: Bong Joon Ho, Han Jin Won
Cast principale: Kang – ho Song, Woo – sik Choi, So – dam Park, Hye – jin Yang, Sun – kyun Lee

Chi scrive non ha niente contro gli insetti. Pur provando una certa repulsione estetica per alcuni di loro e un modesto terrore di altri, riesce persino ad ammirare gli entomologi più o meno dilettanti che si compiacciono delle loro collezioni di insetti vivi o morti. Tuttavia, inutile negare che una delle esperienze più antipatiche è quella di accendere la luce in una stanza di notte e veder correre via una o più blatte. Parassiti che si nascondono per poter poi approfittare dei residui di cibo colpevolmente sparsi in giro per disattenzione involontaria o negligente pigrizia. Parassiti come i protagonisti di Parasite, il film di Bong Joon Ho, vincitore della Palma d’Oro a Cannes.

Parasite: la recensione
Parasite: la recensione – Credits: Barunsun E&A

Lotta di classe alla coreana

Scritto e diretto dal regista coreano già ritenuto un maestro nonostante una filmografia che annovera solo sette titoli, Parasite può essere letto in prima istanza come una descrizione paradossale non priva di ironia di una lotta di classe molto sui generis. Con un ragazzo povero ma intelligente che trova rapidamente il modo di ingannare una famiglia di ricchi tanto ingenui quanto snob. Grazie ad una sapiente messa in scena, il giovane Kevin ci mette molto poco a far assumere la sua intera famiglia al servizio presso i Park, spacciando sé stesso per uno studente universitario di inglese, la sorella per una accademica esperta di arte terapia, il padre per un autista di lungo corso di auto di lusso e la madre per una esperta governante referenziata. A patto che tutti fingano di non conoscersi per mantenere la parvenza illusoria di una professionalità inventata.

Un piano perfettamente riuscito per vivere da parassiti raccogliendo le abbondanti briciole che i loro datori di lavoro disseminano nella loro vita troppo concentrata su fobie immaginarie e carriera di successo. Perché Kevin, Jessica e i loro genitori farebbero di tutto per scappare da una povertà ben espressa dallo scantinato in cui vivono. Rubando il wi – fi ai negozi sulla strada. Sbraitando inutilmente contro un ubriaco che viene a urinare nel vicolo davanti alla loro feritoia. Litigando con chi li sottopaga per lavori che nessuno vuole fare. Nascondendosi come blatte nel buio quando qualcuno per caso accende una luce che potrebbe far scoprire il loro inganno. Scappando nelle loro tane se qualcosa rischia di cancellare quella felicità delle cose a cui hanno sempre aspirato.

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Ma anche combattendo contro chi di quella stessa felicità vuole solo la sua parte. Perché la verità è che in Parasite il conflitto non è ricchi contro poveri. Ma poveri contro poveri. Tra chi non ha niente, ma ha trovato un modo per avere qualcosa, e chi non ha niente e quel qualcosa se lo vuole prendere strappandolo a chi più facilmente può essere derubato. Il film di Bong Joon Ho cancella la consolatoria favola della fratellanza tra quelli che soffrono dello stesso male. 

Al contrario, Parasite racconta una cruda verità: la povertà non ti fa diventare fratello del tuo simile, ma suo acerrimo nemico. Perché chi non ha niente ha un unico desiderio: avere ciò che non ha e non importa né come né a chi deve prenderlo. Non c’è lotta di classe. C’è solo noi contro voi e in quel voi ci sono tutti senza distinzione tra ricchi e poveri.

Parasite: la recensione
Parasite: la recensione – Credits: Barunsun E&A

Due mondi inconciliabili

Lo sguardo dissacrante di Parasite su questa insolita lotta di classe non deve, tuttavia, far credere che il titolo si riferisca solo al più misero dei contendenti. Nulla di più errato perché a comportarsi da parassiti sono, sebbene in maniera meno appariscente, gli stessi truffati. Quei Park che vivono nel lusso sfarzoso di una casa tanto grande che neanche conoscono per intero. Che non si fanno problemi ad inventare scuse poco plausibili per licenziare chi fino ad un attimo li ha serviti onestamente. Che mostrano una gentilezza fasulla che con il denaro è l’arma per sfruttare il lavoro di chi ne ha bisogno.  

I modi cortesi della moglie che lamenta problemi inesistenti e pretende disponibilità ad ogni ora. Gli elogi fasulli del marito sempre attento a mantenere la distanza tra lui e gli altri. Le cotte adolescenziali di una ragazzina che sa che non le diranno di no perché chiunque vorrebbe far parte del mondo in cui lei vive. I capricci sempre accontentati di un bambino i cui desideri fanno presto a diventare ordini da esaudire il prima possibile. Pennellate decise che dipingono una casta incapace persino di comprendere che ciò che considera normale è invece un privilegio eccezionale negato a troppi altri.

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A quelli marchiati da un odore particolare. Da un fetore che si impara ad annusare fin da bambini. Che non è quello del detersivo e del sapone di bassa qualità uguale per tutti. Ma piuttosto la puzza rancida dell’immondizia sparsa tra vie troppo affollate per restare pulite, della pioggia che invade tutto senza lavare niente, della gente che si ammassa in una palestra dopo un alluvione. Intriso del nichilismo rassegnato di chi non fa piani perché tanto fallirebbero comunque. Perché chi sta ai piedi della scala sa bene che i gradini sono fatti in modo da non poter essere saliti. E chi sta in alto non vede chi sta laggiù, ma ne sente solo un odore così alieno da non saperlo neanche descrivere.

Parasite nasconde nell’eleganza levigata di lindi ambienti e nel profumo inebriante di verdi giardini la rivoltante sporcizia della verità. Non c’è una sola società scissa in parti distinte tra cui ci si può muovere. Ma due pianeti distinti destinati a viaggiare su orbite differenti che non devono mai incrociarsi perché l’unico incontro possibile è una catastrofica collisione.

Parasite: la recensione
Parasite: la recensione – Credits: Barunsun E&A

La perfezione di tanti film in uno

Una critica sociale tanto cruda sarebbe piaciuta a Ken Loach che ne avrebbe tratto un film intessuto di rabbia feroce e toni drammatici. Bong Joon Ho non è Ken Loach ed è questa la sua fortuna. Perché gli permette di fare di Parasite un film molto più ricco e versatile. Un’opera che inizia come una commedia degli equivoci in un crescendo trascinante fatto di astuzia e divertimento. Ma che sa anche passare attraverso una lunga fase ansiogena tipica di un thriller per poi assumere toni intessuti da un sotteso black humour misto ad un cinico disincanto. Un film che spazia tra generi differenti centrandoli appieno tutti. Soprattutto gestendo le transizioni in un modo talmente scorrevole che l’intera narrazione risulta perfettamente fluida e sensata.

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I pregi di Parasite non si esauriscono qui e ne fanno un film che delizia il palato esigente anche di chi è più attento agli aspetti prettamente cinematografici. La regia di Bong Joon Ho sa muoversi con uguale maestria tra spazi chiusi ed aperti facendo di essi stessi quasi dei coprotagonisti della storia. Le parole dei dialoghi sono pesate con precisione galenica adattandosi al genere che in quel momento il film sta sposando. Stessa attenzione è mostrata nella composizione della colonna sonora che fa scelte apparentemente inusuali, ma perfettamente riuscite. Non è, quindi, spiazzante ascoltare l’italianissima In ginocchio da te di Gianni Morandi durante una delle scene clou di un film coreano.

La Palma d’Oro vinta all’unanimità a Cannes e il successo commerciale che sta riscontrando nei botteghini americani stanno facendo salire Parasite nelle quotazioni dei bookmakers per i prossimo Oscar. Che vinca o meno qualche premio (e pare difficile negargli quello come Miglior Film straniero se non come Miglior Film in assoluto) poco importa. Perché sarà comunque una sola la parola che meglio descrive questo film: capolavoro.

Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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