Forse, il segreto è puntare basso per sviare l’attenzione e le attese e poi procedere spediti per la propria strada arrivando in alto quando nessuno aveva troppe pretese. O, forse, più banalmente ma più difficilmente tutto sta a scegliere bene gli interpreti e fare attenzione a cosa e come si scrive. Sia quel che sia, Mr Mercedes riesce in una mirabile impresa: prendere un romanzo di Stephen King e farne una serie tv che riesca a convincere critica e pubblico.
Si può fare
Saltare l’ostacolo del giudizio di recensori poco inclini alla clemenza e spettatori ancora più esigenti dovrebbe essere esercizio semplice quando si ha la possibilità di usare come trampolino l’opera di uno scrittore tanto amato. Eppure, come si è già avuto occasione di dire su queste pagine virtuali, il rapporto tra il prolifico maestro dell’horror su carta e il cinema e la tv è stato segnato troppo spesso da prove tutt’altro che convincenti (ultimi in ordine di tempo, The Mist e La Torre Nera sul piccolo e grande schermo rispettivamente) se non epocali fallimenti (come l’indimenticabile trash di Under the Dome). Aver scritto il proprio nome nella esigua ma prestigiosa lista degli autori che sono riusciti ad evitare questa maledizione è una medaglia che David E. Kelley, ideatore della serie in onda sulla poco nota rete via cavo Audience, può appuntarsi al petto con meritato orgoglio.
Mr Mercedes occupa un posto particolare nella produzione di King essendo, per ammissione dello scrittore stesso, il suo primo romanzo hard boiled. Una evasione dalle classiche tematiche del brivido che lo hanno reso famoso per sconfinare con successo in un genere poliziesco in cui l’autore riesce a muoversi con la solita maestria. È, quindi, in questo agone ricco di contendenti che deve confrontarsi la serie provando a ritagliarsi un proprio spazio autonomo. Ci riesce molto bene grazie a dei personaggi che emergono non per la loro originalità (perché di detective in cerca di una nuova opportunità e assassini psicopatici è ricca la serialità televisiva), ma per il modo in cui si rapportano tra loro.
Sia lode, quindi, alla rete per aver creduto in un progetto paradossalmente ad alto rischio (visti i poco illustri precedenti tra King e la tv), agli autori per essere stati capaci di invertire una pericolosa tradizione, al cast per le performance attoriali che sono state il valore aggiunto di questa produzione. E alla serie nel suo complesso per aver dimostrato che si può fare.
Nemici per forza ma indivisibili per necessità
Una macabra coincidenza ha voluto che la premiere della serie andasse in onda una settimana prima del tragico attentato di Barcellona in cui un furgone guidato da un terrorista si è lanciato contro la folla a passeggio sulle Ramblas causando 16 vittime e 130 feriti. Dinamica simile alla prima scena della serie che vede un folle mascherato da clown lanciarsi sulla gente in fila all’esterno di un centro congressi in attesa di poter entrare per un colloquio di lavoro. Caso che rimane irrisolto nonostante gli sforzi del detective Bill Hodges. Pochi anni dopo sarà lo stesso killer a rifarsi vivo contattando personalmente il poliziotto da poco in pensione per sfidarlo apertamente a ritrovarlo.
La vera novità di Mr Mercedes non è la sua premessa. Di serial killer che sfidano apertamente la polizia è lunga la lista non solo in tv, ma nella stessa realtà. Né tantomeno sono rari i casi in cui lo spettatore conosce già l’identità dell’assassino e l’essenza del giallo diventa non lo svelamento del colpevole, ma la lotta contro il tempo per arrivare a catturarlo prima che uccida ancora. Quel che sorprende in Mr Mercedes è come i due antagonisti siano, in realtà, profondamente legati e quanto l’uno abbia bisogno dell’altro per completare sé stesso, evadere da una profonda insoddisfazione, interrompere una dolorosa immobilità. Due uomini che non possono che essere nemici, ma che paradossalmente dovrebbero ringraziare l’altro per avergli dato un perché.
Bill contro Brady ma anche Bill con Brady
Bill e Brady sono, infatti, radicalmente opposti, ma condividono lo stesso destino. Entrambi, infatti, stanno lentamente ma inesorabilmente affondando in una routine fatta di insoddisfazione profonda e assenza di motivazioni. L’essere pensionato ha privato Bill di qualunque motivo per alzarsi dalla poltrona in cui si addormenta tra bottiglie vuote, avanzi di cibo, abiti trasandati, una tartaruga indifferente, una vicina invadente con improbabili offerte sessuali, un liceale intraprendente che gli falcia il prato e lo prende in giro. Soprattutto a Bill, il troppo tempo libero non ha donato la serenità di un quieto ricordare i non pochi successi, ma i troppi rimorsi per i pochi ma pesanti insuccessi. Come appunto non aver arrestato Mr Mercedes.
Un avversario a cui la momentanea vittoria non ha donato la soddisfazione che sperava di trovare. Tanto che Brady si è subito insinuato nella vita dell’incolpevole Olivia, proprietaria dell’auto rubatele per compiere la strage, tormentandola psicologicamente fino a costringerla al suicidio. Ma neanche questo crudele successo è bastato al genio dell’informatica tormentato da una madre incestuosa e alcoolizzata e un capo pressante e insensibile. Brady deve avere di più. Deve dimostrare a sé stesso che non è il freak rassegnato a subire le angherie dei superiori, le offese di clienti prepotenti, le pressioni di una madre che ha completamente equivocato i bisogni del figlio. Uccidere per lui significa essere vivo. Affrontare il proprio avversario è l’unico modo per dimostrare a sé stesso di poter essere orgoglioso di un successo per quanto perverso.
Brady ha bisogno allora di Bill come Bill ha bisogno di Brady. La sfida diventa il carburante che rimette in moto la vita di Bill che ritrova la voglia di sentirsi vivo indagando ancora, innamorandosi persino nonostante la differenza di età, provando a recuperare il rapporto con una figlia ostile, proteggendo vecchi e nuovi amici. Bill contro Brady, quindi, ma anche Bill con Brady perché l’uno è alla deriva senza l’altro.
Una corte dei miracoli per Bill
Mr Mercedes è i suoi protagonisti ottimamente interpretati da Brendan Gleeson, bravo a sfruttare la sua massiccia fisicità per dare corpo alla decadenza e ripresa di Bill, e Harry Treadaway, il cui sguardo intenso e la magrezza scattante riescono a disegnare il caos interiore di Brady. Ma è anche una corte dei miracoli di personaggi secondari che riescono ad essere qualcosa di più che semplici accessori dei due contendenti principali.
Vera sorpresa è la vicina di casa Ida, invenzione degli autori e non presente nel romanzo. La sua sfacciata sincerità, il sarcasmo innocente, la vitalità che accetta l’età avanzata rifiutandosi di sentirla come un peso sono note fresche che disegnano un personaggio decisamente insolito. Più canonico è invece Jerome nel suo essere il classico ragazzo genio dell’informatica e dalla parlantina sciolta. E tuttavia anche lui ha il suo perché rappresentando il salvagente che trattiene Bill dall’andare a fondo senza che nessuno dei due sembri accorgersene.
Sorprendente a modo suo anche Janey per il rapporto sentimentale con Bill che nasce forse troppo rapidamente, ma che svolge una funzione importante nel recuperare il detective dalla sua rassegnata apatia. Va comunque alla cugina Holly la palma del personaggio che più evolve passando dalla impacciata psicotica afflitta da una madre iperprotettiva alla testarda timida che vuole guadagnarsi la propria autonomia e riesce infine ad essere decisiva.
La compagnia del disagio per Brady
Se Bill può trovare nei suoi comprimari un più che valido aiuto sia pratico che soprattutto emotivo, il mondo che ruota attorno a Brady è, invece, un fardello che affossa ancora di più ogni suo tentativo di emergere dal baratro in cui sprofonda. Non tutti i personaggi però sono disegnati altrettanto bene in questo caso apparendo troppo semplici nel loro essere archetipi.
In particolare, la madre Debbie appare fin da subito l’ancora malsana che impedisce a Brady di staccarsi per navigare verso qualsiasi percorso di redenzione. Non che in sua assenza Brady potesse pentirsi di quel che ha fatto, ma è comunque la sua presenza a ricordare all’assassino quel passato da cui il male presente è nato. Analogo peccato di stereotipia lo si può riscontrare in Robi, il capo ossessionato dal successo commerciale e dal fare carriera e incapace di comprendere quanto i suoi atteggiamenti pesino sulla debole psiche di quel dipendente a cui crede di star facendo un favore. Anche l’unica figura positiva nel mondo di Brady appare troppo scontata con una Lou che interpreta la figura della ragazza omosessuale che fa della risposta sempre pronta l’arma con cui difendersi dal sessismo imperante.
Mr Mercedes chiude la sua prima stagione con molti lodevoli pregi e pochi perdonabili difetti. Un totale a somma positiva che rende finalmente onore a Stephen King e lascia attendere con fiducia la seconda stagione.
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