
Transparent: Recensione della terza stagione
Le persone sono come le case. Il parallelismo potrebbe sembrare azzardato, ma se ci si ragiona su un po’ alla fine i due termini di paragone hanno davvero molto in comune. A partire dalla divisione tra interno ed esterno: le facciate delle case sono come i corpi delle persone, come gli organi interni – cuore, polmoni, cervello, stomaco per dirne alcuni – potrebbero benissimo essere le varie stanze che compongono un’abitazione.
Ed è proprio quando si arriva all’abitare che il confronto diventa forse ancora più accettabile. Le case sono abitate da uomini e donne a loro volta abitati da anime. Ricordi, sensazioni, pensieri, modi di fare, abitudini non sono altro che il comodino, la lampada, il divano e la carta da parati con cui scegliamo di arredare il nostro piccolo e personalissimo spazio interiore.
A volte capita che tra il dentro e il fuori – quello delle case come quello delle persone – ci sia una certa armonia, a livello cromatico e visivo. Altre invece gli esterni raccontano una storia che dentro non esiste.
Cosa fare in questi casi? Lasciarsi andare alla pigrizia e lasciare le cose così come stanno per quieto vivere, tanto ciò che importa è ciò vi è dentro? Oppure è necessario, per sé e per gli altri, che la facciata rispecchi il più possibile ciò che le pareti nascondono?
Sin dai suoi esordi, Transparent ha messo lo spettatore di fronte a questo interrogativo: quanto ciò che diciamo con la nostra fisicità è in verità rappresentativo della nostra vera natura, di quelle stanze – segrete o meno – che il nostro Io abita?
They say when one person in a family transitions, everyone transitions.
La prima stagione si era concentrata soprattutto sulla protagonista e sul suo coming out, questa terza come la seconda apre invece ancora di più lo sguardo, dando la possibilità anche ad altri personaggi come Raquel e Shea – la famiglia scelta – di raccontarci un po’ più di loro.
“Dicono che quando una persona nella famiglia cambia, tutti lo fanno” racconta Shel alle donne del tempio. Ed è proprio lei, quella buffa ed invadente donna, ad indossare i panni del Grillo Parlante e a regalarci con il suo strampalato one woman show la migliore chiave di lettura che si potesse avere.
To Hell and Back
To (S)hell and back non è solo il suo motto, il suo brand, ma è il suo percorso, il percorso di tutti gli umani che popolano il mondo di Transparent.
Ognuno di loro vive il proprio personale tribolamento, fatto di dolori, rimpianti, paure e rabbia. Pensieri bui, quanto buio può essere quello stanzino nel quale si butta via ciò che non si vuole né sentire né vedere. Ma dimenticare o negare che qualcosa esista non vuol dire che quel qualcosa cessi davvero di esistere. Può sopravvivere, anche 30 anni, anche nei condotti dell’aria condizionata.
You’re waiting for a miracle. You’re waiting for the sea to part.
Well, that’s an old miracle. So what about this. What if the miracle was you?
Eppure non esistono solo stanze senza finestre. Nella nostra casa, anche quando non ce ne accorgiamo, entra sempre un piccolo raggio di sole. In questa piccola grande rappresentazione della bellezza e diversità del mondo che è Transparent, quel raggio di sole sono le persone. È attraverso il dialogo e il confronto che si impara a conoscersi e si cresce. Nella quotidianità di una vita che continua a sorprenderci – nel bene o nel male – possiamo scegliere di attendere che le cose vadano come desideriamo o iniziare a fare in modo che la loro realizzazione sia reale e vicina.
Attendere che qualcuno interceda per noi o fare in modo che noi – sbagliati, imperfetti, volubili – diventiamo quel miracolo.
Da Eliza, splendido primo episodio quasi autoconclusivo, a To Sardines and Back, un inno alla vita che resiste, passando attraverso le visioni di Ali in compagnia di Caitlyn Jenner. E poi il meraviglioso viaggio nel tempo di If I Were a Bell e la struggente interpretazione di Hand in my Pocket di Shelley in Exciting and New.
Transparent è un’emozione che difficilmente va via quando sul telecomando premi il tasto off. Ti rimane dentro, sedimenta e ti fa venire un’incredibile quanto inconscia voglia di aprire la finestra. Ed ascoltare le voci del mondo, anche quelle che troppo spesso facciamo finta di non sentire.
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