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Barbie ovvero il femminismo a tinte rosa pastello – Recensione del film di Greta Gerwing con Margot Robbie e Ryan Gosling

Titolo: Barbie
Genere: commedia
Anno: 2023
Durata: 1h 50m
Regia: Greta Gerwig
Sceneggiatura: Greta Gerwig, Noah Baumbach
Cast principale: Margot Robbie, Ryan Gosling, Kate McKinnon, America Ferrera, Ariana Greenblatt, Michael Cera, Will Ferrell, Emma Mackey, Hari Nef, Alexandra Shipp, Emerald Fennell, Simu Liu, Kingsley Ben Adir, Ncuti Gatwa, Connor Swindells

9 Marzo 1959: questa la data in cui viene messa in vendita la prima Barbie. Che, curiosità, non era neanche bionda. Da allora, secondo le stime della Mattel, ne sono state vendute oltre un miliardo in 150 nazioni all’impressionante ritmo di tre al giorno. Un giocattolo che ha travalicato la sua mera identità oggettiva per diventare un’icona a cui associare un significato diverso a seconda di chi ne ha fatto oggetto di critica o ammirazione.

Perché, alla fine, che cos’è Barbie? Prova a rispondere anche Greta Gerwig nel primo film evento di questa estate cinematografica (e pazienza che in Italia non abbiamo potuto goderci il Barbienheimer).

Barbie: la recensione
Barbie: la recensione del film di Greta Gerwin – Credits: Warner Bros

Una bambola per tutto e il contrario di tutto

Non era semplice capire quale approccio avrebbero scelto Greta Gerwig e Noah Baumbach per incentrare un film live action sul giocattolo simbolo della Mattel (che ha partecipato alla produzione del film targato Warner Bros). Come inserire Barbie e il suo variegato mondo nella nostra realtà? Lo fanno immaginando un luogo fisico a parte dove le Barbie vivono ogni giorno il giorno perfetto. Un mondo a parte dove i giocattoli sono a grandezza naturale; le auto camminano anche senza avere il motore; ci si fa la doccia senza acqua; si beve da bicchieri vuoti riempiti di succo d’arancia inesistente; si abita in case senza la facciata da cui si esce fluttuando nell’aria. Insomma, un mondo dove i giochi tipici delle bambine diventano la quotidianità di bambole orgogliose di essere la rappresentazione ideale dei giocattoli che hanno ispirato le donne a ricoprire ogni ruolo sociale.

Perché questo era Barbie quando la creatrice Ruth Handler ebbe l’idea di scardinare la tradizione. Perché le bambine potevano giocare solo a fare le mamme? Da allora Barbie è stata tutto ciò che le donne avevano il diritto di poter sognare di essere. Barbie presidente. Barbie fisico. E ancora dottoressa, giudice della corte costituzionale, astronauta, premio nobel per la letteratura. Un continuo mutare ruolo per dire alle bambine di anni diversi che non c’era limite alla fantasia e che nessun sogno non sarebbe potuto diventare realtà. Un manifesto femminista che diventa una realtà scintillante e colorata nel mondo perfetto di Barbieland che Gerwig mette in scena con una estetica camp meravigliosamente rosa e una colonna sonora gioiosa che accompagna le giornate sempre festose delle sue Barbie.

Ma quel messaggio si è rivelato con gli anni solo una utopia.

Perché Barbieland è solo un’isola felice da cui si può partire per andare verso il mondo reale dove niente di tutto ciò che le Barbie credono è vero. Perché a comandare sono gli uomini e non perché se lo meritino, ma perché il patriarcato dell’età della pietra ha cambiato volto e ha imparato a nascondersi bene, ma è sempre rimasto il fondamento di una società che non ha mai davvero rinunciato ad un maschilismo tossico. Un mondo dove Barbie è talmente un’ideale irraggiungibile da essere paradossalmente la rappresentazione di tutto ciò che una donna può odiare. Un modello talmente artificioso e irrealistico da essere un alleato degli uomini per dimostrare alle donne come i loro sogni siano solo miti fasulli che possono esistere sono nei giochi da bambine.

Barbie è allora tutto e il contrario di tutto. E questa doppia lettura prende vita in un film che crea due mondi separati per ricordarcelo.

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Barbie: la recensione
Barbie: la recensione del film di Greta Gerwin – Credits: Warner Bros

Una parità impari

Deve essere per forza così? Ovvio che no. Basta avere un minimo di senso critico per riconoscere quanto discriminazione di genere e pregiudizi sociali impediscano uguali diritti alle donne nella società moderna. Ed è sufficiente una intelligenza scevra di preconcetti basati su visoni arcaiche per capire che un altro mondo non è solo possibile, ma soprattutto necessario.

Entrambe doti che non mancano ad una regista come Greta Gerwig che, anzi, è da sempre paladina di battaglie femministe. Barbie non può che essere, quindi, anche una denuncia cristallina di uno status quo che costringe quella che dovrebbe essere la normalità a traslocare in un mondo di finzione la cui esistenza è ben voluta fintanto che chi ci vive resta là . Perché altrimenti vorrebbe essere quello che qui non può e non deve essere. Ossia dottoressa, scienziato, presidente, giudice, premio nobel, e così via scorrendo il catalogo delle Barbie di Barbieland.

Barbie: la recensione del film di Greta Gerwin – Credits: Warner Bros

Tutto infinitamente giusto. Talmente giusto da rendere non necessario il sottolineare questo messaggio in maniera pesantemente didascalica. Non è un caso che, dopo una prima metà scoppiettante inizi a perdere efficacia quando i toni, pur rimanendo felicemente comedy, vogliono anche farsi moralistici. Se nella prima parte, infatti, è lo spettatore a dover cogliere il significato nascosto dietro le risate, nella seconda Gerwig fa di Barbie un megafono del proprio pensiero militante.

Illuminante, in questo senso, è il personaggio di America Ferrera la cui funzione principale sembra essere recitare il monologo sulla difficoltà di essere donna oggi. Non a caso di lei non ci viene detto molto più che questo. Anche il rapporto con la figlia, che pure è, in un certo senso, all’origine degli eventi, è risolto in maniera estremamente frettolosa. Più, in generale, si ha l’impressione che certi personaggi (su tutti il board direttivo della Mattel guidato dall’infantile CEO interpretato da Will Ferrell) vengano introdotti solo per dare forza al messaggio principale attraverso parodie estremizzate.

Soprattutto, in un film che aspira ad essere una chiamata alle armi a lottare per la parità di genere, finisce per stonare il modo in cui ogni personaggio maschile viene dipinto. Acquista ora maggior peso la tagline con cui Barbie è stato promosso.

Lei può essere tutto, lui solo Ken. Una frase ad effetto che va bene per costruire una rappresentazione volutamente macchiettista di uomini che possono essere solo stupidi. Ma il problema è che, alla fine, sembra quasi che la parità si possa raggiungere solo se gli uomini riconoscano la propria idiozia e accettino di non poter essere altro che idioti.

Insomma, Barbie diventa il manifesto di una nuova parità. Quella impari.

Barbie: la recensione
Barbie: la recensione del film di Greta Gerwin Credits: Warner Bros

Una commedia con molto da dire

Onestà intellettuale impone di dire che scrive questa recensione è un uomo. E, per quanto uno ritenga di essere non contaminato da residui di maschilismo, pure non si può pretendere di comprendere cosa significhi essere donna non essendolo. Forse, il tono volutamente esagerato di Greta Gerwig nel pronunciare il suo j’accuse non apparirebbe tale se si avesse una sensibilità diversa. Anche per questo, quindi, Barbie è un film da vedere. Perché non si limita ad essere un contenitore spassoso, ma ha qualcosa di intelligente da dire e lo dice senza nascondersi dietro il suo dover essere una pellicola per tutti.

Soprattutto, Barbie è un film ottimo da un punto di vista strettamente cinematografico. Merito della regia di Greta Gerwig e della sua sceneggiatura capace di coniugare impegno e divertimento nonostante qualche frettolosità di troppo nell’avviarsi al finale. Scenografie e costumi dipingono un mondo dall’estetica camp scintillante perfetto per ciò che rappresenta. La colonna sonora da poi quel sottofondo musicale che si integra nella narrazione dando forma all’azione.

Soprattutto, è il cast di Barbie a funzionare alla perfezione. Quasi superfluo dirlo per Margot Robbie che è chiaramente il modello reale della bambola della Mattel. L’attrice australiana va, però, oltre questo vantaggio fisico riuscendo a dare alla sua Barbie Stereotipo un personaggio a più dimensioni capace di vivere sia nella finzione di un mondo perfetto che in una realtà fatta anche di sentimenti e lacrime.

A risaltare ancora di più è, tuttavia, Ryan Gosling a cui toccano le battute migliori e anche le parti in stile musical. Il suo Ken è sempre costantemente e felicemente sopra le righe perché è questo l’unico modo in cui può avere una propria identità autonoma. La chimica tra i due protagonisti principali si tramette poi a tutto il cast che da l’impressione di divertirsi un mucchio a giocare a fare le bambole con una nota di merito in particolare per Michael Cera e Kate McKinnon.

Barbie dura 1h 50m che volano via veloci senza mai annoiare. Sia nei momenti puramente comedy e musical che nelle parti più didascaliche e moraliste, il film riesce a tenere viva l’attenzione dello spettatore divertendo e insegnando. Cosa chiedere di più ad un film su una bambola?

Barbie: la recensione

Regia e fotografia
Sceneggiatura
Recitazione
Coinvolgimento emotivo

Una commedia tanto divertente quanto intelligente sorretta da un cast in piena forma ma viziata da qualche eccesso didascalico

User Rating: 4.33 ( 2 votes)

Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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