
Vinyl: Recensione dell’episodio 1.10 – Alibi
Qualcuno potrebbe chiamare questo episodio ‘la quadratura del cerchio’. Arriviamo alla fine di questo lungo viaggio nella musica e nel mondo degli anni ’70 trovando risposta a tutte le nostre domande, trovando appagamento in un finale che non è né piacevole né perfetto ma è senz’altro adatto a quel mondo sregolato e inibito a cui Scorsese ci ha introdotto.
La conclusione più soddisfacente – forse l’unica, pensandoci bene – è di certo quella dei Nasty Bits. La band in cui Jamie ha così fortemente creduto fin dall’inizio ha il suo momento di gloria. Le luci si abbassano, la folla ruggisce infuriata perché vuole sentire i New York Dolls e non questa band praticamente sconosciuta. Bastano poche note per trasformare lo scherno in adorazione e subito i Nasty Bits diventano non solo il gruppo in cui tutti avevano così fortemente bisogno di credere ma anche il biglietto vincente di Richie e della nuova Alibi Records. Sono tutti lì, insieme sulla balconata a sorridere, a stringersi gli uni con gli altri e a convincersi che forse, dopotutto, ne è valsa la pena. Ne è davvero valsa la pena, ci domandiamo invece noi? Quello che i sorrisi e gli abbracci mancano di mostrare è il percorso pieno di ombre e di droga e di sofferenza che con una vittoria non possono e non saranno di certo cancellati. Richie, in particolare, scende a patti con l’FBI ma resta succube di un signore della malavita che uccide un uomo proprio davanti a lui. È una liberazione, in quanto previene che il suo amico-nemico riveli alla polizia il suo coinvolgimento nell’omicidio che rischiava di rovinargli la vita, ma d’altro canto forse lo mette in una condizione ancora più difficile e da cui è anche più complicato uscire.
A ritrovarsi a mani vuote è Zak, il cui tentativo di sorpassare Richie ed estrometterlo dall’etichetta non va a buon fine. La verità è che Zak è l’unico a dire quello che tutti pensano ormai da tempo – che Richie è un pazzo e un drogato e di certo incapace di dirigere un’etichetta musicale – ma è anche l’unico ad agire. Il suo errore è di rivolgersi alla persona sbagliata. È per miracolo se la pallottola dello scagnozzo di Galasso trapassa il cranio di qualcun altro e non il suo. Le intenzioni di Zak sono buone ma è il modo che sceglie di metterle in pratica a mancare di forza. È comunque Richie quello che resta a galla, quello che brilla grazie al successo dei Nasty Bits, che celebra la sua vittoria con vernice sulle pareti del suo ufficio. La scena, in sè particolarmente insensata, in realtà è la sintesi di quella sregolatezza e mancanza di raziocinio che il telefilm ha cercato di inculcarci fin dal primo istante. La musica, proprio come il mondo, degli anni ’70 non è il nostro mondo, non è il nostro modo di vivere o di concepire la musica e Vinyl ci ripete, con costanza, che va bene così, che così deve essere.
Mentre non riusciamo a far sbollire la rabbia per l’assenza – ingiustificata – di Devon e di Olivia Wilde, la cui storia resta così non soltanto inconclusa ma persino ignorata, brilla di certo Juno Temple e la sua Jamie. Jamie non ha sempre fatto le scelte giuste per arrivare al successo, e di certo dormire non con uno ma ben due membri della band che stava rappresentando ne è un chiaro esempio, ma in un modo o in un altro il suo percorso è tra i più
Non tutto può essere tuttavia perdonato, anche se si tratta di un finale. Imperdonabile, come si accennava, l’assenza di Olivia Wilde, la cui storia man mano scema quasi a scomparire. Un peccato visto e considerato che fin dall’inizio è stato essenziale e bellissimo scoprire come una donna e figlia d’arte, intrappolata in un matrimonio che la rendeva infelice, fosse disposta a rischiare tutto pur di ritrovare se stessa e la sua vita. Devon meritava di più, il personaggio della Wilde meritava di più ed è un peccato che non abbia ottenuto più spazio. A differenza di Clark che, per quanto ci stia simpatico Jack Quaid, di spazio ne ha avuto anche fin troppo, in questa conclusione di stagione.
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1.10 - Alibi
- Non abbastanza