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Utopia: recensione dell’episodio 1.06 – Episode 6

Le nostre attese non sono state vane. Un fiume in piena ci travolge in questo finale di stagione di grandissima classe dimostrando ancora una volta che aldilà della Manica ci sanno fare come si deve. Mantenendo i punti forti visti fino ad ora, ovvero fotografia stupenda, regia al limite dell’artistico, ritmo serrato, recitazione credibilissima e una ottima scrittura, Utopia mette la quinta e si lancia a tutta velocità verso una chiusura che onestamente non era facile immaginarsi. Se avevate capito tutto già dal quinto episodio, tanto di cappello: I did not see this coming.

utopia-106-02Tutto l’episodio è di corsa. Jessica si riunisce al gruppo dopo aver recuperato il manoscritto. Ecco quindi che l’obiettivo a questo punto torna quello di uccidere il misterioso e pericoloso Mr. Rabbit. Ovviamente la risposta è nelle ultime pagine, che Grant aveva nascosto. Ma ovviamente Grant adesso è prigioniero del Network. Questo il gruppo non lo sa. E si lancia comunque alla ricerca di Mr Rabbit. Il bello della scrittura di questo episodio è che i progressi fatti dal gruppo sono, effettivamente, di gruppo. Jessica porta il manoscritto, Alice trova le pagine mancanti, Wilson trova i documenti che permettono di risalire a Mr. Rabbit, Ian recupera Dugdale, dopo aver scoperto che in realtà Anya non è russa ma un’agente del Network (wow) ed è Dugdale che riconosce, tra le foto recuperate da Wilson, l’assistente della Milner, ovvero l’uomo che guida Corvadt. E viene ucciso da Grant, che scappando aiuta Jessica a liberarsi dalla pistola di Wilson, che si è deciso a mettersi contro il gruppo, a favore del Network.

utopia-106-03La corsa è veloce, ci sono alcuni momenti di lieve sospensione, scene brevi, di un paio di minuti al massimo, ma in generale la storia procede spedita. Fino al punto in cui, tutti catturati, arriva a salvarli… la Milner! Bel colpo di scena. E così danno finalmente fuoco ai 65 milioni di dosi del vaccino, che avrebbe fatto scattare “il test”, sterilizzando buona parte degli Inglesi. E un bel magazzino in fiamme è una scena che ci scalda sempre i cuori, dai.

E così finisce la missione dei nostri eroi. Ma questa è una grande serie… C’è un piccolo momento di calma, qualche minuto, sì, ma poi si ricomincia a correre. Alice se ne va con Dugdale mentre Ian, Becky e Grant puntano alla Scozia. E Jessica va a consegnare il manoscritto alla Milner. Mentre Becky in stazione si sente male e fa perdere le sue tracce ad Ian e Grant, arriva il colpo di scena vero e proprio. Jessica capisce che in realtà Mr. Rabbit è proprio la Milner, così dopo aver dato fuoco al manoscritto scopre che proprio il fumetto in realtà non era che un strumento per arrivare a lei, Jessica. Dentro di lei, nel suo sangue, si trova Janus.

utopia-106-06Che dire, un colpo di scena dietro l’altro, un ritmo sapientemente controllato e misurato, tirato al millimetro. Una regia impeccabile, una camera che non inquadra mai in maniera semplice i soggetti, che non si muove mai banalmente intorno ad essi. Una serie che ci ha donato momenti di cinismo e durezza notevoli, resi più duri da una fotografia lucidissima e implacabile. Una recitazione ottima, a servizio di una trama che nel giro di sei episodi ha creato una delle più credibili “cospirazioni” del mondo della televisione.

utopia-106-04Con questo season finale Utopia punta a raccontare e chiudere il primo arco narrativo, mettendo le basi per un ritorno in grande stile. Se la recensione è poco centrata sui concetti dietro la storia è perché più degli altri episodi questo è il momento dell’azione. Non mancano certo dei risvolti interessanti. Cosa resta di Jessica, ad esempio, alla fine del suo percorso. Dopo aver ucciso Mr. Rabbit e distrutti i vaccini la ragazza è svuotata. Pare non aver più un senso e quasi stordita va dalla Milner, aprendo poi al colpo di scena. Un ottimo finale, soprattutto quando hai davanti a te una seconda stagione.

Se vi siete persi Utopia, recuperatela. È una serie veloce, ritmata, visivamente impeccabile, cruda, cinica e intelligente senza essere snob. Un bel pezzo di narrazione di quella fantascienza tipica di grandi autori come Herbert o Dick, che racconta un futuro prossimo possibile. E agghiacciante. Si sa, in Inghilterra non ci vanno per il sottile.

Alessandro

Pianoforte a 9 anni, canto a 14, danza a 16 anni. Poi recitazione. Poi la scuola professionale di Regia Cinematografica. Poi l'Accademia di teatro di prosa. Anche grafica, comunicazione, eventi di spettacolo. Ma qui soprattutto un amore sconfinato per le serie tv americane e inglesi, con la loro capacità di essere le vere depositarie moderne della scrittura teatrale antica anglosassone.

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