
The Affair: Recensione dell’episodio 2.02 – 12
Perché ci si innamora? Perché ogni amore che nasce è sempre eterno? E perché quando siamo innamorati non riusciamo ad immaginare il futuro senza usare la prima persona plurale invece che quella singolare? Domande strappate alla posta del cuore di una qualunque rivista per adolescenti e che poco avrebbero senso sulle pagine virtuali di questo sito. Ed invece sono opposte eppure simili quelle che The Affair ci costringe ad affrontare in questa recensione. Perché, se è difficile ma comunque gratificante interrogarsi su un amore che vive, più complesso e tragicamente doloroso è dover affrontare quel che viene dopo. Quando si scopre che l’amore è eterno solo finché dura. Quando si capisce che il noi non esiste più e si deve cercare di tornare all’io o sperare in un altro noi.
Raccontare la stessa vicenda da due punti di vista differenti. Questo era stata l’idea innovativa della prima stagione. Aggiungere altri due punti di vista la novità di quest’anno. Non più solo Noah e Alison, ma anche Helen e Cole. Una furba estensione di uno schema rodato? Molto di più, in realtà. Perché, se bisogna essere in due per amarsi, il tradimento e la fine di un amore non sono più una questione che riguarda solo la nuova coppia, ma anche e forse soprattutto chi è rimasto indietro (e poco importa se fosse o meno colpevole). Se la premiere ci aveva regalato la novità del racconto di Helen scritto e recitato magnificamente, è stavolta Cole a guadagnarsi questo oneroso onore.
Non poteva essere altrimenti, d’altra parte, e non perché solo lui mancava all’appello. Piuttosto perché, come Noah e Helen ci mostrano la dolorosa fine di una famiglia un tempo felice, così Alison e Cole devono raccontare il lento epilogo di un dramma annunciato. Se il tradimento inatteso di Noah era stato un fulmine improvviso che brucia furiosamente un albero dalle solide radici, la fuga di Alison era solo l’inevitabile agonia di un candido cigno che la tragedia aveva trasformato in un brutto anatroccolo morente. Questa differenza la si percepisce netta in questo episodio dove sia Alison che Cole si muovono tra gli spazi troppo ampi di una natura che indifferente resta tranquilla di fronte al loro sconquasso interiore e tra silenzi troppo lunghi che fanno diventare violente urla anche i sussurri più lontani della nostalgia canaglia. Niente avvocati divorzisti, agenti letterari, nuovi amanti, suocere ostili, figli delusi o ribelli. Alison e Cole sono soli con se stessi ed è da questa inconcepibile solitudine che devono fuggire per poter ricominciare.
Perché Alison era la moglie fedele di Cole e la madre disperata di un bambino tragicamente scomparso. Era la cameriera che cercava di portare a casa i soldi che mancavano sempre e l’ex infermiera che aveva lasciato il lavoro per i troppi ricordi. Ma chi è adesso? Non una moglie perché Noah non può ancora presentarla come tale ed arriva a tacere la sua presenza non appena questo è possibile. Non più un amante perché non deve nascondersi o vergognarsi di accettare un passaggio. Non più una donna che lavora perché la spontaneità con cui si informa della paga della cameriera è subito frenata dalla consapevolezza che non può tornare a quel precariato. Accettare l’indefinito ruolo di assistente personale di Yvonne è l’ancora di salvezza a cui immediatamente si aggrappa per non naufragare nel senso di una perduta identità e nel tentativo di definire se stessa in modo indipendente da Noah. Per dimostrare che lei è ancora qualcuno e non solo un’appendice passionale di un compagno che la ama ma forse non arriva a rispettarla davvero (perché le impedisce di leggere le bozze del romanzo e inveisce quando lei gli racconta felice del nuovo lavoro).
Alison sta provando a ripartire, ma inconsapevolmente è frenata dalla paura che ciò non sia ancora e forse mai sarà davvero possibile. Timore che ha il volto furioso di un Cole che, nel racconto di Alison, appare determinato e minaccioso, ma che soprattutto le porta il baule con i ricordi del figlio morto in una concreta manifestazione di quanto lei stessa gli aveva detto prima di andare via nel finale della passata stagione (non poteva superare la morte del figlio avendo lui davanti ogni giorno). E invece quel baule è di nuovo lì ed è significativo che ciò avvenga solo nel ricordo di Alison e che lei stessa lo nasconda per fingere di poterlo ignorare.
I due racconti diversi terminano entrambi nello stesso corridoio asettico dell’aula di tribunale dove Noah sta per ascoltare i capi di accusa. A differenza di quanto avveniva nella prima serie, stavolta sembra esserci un unico punto di vista su questa parte della storia come se a raccontarla fossero i fatti stessi e non il loro modo di vederli. Anche se piccoli particolari comuni alle due versioni potrebbero suggerire indizi per interpretare quello che sta succedendo (sia Noah che Scotty premono per vendere la casa di Alison, ma anche Cole che guarda con interesse la giovane babysitter). Soprattutto, nel presente i ruoli tornano a essere quelli del passato con Helen che, pagando l’avvocato, è di nuovo indispensabile, Alison che è costretta a restare in seconda fila e Cole il cui sguardo austero mostra una ritrovata e inquietante sicurezza. Ma, per quanto importante sia questa storyline, è comunque innegabile che è solo un di più aggiunto per lasciare evolvere una trama. Ciò che davvero interessa è la fine di un amore e il modo di ricominciare. Anche se questa non è la posta del cuore.
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