
Narcos: lunga intervista a Wagner Moura sulla sua uscita dalla serie tv
Una scena del penultimo episodio della seconda stagione di Narcos è altamente simbolica: Pablo Escobar, di ritorno dalla campagna, arriva a Medellin e la osserva tutta dall’alto. Ha il sentore della fine imminente, ma non vorrebbe mai abbandonare la città che ha posseduto, la città che lo ha protetto. La sua casa è tutta Medellin.
Quella scena è stata l’ultima che Wagner Moura, l’attore che interpreta Escobar, ha girato. Non è stata, quindi, la ricostruzione molto fedele della sparatoria sul tetto nel seguente episodio. È un modo perfetto di dire addio alla serie che dopo due anni lo ha portato ad una meritata notorietà. Meritata perché Moura, brasiliano di nascita e madrelingua portoghese, sin da quando ha ottenuto la parte nell’ottobre 2013 si è immerso nel personaggio. Dopo aver iniziato a prendere lezioni di spagnolo, sei mesi prima che le riprese iniziassero Moura è partito per Medellin da solo, per affinare la lingua e conoscere tutti gli usi e costumi del popolo che ha protetto fino alla fine Escobar. Solo all’inizio delle riprese, ha fatto trasferire la sua famiglia, portando l’immersione nel personaggio anche ad un livello fisico oltre che psicologico: l’attore infatti è ingrassato circa 20 chili.
Narcos andrà avanti senza Moura (è stato infatti rinnovato per una terza e quarta stagione), mentre l’attore a Hollywood Reporter ha ammesso di essere orgoglioso per il lavoro fatto nella serie, ma anche un po’ sollevato per essersi lasciato alle spalle un personaggio complesso come Pablo Escobar.
Come è stato convivere con un personaggio come Pablo Escobar?
W.M.: Abbiamo iniziato a girare la prima stagione nel settembre 2014. I preparativi per la seconda invece a giugno. In questo lasso di tempo, non ho potuto fare nient’altro. Ho votato tutto me stesso a Pablo e a Narcos, non ho avuto modo di prendere parte ad altri progetti. Si, ho iniziato a preparare il film che dirigerò il prossimo febbraio [sul rivoluzionario brasiliano Carlos Marighella, ndr] ma si è trattato di telefonate e di conversazioni su Skype, niente più.
Quando hai saputo che la storia di Escobar sarebbe terminata nella seconda stagione?
W.M.: Ho sempre saputo che l’argomento principale dello show era la droga, non Pablo Escobar. E tutti sapevamo che Pablo sarebbe morto. Alla fine della prima stagione ho fatto i conti e capito che avevamo coperto almeno 15 anni della sua vita nel narcotraffico, mentre ne mancava uno alla sua morte. Non avrebbe avuto senso trascinare il suo personaggio fino alla terza stagione. Tra la sua fuga da La Catedral e la sua morte il tempo era poco. Insomma, avevo capito che c’era una sola stagione ancora da girare.
Ora che hai visto il prodotto finale, credi che sia una mossa saggia aver avuto Pablo Escobar per le prime due stagioni e poi proseguire oltre? Eric Newman, showrunner della serie, ha fatto capire di voler andare avanti finché la cocaina non sarà fermata.
W.M.: Si, è la mossa giusta. Ho dedicato tutto al mio personaggio, eppure, quando è finito la prima cosa che ho sentito è stata il sollievo. Due anni con venti chili in più, vivere in un altro paese, la psicologia del personaggio dentro la mia… era ora che finisse tutto. Narcos, comunque, fin dall’inizio era una storia sulla droga e non su Pablo. Due stagioni sono perfette per lui, non oltre. Lui è solo l’inizio del commercio di droga. È importante proseguire lo show sia artisticamente, perché è uno show originale e bello, ma anche politicamente. Da latino americano posso dire che il problema della droga è bello serio. Non vedo l’ora di vedere e saperne di più sui cartelli di Cali e del Messico, e di quali connessioni ha il governo americano con loro. Un paese che ha dichiarato guerra alla droga, ma che ne è il più grande consumatore al mondo. Voglio vedere e sapere ancora di più. Voglio che lo show generi discussioni e dibattiti su un tema che a me sta particolarmente a cuore, soprattutto da quando ne sono stato parte.
Sei un sostenitore della legalizzazione della droga. Narcos ti ha influenzato?
W.M.: No, ho sempre sostenuto questa posizione, da prima che fossi in Narcos. Dopo aver letto e studiato tutto quel che c’era da sapere su Pablo Escobar ho rinforzato la mia idea. La guerra alla droga è un flop. È un flop per le persone che vivono nei paesi che vivono e producono droga, perché è lì che la guerra ha luogo. Nei quartieri poveri del Messico, Colombia, Peru, Bolivia, Brasile. Lì i ragazzi più giovani e più poveri vengono uccisi a causa di questa guerra. E lo dico ben consapevole che l’abuso di droga e la dipendenza da essa è un enorme problema. Ma secondo me, è un problema di salute, non di polizia.
La seconda stagione di Narcos è più introspettiva. Pablo è un personaggio più umano, da questo punto di vista. Che tipo di sfida è stata quella di umanizzarlo?
W.M.: Era l’idea iniziale, non potevo approcciarmi al personaggio se non umanizzandolo. Sono convinto al cento per cento che Pablo Escobar fosse un essere umano, uno di quelli molto interessanti. Non era un alieno, solo una persona molto molto molto cattiva. Ma una persona. Aveva amici che ridevano alle sue battute. Ed era una persona molto contraddittoria. Le cose cattive che faceva, secondo lui, le faceva per il p
opolo e per la sua famiglia. Una cosa che mi piace di Narcos è questa: non è tutto nero o bianco. Tutti i personaggi sono complessi, tutti scendono a compromessi morali. Soprattutto gli agenti della DEA, che per catturare Pablo diventano quasi come lui. Tutti i personaggi vivono nel grigio, quella zona che ci rende tutti appunto persone ed esseri umani.
Questa stagione termina con la morte di Escobar che, storicamente, ha ancora alcuni punti oscuri. Quanto sapevi di questo avvenimento prima di consultare gli sceneggiatori e i veri Pena e Murphy che hanno fatto da consulenti?
W.M.: Ho letto tutto quel che c’era da sapere su Escobar e la droga in Colombia. Ci sono molte versioni differenti: quella della famiglia di Pablo, con il figlio e il
La scena della morte di Pablo è stata ricostruita proprio sullo stesso palazzo. Com’è stato ricostruirla esattamente? Com’è rappresentata nella fotografia scattata in quel momento su quel palazzo il 2 dicembre 1993?
Immagino che in questi due anni ci sono stati momenti in cui lui non ti ha lasciato neanche quando eri a casa. Perdere peso ti ha fatto perdere anche il personaggio?
W.M.: Si, sono sollevato, sono libero (ride, ndr). Non posso più lavorare come attore almeno per un anno. Infatti farò il regista, perché tutto quello che potrei fare da attore porterebbe l’influenza di Pablo. Ho bisogno di tempo per liberarmene: è una bella sensazione andare avanti. Guardo indietro a questi due anni e mi sento orgoglioso e anche felice, ovviamente, di quello che abbiamo creato.
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