
Green Book e una lezione che il mondo deve ancora imparare. La recensione del film
Titolo film: Green Book
Genere: Comico, road-trip
Durata: 130 minuti
Anno: 2018 (Italia 2019)
Regia: Peter Farrelly
Sceneggiatura: Nick Vallelonga, Brian Hayes Currie, Peter Farrelly
Cast principale: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini
Il serbatoio pieno, la playlist giusta, qualche snack. Non serve molto per un roadtrip con i fiocchi. Soprattutto se al volante c’è Viggo Mortensen e nel sedile posteriore Mahershala Ali. Due attori d’eccezione, protagonisti di una pellicola che rievoca le tinte dolciastre di A Spasso con Daisy ma non manca di appropriarsi di qualche mossa da manuale di Spike Lee. Il resto? L’afosa, ammaliante, sognatrice atmosfera degli anni ’60.
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Green Book, la pellicola di Peter Farrelly, si assume il non facile compito di ricordare all’America, con metafore e strizzate d’occhio ad una politica separatista ed esclusionista, “chi eravamo e chi potremmo ritornare”. Perchè nulla è più importante per un paese in un clima politico incerto e dalla direzione spiacevole che ricordare il passato politico e sociale di quello stesso paese. Una bacchettata sulle mani morale per gli Americani, un bel film dalla storia coinvolgente per tutti gli altri.
Una storia vera (con tutte le premesse giuste)
New York, anni ’60. Tony “Lip” Vallelonga (Viggo Mortensen) è un immigrato italiano che lavora come buttafuori in un locale del centro, Copacabana. Quando si trova a dover cercare un lavoro per i mesi di chiusura del locale, gli viene offerta l’opportunità di accompagnare in tour “Doc” Don Shirley (Mahershala Ali), un pianista di colore richiestissimo nei circoli più ricchi ed esclusivi d’America. Un tour che non va tuttavia per salotti e teatri di un progressivo nord ma di un bigotto e retrogrado Sud.
Tony e Doc viaggiano nel sud del paese, osservando direttamente l’ipocrisia di una società che si crede raffinata ma, in fondo, è semplicemente bigotta e razzista. A sottolineare la condizione sociale che il film mette in luce, c’è il Green Book da cui prende il nome il film. Un libro, con l’elenco completo delle strutture in cui possono soggiornare le persone di colore. Hotel con il filtro “solo persone di colore”, come un qualunque Booking o Airbnb moderni. Non c’è una scelta del luogo in cui Doc può soggiornare, o se c’è è brutalmente limitata.
Tra hotel discutibili, incontri poco piacevoli con la polizia, esibizioni in case coloniali e ristoranti dalla rigida etichetta regolamentale, Tony e Doc concludono il proprio viaggio dove avevano iniziato. Non senza essere cambiati, non senza aver capito qualcosa nelle lunghe settimane in cui sono stati in viaggio.
Ricordare un passato ingiusto per non dimenticare un presente ingiusto
Appare subito evidente l’intenzione di far riflettere, di dare al pubblico la visione di un mondo solo parzialmente evoluto. Un mondo culturalmente “raffinato”. Al di là di una società che fa da sfondo, è senz’altro sui protagonisti che bisogna soffermarsi. Colui che dovrebbe essere l’immigrato ed il meno “civilizzato” tra i due protagonisti è, al contrario, un gentiluomo dai modi pacati. Un galantuomo dall’educazione impeccabile. Non mangia senza posate, non usa parolacce, segue le regole in quanto tali. Anche quando quelle stesse regole mettono in discussione la sua umanità.
Al contrario, Tony – la generazione dell’americano “medio”, colui che porta sulle proprie spalle l’economia e la crescita di un paese che lo accetta come suo portavoce – non è altri che un uomo rozzo. Esattamente: un ruomo rozzo, avvezzo alla semplicità di parole e di gesti. Quasi volgare, se messo sullo stesso livello del suo datore di lavoro.
L’enfasi sulle differenze tra i due è voluta. Viene marcata con la stessa intensità con cui viene sottolineato l’atteggiamento degli ospiti che “ospitano” Don Shirley nelle loro case e loro città. Quello che viene offerto loro è soltanto una facciata, piena di crepe e pregiudizi e odio, nascosti da quintali di trucco, sorrisi e caviale.
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Il libricino, il Green Book, è soltanto una delle prove che evidenziano la forte caratterizzazione di un film quanto mai attuale. Non siamo negli anni ’60 quando Doc è costretto a cercare un hotel che è riservato alle persone di colore; non sono gli anni ’60 quelli in cui gli viene chiesto di usare un gabinetto fuori dalla casa in cui è stato accolto come un ospite onorato. Siamo qui, siamo oggi, in un mondo che ancora addita e giudica chi è diverso. Una realtà che considera la propria struttura sociale come unica religione.
Invece sono pellicole come questa, con il loro profondo senso di “giusto”, a ricordarci che è solo dimenticando che permetteremo davvero a queste persone di vincere.
Due protagonisti straordinari: Viggo Mortensen e Mahershala Ali
La pellicola, magnifica sia nella scelta dei dialoghi che delle scene, svolge egregiamente il suo compito, con puntuale pathos e dramma. Si muove come un qualsiasi film roadtrip, in cui brillano i protagonisti, con le loto battute, i botta e risposta e persino i silenzi. Viggo Mortensen e Mahershala Ali deliziano al pubblico una delle migliori interpretazioni della loro carriera.
Mahershala Ali, reduce da un Oscar per la sua partecipazione in Moonlight, è un aristocratico senza corona. Forte del suo senso di pudore e giustizia, intento ad inseguire il sogno di parità in un paese che lo vede ancora come “nero”. Insegue un sogno, quello di un paese in cui non dovrà più essere denigrato da persone che lo trattano ancora come uno “schiavo”.
Sebbene il portamento di Mahershala Ali in Green Book sia freddo, a volte rigido e distante, non è mai violento o sgarbato. È composto con un uomo che conosce il proprio valore e non ha timore di condividerlo con gli altri, per quanto possano essere reticenti ad accoglierlo.
L’esatto opposto della sua controparte, Viggo Mortensen è viscerale, rozzo, italianissimo (questo no, non è un insulto). Non è un poeta, non è neppure un uomo eccessivamente colto, ma non lascia che queste condizioni schiaccino la sua personalità. È un uomo contento di essere ciò che è. Odia la gente di colore perché la società glielo impone ma non tarda a cambiare parere venendo a contatto con Don Shirley.
Il film si apre con lui che butta due bicchieri da cui due idraulici (di colore) avevano bevuto. Si chiude con Lip che abbraccia cordialmente Doc, accogliendolo a casa sua per Natale. C’è un percorso anche per Lip, che vuole solo uno stipendio ma finisce con il guadagnare molto più di quanto era stato pattuito, anche se non in termini finanziari.
Una pellicola che fa breccia nella realtà
Green Book colpisce lo spettatore dritto al cuore. Senz’altro una buona dose del suo successo è da attribuire ai protagonisti, ma non vanno trascurati i dialoghi e le ambientazioni. La regia è forse l’unica cosa che non eccelle o brilla per originalità, lasciando che sia tutto ciò che accade a guidare la storia, non il come accada.
I dialoghi sono degli autentici botta e risposta, partite a tennis che sembrano quasi una puntata di Gilmore Girls per la velocità con cui vengono eseguiti. C’è sostanza ma senza pomposità, c’è poesia ma senza artificiosità, c’è quotidianità ma senza banalità. Si parla di razzismo, famiglia, segregazione razziale, omosessualità. Ovvio, si parla di tutto senza, in realtà, mai fare critica o lode a nulla.
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Si lascia allo spettatore il compito (e l’onore) di essere giudice, parziale o non, di ciò che sta accadendo. Perché non sta a Green Book dire cos’è sbagliato, sta al film raccontarlo e lasciare che sia lo spettatore e decidere sul da farsi. Decidere da che parte stare, come gestire questa vecchia/nuova conoscenza e applicarla alla propria realtà e quotidianità.
Guardare Green Book è farsi un regalo
Proprio come per un roadtrip, anche per vedere Green Book non serve molto: uno schermo grande abbastanza, un po’ di pop-corn ed il gioco è fatto. Serve una mente aperta, quello certamente, ed il desiderio di lasciarsi alle spalle la frenesia di un mondo con troppe pretese. Da lì è sufficiente abbandonarsi, per una visione rilassata su un argomento attuale ed importante. Magari serve anche un po’ di criterio, giudizio se vogliamo, nell’osservare l’evolversi di un’amicizia con un’America attuale sullo sfondo.
Non posso trovare troppi difetti in Green Book semplicemente perché non ce ne sono. Si tratta di uno di quei film che ti colpiscono e basta, che consigli agli amici non appena uscito dalla sala, senza troppe spiegazioni. Perché il messaggio di Green Book merita l’attenzione e la visione, non un racconto di seconda mano. Sono certa che concorderete con me.