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Dear Evan Hansen: il diritto alla ricerca della felicità – Recensione del musical con Ben Platt e Kaitlyn Dever

Titolo: Dear Evan Hansen ( Caro Evan Hansen)
Genere: musical
Anno: 2021
Durata: 2h 17m
Regia: Stephen Chbosky
Sceneggiatura: Steven Levenson, Benj Pasek, Justin Paul
Cast principale: Ben Platt, Kaitlyn Dever, Amy Adams, Danny Pino, Julianne Moore, Amandla Stenberg, Colton Ryan, Nik Dodani

Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston e Roger Sherman. Sono loro a comporre la Commissione dei Cinque che vergò la dichiarazione di indipendenza firmata poi dai padri fondatori il 4 Luglio 1776. Una data storica per gli Stati Uniti d’America, ma anche per un particolare solo apparentemente secondario. Che diventa, invece, il motore immobile che anima Caro Evan Hansen.

Caro Evan Hansen: la recensione – Credits: Universal Pictures

Il perseguimento della felicità

Il passaggio incriminato a cui si faceva riferimento sopra compare nella lista di quelle che vengono definite verità per sé stesse evidenti. Ossia che tutti gli uomini siano creati uguali e con diritti inalienabili. E tra essi quello al perseguimento della felicità. Sicuramente nessuno dei cinque pensava che oltre due secoli dopo proprio lo scontro tra due concetti da loro enunciati sarebbe stato alla base di un film come Dear Evan Hansen.

Perché è il perseguimento della felicità ciò che Evan cerca nonostante lui sia convinto di non essere stato creato uguale. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, il film diretto da Stephen Chbosky adatta per il grande schermo il musical omonimo tratto dal romanzo di Steven Levenson. A scrivere musiche e parole pensano Benj Pasek e Justin Paul che dello spettacolo di Broadway sono autori, ma soprattutto sono anche tra gli artefici del successo di La La Land e The Greatest Showman.

Con questo background autoriale era facile immaginare che Dear Evan Hansen sarebbe stato un musical che puntava forte su musiche e coreografie per raccontare una classica storia d’amore dal finale più o meno zuccheroso. Tuttavia, uno sguardo al (seppur non ricco) curriculum del regista poteva far presagire come qualcosa di diverso ci sarebbe stato. Chobsky ha diretto, infatti, Wonder, ma soprattutto è autore della sceneggiatura e del romanzo da cui è tratto Noi siamo infinito. Entrambi storie dove il protagonista deve riuscire ad uscire da un isolamento in cui è stato rinchiuso da sé stesso o da altri.

È così anche per Evan Hansen, liceale all’ultimo anno, che vive fuggendo gli altri a causa della sua condizione di malato di fobie sociali e costretto per questo a prendere psicofarmaci anche solo per uscire di casa. Su consiglio del suo psichiatra, Evan scrive lettere motivazionali a sé stesso, ma una di queste viene rubata per caso da Connor. Un ragazzo altrettanto solitario, ma per colpa degli accessi di rabbia e il comportamento violento. Il suicidio di Connor e il ritrovamento della lettera sul cadavere convinceranno i suoi genitori che Evan sia stato in segreto il miglior amico di loro figlio.

Una convinzione errata che Evan non avrà la forza di negare finendo per avvitarsi in una serie di bugie a catena dalle quali non saprà come uscire. Soprattutto, dalle quali non vorrà uscire perché proprio grazie a queste fantasie spacciate per realtà il più volte citato perseguimento della felicità diventerà una possibilità concreta e reale per lui e per molti altri.

Dear Evan Hansen è la storia in musica di una bugia partorita da troppo dolore che diventa sempre più grande per troppo amore.

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Dear Evan Hansen: la recensione
Caro Evan Hansen: la recensione – Credits: Universal Pictures

Trovare la forza nella debolezza

Dear Evan Hansen si distacca dagli altri musical per l’attenzione che dedica alla costruzione dei personaggi e alla loro messa in scena anche nei momenti non cantati. Non a caso le pause tra una canzone e la successiva sono molto più lunghe del solito. Si richiede, perciò, agli interpreti non solo di avere una bella voce e saper ballare, ma anche e soprattutto di recitare. Differenza non da poco rispetto alla media dei musical che Hollywood ama mandare in sala. E differenza che si fa sentire ed apprezzare perché dona al film una propria specificità che lo distacca da un banale teen movie o da una abusata love story.

Tema centrale di Dear Evan Hansen è, infatti, il conflitto lacerante tra la paura di essere sé stessi e il desiderio di essere visti. Il contrasto interiore tra il cercare la propria identità e il mostrare quella che gli altri amerebbero vedere. Intrappolato nelle sue fobie, Evan riesce ad evaderne solo segando quelle sbarre opprimenti con i denti affilati di storie inventate. Menzogne artificiose che hanno il pregio di costruire un meraviglioso, scintillante, irresistibile, ineguagliabile castello di cristallo sui cui specchi ognuno può guardare il riflesso del proprio sogno.

Può trovare la famiglia che ha sempre desiderato e l’amore che non osava neanche immaginare come Evan. Il fratello sempre sfuggente che inutilmente Zoe ha cercato di conoscere. L’immagine mai davvero vista del figlio che avrebbe voluto fosse suo come Cynthia. Quel rapporto paterno naufragato in una lontananza indesiderata come Larry. Una comunità solidale dove nessuno deve aver paura di essere lasciato indietro solo perché si dimostra debole come Alana.

Un incantesimo fragile pronto a spezzarsi e crollare in miriadi di dolorose schegge perché appoggiato su fondamenta che affondano nel fango melmoso di una bugia troppo grande per non essere rivelata. Eppure, Dear Evan Hansen lascia aperta la porta ad una assolutoria speranza. Perché ognuna di quelle pareti cristalline ha permesso a chi ci si specchiava di trovare una nuova forza scavando nella propria debolezza. Di abbattere con insperata potenza il muro di gomma che lo rimbalzava sempre al punto di partenza. Il coraggio di mostrare al mondo non la versione che gli altri ritengono essere la migliore di te, ma quella vera senza compiacenti ipocrisie. 

Perché ogni giorno può essere meraviglioso se si riesce ad essere semplicemente sé stessi.

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Dear Evan Hansen: la recensione
Caro Evan Hansen: la recensione – Credits: Universal Pictures

In bilico tra il poco e il troppo

Dear Evan Hansen inserisce la sua storia musicale in un contesto ideale per questo tipo di racconto. Il mondo ipercompetitivo delle high schools americane è lo scenario perfetto per esaltare il discorso che il film vuole portare avanti. Un microcosmo dove l’indifferenza del gruppo può togliere l’aria e dove anche il gesto più innocente può precipitarti nel baratro del disprezzo immotivato. Un oceano sempre in tempesta dove ansia, gioie, dolori, emozioni diventano onde impetuose che possono farti affondare negli abissi dove annegare o innalzare là dove tutti sono pronti ad ammirarti.

Un’altalena di situazioni che rischiano, tuttavia, di far deragliare Dear Evan Hansen quando prova a tenere insieme il tutto estendendo la situazione del suo protagonista a sempre più persone. Pare, infatti, che il film abbia quasi il timore che il suo messaggio non arrivi abbastanza. Si costringa, quindi, a ripeterlo più e più volte quasi urlandolo in faccia allo spettatore. Il risultato è un certo sbrodolamento in rivelazioni inattese che sembrano più essere colpi ad effetto che svolte realmente necessarie. Come superfluo pare essere il contrasto tra alta borghesia e proletariato che va in scena ad un certo momento. Quasi che gli autori vogliano aggiungere un tema in più per smarcarsi dall’etichetta di teen musical drama.

Nonostante questi difetti di sceneggiatura, Dear Evan Hansen resta un prodotto fresco e interessante ben diretto e ben interpretato. Buona parte del merito va a Ben Platt (già visto di recente in The Politician su Netflix) che eccelle soprattutto nelle parti recitate. Lo sguardo prima tremante e poi sognante, la voce sempre in bilico tra il silenzio impacciato e il flusso incontrollato, la mimica del corpo con le mani tormentate e i passi incerti sono piccole chicche che impreziosiscono le doti canore richieste a chi fa un musical.

Più defilata nonostante il ruolo da protagonista è Kaitlyn Dever che sembra essere più a suo agio nelle parti drammatiche (data l’esperienza in Unbelievable) che in quelle più sentimentali. Funzionale spalla seria del protagonista è Amandla Stenberg (da The Hate U Give), mentre Nik Dodani si prende il ruolo comico. Tutti efficacemente in parte anche Amy Adams, Danny Pino e Julianne Moore con la prima a ritagliarsi un ruolo di maggior spicco interpretato con convinta adesione al personaggio.

Dear Evan Hansen mette in musica la paura più grande. Quel “would anyone even notice if I disappeared tomorrow?” che Evan scrive nella sua lettera. Quella domanda a cui il film vuole rispondere che “si, ci sarà sempre qualcuno che lo noterà” purché si abbia il coraggio di essere sincerely your best and dearest friend.

Winny Enodrac

Vorrei vedere voi a viaggiare ogni giorno per almeno tre ore al giorno o a restare da soli causa impegni di lavoro ! Che altro puoi fare se non diventare un fan delle serie tv ? E chest' è !

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