
Suburraeterna: nomen omen – Recensione dei primi due episodi del sequel di Suburra
Nomina sunt consequentia rerum avrebbe detto Giustiniano dopo aver visto i primi due episodi di Suburraeterna in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. E, senza scomodare l’illustre imperatore bizantino e nemmeno forse la locuzione nel titolo di questa recensione, lo devono aver pensato anche gli autori di questo sequel di Suburra. O magari l’idea è venuta al fatidico algoritmo di Netflix in cerca del nome migliore da dare alla serie in arrivo il 14 Novembre sulla piattaforma del tudum.
Quale che sia l’origine del nome, una cosa è certa. L’aggettivo eterna incollato al nome Suburra non sta là solo per riecheggiare il dittongo latino. Ma per nascondere in piena vista la verità: si scrive Suburraeterna, ma sullo schermo si vede ancora Suburra. E non basta un titolo vagamente nuovo per cancellare il sapore di già visto.

L’eterno ritorno
Suburra ci aveva salutato tre anni fa con lo straziante saluto di Spadino (Giacomo Ferrara) al defunto Aureliano e la fuga da quella famiglia da cui poteva finalmente staccarsi dopo aver preso il coraggio di uccidere il dispotico fratello Manfredi. Si fa chiamare Alberto e anima le notti di locali underground di Berlino esibendosi come house dj. Ma è comunque lui ad accoglierci fin dalla prima scena di Suburraeterna. Come a ricordarci e rassicurarci che i tre anni passati lo avranno allontanato da Roma, ma non dalla serie. È suo il primo ritorno che intende tranquillizzare lo spettatore che magari poteva aver paura di navigare in acque sconosciute senza una guida già nota.
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Pericolo che, in verità, non avrebbe corso comunque perché i volti noti ci sono tutti. C’è Cinaglia (Filippo Nigro) allontanatosi definitivamente dalla politica attiva per meglio comandare da dietro le quinte muovendo tutto come il fu Samurai. C’è donna Adelaide (Paola Sotgiu) a reggere quel che resta della famiglia Anacleti con l’orgoglio smisurato del proprio nome e la cattiveria affilata come il famoso pugnale del comando che Spadino ha lasciato a Roma. Non manca Nadia (Federica Sabatini) che vive tra il comando su Ostia e il ricordo quotidiano di quell’Aureliano immortalato nella gigantografia che campeggia nella palestra. Né può essere assente Angelica (Carlotta Antonelli) ospitata dalla ex suocera solo per il rispetto delle tradizioni del clan e per essere meglio tormentata psicologicamente. Insomma, tutti sono lì dove li avevamo lasciati come se stessero solo aspettando la chiamata di Suburraeterna per sbloccare il tasto pause.
Facce nuove ne abbiamo? Si, ma sono in realtà solo volti diversi incollati ai personaggi di un tempo che ora hanno cambiato ruolo. Cosa altro è, infatti, Ercole Bonatesta (Aliosha Massine), ambizioso politico emergente legato ad una famiglia di bassa manovalanza criminale se non il Cinaglia degli esordi, ma con ancora meno ideali? Chi è Damiano Luciani (Marlon Joubert), novello sposo di Angelica e sopravvissuto ad una strage perpetrata anni prima dagli Anacleti, se non un Aureliano più dolente, ma ugualmente in cerca della propria autonomia? Ad aiutarlo ci sono i suoi due fratelli gemelli Giulia e Cesare (Yamina Brirmi e Morris Sarra) per fare una nuova edizione dei complicati rapporti familiari che hanno affrontato sia Aureliano che Spadino. E, per non farsi mancare niente, c’è anche Giorgia Spinelli ad interpretare Miriana Murtas che è una Sara Monaschi che ce l’ha fatta.
Suburraeterna sembra fatta apposta per supportare le teorie di Giambattista Vico sull’eterno ritorno della Storia. I suoi personaggi, di fatto, questo fanno: tornano e ritornano.

Di fretta per andare dove?
Non è solo di Vico che Suburraeterna si ricorda, ma anche di Tomasi di Lampedusa. E, come Il Gattopardo insegna, anche la serie sa che “tutto deve cambiare perché tutto resti uguale”. Sembra essere questo, infatti, il motore immobile che giustifica il terremoto che anima il primo episodio di questo sequel. Un sommovimento tellurico improvviso che squassa le certezze adamantine costruite in precedenza per portare ad un nuovo status quo da cui far partire la stagione. Il problema è che questa sequela di eventi avviene con una rapidità inversamente proporzionale alla sua credibilità. Perché la fretta che gli autori hanno di immettersi su nuovi binari costringe a contraddire il detto Roma non fu costruita in un giorno. Qui, nell’equivalente di un giorno, la distruggono e ricostruiscono.
Tutta questa fretta è sinceramente difficile da capire. Non permette di familiarizzare con i volti nuovi e non lascia comprendere il percorso che li ha portati a quelle scelte a meno di non volersi accontentare di giustificazioni sommarie per quanto comprensibili accennate con rapidi flashback. Soprattutto, si tratta di una scelta controproducente per la stessa Suburraeterna. Lascia, infatti, intuire che la storia che la serie intende raccontare è solo una riedizione di cliché già visti. Non solo in Suburra, serie e film. Ma anche nei tanti prodotti che l’hanno preceduta o seguita in questi tre anni. Da Gomorra che ha settato lo standard a prodotti esteri come l’inglese Gangs of London e la norvegese Gangs of Oslo passando per la più intelligente svedese Snabba Cash.
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Problema che non sembra interessare agli autori che sposano la filosofia del Principe di Salina, ma accelerandone i tempi. Succede lo stesso, infatti, per gli eventi in Vaticano dove una nuova corrente si impone con una velocità aliena dai ritmi lenti a cui eravamo abituati. Ancora una volta Suburraeterna preferisce affidarsi all’usato sicuro giustificandolo blandamente con il riferimento velato alla cronaca giudiziaria e politica reale. Così Cinaglia briga per realizzare l’affare del momento che è poi la costruzione del nuovo stadio di cui si è parlato a Roma proprio in questi ultimi tre anni. Il clima di insoddisfazione popolare tracima nella serie attraverso manifestazioni continue la cui violenza è esagerata ad hoc per fare da contraltare ideale a quella del mondo di mezzo abitato da politici, faccendieri, cardinali e criminali vari.
Suburraeterna parte con il pedale premuto fino in fondo correndo, però, verso un luogo già noto dove non c’è, in verità, nessuna fretta di arrivare.

Da vedere si o no?
Giunti a questo punto, la domanda ovvia è se il 14 Novembre prossimo venturo convenga scegliere Suburraeterna tra le proposte che Netflix offrirà quel giorno. Prudenza vuole che si risponda in maniera affermativa. Due episodi in anteprima dicono molto, ma non tutto. Nei restanti sei c’è tempo di correggere la rotta e persino di stravolgerla. Soprattutto se si continua ad andare così rapidamente. E poi c’è sicuramente la curiosità di vedere come due attori bravi come Giacomo Ferrara e Filippo Nigro riusciranno ad adattare il loro registro narrativo agli unici due personaggi che si trovano in una situazione diversa.
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Cinaglia non è più, infatti, il neofita ambizioso che doveva imparare a nuotare tra gli squali. Piuttosto è il capo indiscusso di un branco di lupi famelici alle prese con il giovane sfidante. Spadino è più alle prese con la versione criminale del figliol prodigo che con quella del figlio reietto a cui nessuno vuole dare la corona. Quella corona che ora potrebbe dover indossare proprio quando aveva deciso di impugnare il mixer invece che lo scettro.
Basteranno queste due note diverse ad aggiungere qualcosa di nuovo allo spartito di Suburraeterna? Difficile dirlo perché il rischio grosso è che il loro suono si perda tra la cacofonia chiassosa intonata da suonatori ingaggiati per ripetere lo stesso spettacolo. Il che, attenzione, potrebbe anche non essere necessariamente un male. Dopotutto, il proliferare di serie criminali sta ad indicare che il genere ha una platea sufficientemente vasta da motivare operazioni di questo genere. Insomma, chi ha amato Suburra potrebbe anche, se non amare, almeno apprezzare anche una serie come Suburraeterna che intende ricalcarne lo stile, i personaggi, le tematiche, gli eventi. In fondo, è improbabile che chi è goloso di gelati rifiuti l’offerta di un ennesimo cono anche se non è della sua gelateria preferita, ma solo della nuova sede periferica aperta senza il titolare.
Resta solo da capire se tre anni sono abbastanza per digerire tutto quello precedente. Forse si. E forse si, anche Suburraeterna avrà, se non il successo di Suburra, almeno quanto basta per portare a casa una dignitosa promozione con il minimo sindacale.
Suburraeterna: la recensione
Giudizio Complessivo
Un sequel che non vuole innovare ma ripetere quanto già detto nella speranza che la nostalgia faccia il suo effetto