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Deadwood: La recensione della serie TV cult con Timothy Olyphant e Ian McShane

La cinematografia ci ha tramandato tue tipologie di western: quelli alla John Wayne, dove il colpo di pistola al massimo crea un foro non sanguinolento e l’eroe buono ha alti ideali ed è senza macchia e i western brutti sporchi e cattivi, alla Sergio Leone o alla Soldato Blu.

La serie TV di HBO, Deadwood, appartiene a questa seconda categoria, e se possibile è ancora più brutta sporca e cattiva di quello che i classici del genere ci hanno insegnato.

Di cosa parla Deadwood?

Teatro delle vicende è la Deadwood – South Dakota – del 1870, città senza regole e senza leggi, non solo per finzione.

Le mosse del racconto prendono il via dall’arrivo contemporaneo di Seth Bullock e del suo socio Sol Star,  intenzionati a far fortuna in questa miniera di opportunità che era il West, e del leggendario Wild Bill Hickock con la sua compagine di pistoleri.

Il “signorotto” della città è tale Al Swearengen, proprietario del Gem Saloon, bar e bordello, che con i suoi modi da bulletto e la terrazza che dà sulla via principale, ha il controllo sui fatti dell’intera città.

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Deadwood recensione della serie TV cult

Un mix tra finzione e realtà

Lo show, creato da David Milch, lo stesso di NYPD, mescola personaggi effettivamente esistiti a personaggi fittizi, in un realismo che a volte risulta quasi disturbante.

Già nella prima puntata si capisce di che pasta è fatta la serie. La parola “fuck” è pronunciata 43 volte –  2.980 volte in 36 episodi, con una media di 1,56 varianti per ogni minuto mandato in onda – e  già ci sono i primi omicidi. Della serie, alla larga gli stomaci deboli.

La violenza non è mai nascosta, e non è mai lasciata sottintesa. D’altra parte sarebbe stata pura ipocrisia mettere sotto una patina nebbiosa uno dei periodi più violenti e senza regole della storia americana.

La forza di Deadwood è la sua coralità

E’ difficile, anzi è proprio impossibile, nelle poche righe di questa recensione di Deadwood, rendere omaggio ad una serie così corale e incisiva nel panorama seriale internazionale.

Anzi forse sarebbe riduttivo soffermarsi sulle vicende dei singoli personaggi, perché è proprio nelle loro interazioni, nella coralità del movimento, che lo show acquista la sua forza prorompente.

La terza e ultima stagione è proprio quella più appassionante e affascinante, quando la stessa Deadwood, che paradossalmente si è creata un codice di comportamento, si trova ad essere in pericolo e i suoi abitanti si uniscono, in barba ai credo politici e agli attriti  e violenze passati, per difenderla da chi la minaccia.

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Un cast stellare che ci mancherà

Un cast stellare, perfettamente calato nella propria parte che riesce ad affrescare una serie di caratteri e personaggi che possiamo incontrare non solo nell’antico west ma nella vita di tutti i giorni. Il prepotente (Al Swearngen), l’integerrimo (Bullock), il servile giullare di corte (Farnum), l’autolesionista (Calamity Jane), il forte coi deboli e debole coi forti (Tolliver).

Impressionante anche il parco dei caratteristi fuori dal comune che forniscono interpretazioni memorabili e che contribuiscono a creare un’atmosfera piena di contrasti e contraddizioni. Come dimenticare il “garzone” di Farnum, l’imbecille Richardson, o la storpia Jewel (osservate il modo in cui Swearngen la schernisce e offende in continuazione, ma alla fine la comnsidera parte della “sua” famiglia), la mastodontica Aunt Lou, cuoca di Hearst e Wu, che riesce ad intendersi solo con “Swedgen”.

Ian McShane in un’interpretazione maestosa

Maestosa, indimenticabile, perfetta l’interpretazione di Ian McShane (per il ruolo ha vinto un Golden Globe): il suo Al Swearngen è uno dei personaggi più belli e disturbanti che si siano visti in tv.

Arrogante, violento, calcolatore, ma con in fondo una sua morale, che viene a galla con Trixie. La sua prostituta preferita che alla fine lascia alle più amorevoli braccia di Sol Star, e nella lotta con Hearst. Cercatore d’oro, simile ad un folle Re Lear, che non esita ad ammazzare a destra e manca per arrivare al suo scopo.
Altre grandi interpretazioni quella di Brad Dourif nei panni di Doc Cochran, l’unico che riesce ad alzare la voce e zittire Swearngen.

Deadwood recensione della serie TV – Timothy Olyphant e Ian McShane

La corsa all’oro, fa cornice alla storia

In sottofondo, per lo meno nella prima metà della serie, la corsa all’oro, che diventa preponderante nella parte finale della serie.

La serie TV si compone di sole tre stagioni per un totale di 36 episodi. A causa dei costi di produzione elevatissimi è stata chiusa anzitempo, lasciando la sensazione di qualcosa incompiuto. Stessa sorte occorsa a Carnivale, altro gioiellino HBO, e defunto giovane.

Il film conclusivo del 2019

Nel 2019 è stato prodotto e mandato in onda un film conclusivo diretto da Daniel Minahan e scritto da David Milch. La storia è ambientata nel 1889, circa 11 anni dopo la fine dalle vicende della serie.

Deadwood recensione della serie tv cult

Una serie TV per amanti del genere western

Non è un telefilm facilissimo ed immediato. Deve piacere sicuramente l’ambientazione, si deve sopportare il dirompere della violenza e delle volgarità, perché come detto nulla è lasciato sottointeso.

Se si riesce a fare un piccolo sforzo e accettare tutto questo, ci si trova davanti ad un piccolo capolavoro.

Una di quelle serie TV talmente coinvolgente e appassionante che seduce, pian piano, tanto che una volta conclusa, ci si comincia a rendere conto quanto manchi il cattivo carattere di Al, i modi delicati di Joanie, le trivialità di Trixie, le urla di Doc e la voce di Bullock.

Per lo sforzo di ricreare con dettagli maniacali il west di fine ‘800, a partire dai costumi e dagli stivali polverosi, dal fango nelle strade e dai bicchieri di whiskey ogni tre per due, per l’interpretazione fenomenale dell’intero cast, la serie merita il massimo dei voti. Una serie cult da recuperare sempre.

Considerazioni a margine: Deadwood, così come accaduto per Carnivàle e The Wire, serie cult, è stato sottovalutato e ha ricevuto limitate nomination. I premi sono stati generalmente vinti per categorie “minori” (make up, costumi, acconciature….devo continuare?) mentre poche per categorie più importanti.

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