
ZeroZeroZero: tutto il mondo è Gomorra – Recensione della prima stagione
Prima che globalizzazione diventasse un termine alla moda da infilare in ogni conversazione su un argomento a piacere era stata la saggezza anonima dei proverbi popolani a ricordarcelo. Tutto il mondo è paese. Bastava ripescare questa abusata citazione per commentare come certe cose non conoscono confini geografici e non fanno distinzione di lingua, cultura, abitudini, tradizioni. Tutto il mondo è paese. Soprattutto quando si parla di criminalità organizzata. Dimostrarlo attraverso le vicende legate ad un carico di cocaina è quanto si proponeva ZeroZeroZero. Magari intrattenendo anche nel frattempo.

Un duo collaudato per una lezione già imparata
Conoscere i genitori di un nuovo ospite è un ottimo modo per capire cosa aspettarsi. Consiglio che si rivela particolarmente adatto nel caso di ZeroZeroZero che deve i suoi natali alla rodata collaborazione tra Roberto Saviano, autore del romanzo – inchiesta omonimo, e Stefano Sollima, creatore della serie e regista di alcuni episodi. Una coppia a cui va ascritto il successo internazionale di Gomorra che ha raccontato al mondo romanzandole opportunamente le faide di camorra tra i clan di Secondigliano, Scampia, centro storico e provincia.
Sollima e Saviano sanno bene ciò che ogni appassionato di serie tv ha imparato presto. Ossia che l’attraente esplosività degli esordi è destinata a scemare lentamente a causa dell’inevitabile logorio di stagioni che si ripetono più per lucrare sul successo che per raccontare qualcosa di nuovo. E si preparano al momento in cui anche per Gomorra si dovrà scrivere la parola fine proponendo una nuova serie dello stesso genere. In fondo, ZeroZeroZero è proprio questo. Una nuova nave da crociera che riprende il progetto della precedente provando ad ampliarlo e rinnovarlo. E magari arricchendo l’offerta.
ZeroZeroZero diventa perciò una e trina. Se Gomorra era ed è il racconto di una singola storia di guerra tra clan ogni anno diversi, ZeroZeroZero scinde la narrazione in tre filoni principali collegati, ma capaci di proseguire in modo indipendente. Un progetto decisamente più ambizioso, ma fondato su una base collaudata. Questo rappresenta, infatti, la storyline del vecchio boss don Mino e di suo nipote Stefano, ora alleati, ora nemici, in una lotta per il dominio sulla ‘ndrangheta.
Sostituire i clan napoletani con le meno note, ma anche più ricche e potente ‘ndrine calabresi è sia una necessità che una opportunità che Saviano e Sollima non si lasciano sfuggire. Perché permette loro di allungare facilmente lo sguardo arrivando fino al Messico da cui la cocaina proviene. E perché sposta la serie dai quartieri degradati della periferia partenopea alle asprezze delle montagne della Sila e dell’Aspromonte. Una ventata di aria fresca che finisce tuttavia per avere lo stesso profumo di Gomorra.
Perché, appunto, tutto il mondo è paese e le guerre parlano la stessa lingua anche se il dialetto è diverso. Tutto diventa, perciò, piuttosto prevedibile perché la lezione di cui Saviano e Sollima è stata imparata bene dagli spettatori stessi.
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Il giro del mondo di chi fa solo affari
Maggiore interesse hanno, invece, le due storie parallele che la serie racconta. La cocaina inonda dalla Calabria i mercati locali e del nord, ma deve prima arrivarci in Calabria. Ed a questo pensano non i picciotti dei clan, ma piuttosto la rete di uomini d’affari di cui Edward Lynwood è l’esponente principale. Solo all’inizio, però, perché il personaggio interpretato da Gabriel Byrne si rivela una perla introdotta solo per attirare l’attenzione del mercato televisivo internazionale con un nome hollywoodiano. Sono, invece, i suoi figli Emma e Chris ad assicurarsi che il carico del tanto prezioso quanto venefico oro bianco arrivi a destinazione.
Seguire le peripezie dei due rampolli è la mongolfiera ideale che permette a ZeroZeroZero di volare su un mondo che Gomorra non aveva esplorato. Geograficamente perché la serie si muove su differenti location, tra le polverose strade messicane e gli oceani solcati da navi container, tra i deserti infestati da terroristi islamici e i paesi africani martoriati dalla corruzione dilagante. E antropologicamente perché permette di conoscere personaggi appartenenti a culture diverse e modi di pensare differenti, ma uniti dalla sola verità universale. Che i soldi non sono né sporchi né puliti, ma solo e sempre soldi. E che gli affari si devono portare a termine indipendentemente dal loro essere legali o meno.
È questa convinzione insegnatale dal padre a permettere ad Emma di affrontare con determinazione incrollabile e testarda efficienza le difficoltà innumerevoli che si frappongono alla buona riuscita finale della transazione. Anche perché solo in questo modo potrà dimostrare a sé stessa di essere la degna erede di cotanto padre. Un genitore che a suo modo è stato prima di tutto un mentore a cui si deve rispetto e ammirazione. Stesso motivo per cui Chris è disposto a rischiare anche la vita pur di sentirsi un Lynwood. Per dare un senso al proprio cammino prima che la malattia mortale lo interrompa troppo presto.
Motivazioni che normalmente sarebbero state virtù di un aspirante uomo d’affari degno di ereditare un’avviata attività di successo. Ma è proprio questa la lezione aggiuntiva di ZeroZeroZero. Si può e si deve maturare per poter gestire affari di quella dimensione. E poco importa quali regole bisogna violare. Basta ricordare l’unica che davvero conta. Gli affari sono affari sempre e comunque.


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Troppo vicini al confine
Gli affari sono affari e i soldi sono soldi. Due tautologie semantiche le cui conseguenze possono essere devastanti se ci si trova a muoversi vicino al confine tra ciò che è legale e ciò che non lo è. Come accade nella finzione di ZeroZeroZero al gruppo di militari delle forze speciali dell’esercito messicano guidato dal comandante Manuel. Una squadra a cui tutto è permesso in nome dello scopo superiore di abbattere il potere dei cartelli della droga. Un’interpretazione letterale del machiavellico fine che giustifica i mezzi. Dove i mezzi possono includere furti, torture, omicidi. Un costante violare la legge che rende ambigua la distinzione tra buoni e cattivi.
Tanto ambigua che passare definitivamente oltre il confine e diventare ciò che si stava combattendo è un passo fin troppo breve e facile. Quasi ovvio. A dirlo è la serie, ma a dimostrarlo è la realtà che fa dei Vampiri di Manuel solo una pallida copia dei ben più spietati Los Zetas che proprio questo percorso (da corpi speciali a signori della droga) hanno compiuto con una macabra scia di sangue. È, forse, proprio questo evidente allineamento tra cronaca e serialità a fare di questa storyline la più credibile tra quelle di ZeroZeroZero.
Ulteriore pregio è anche l’idea di Saviano e Sollima di affidarne la conduzione ad un personaggio atipico per i canoni del crime italiano. Manuel è, infatti, mosso da una fede acritica nelle proprie scelte che gli deriva dalla convinzione che tutto fa parte di un piano divino inconoscibile. La certezza che la risposta ad ogni dubbio non potrà mai essere sbagliata perché già scritta da chi non ha bisogno di dirla esplicitamente. Una chiara contraddizione illogica, ma non irrealistica in un paese come il Messico dove è diffuso il culto della Santa Muerte. Dove persino i criminali più spietati possono assolvere sé stessi. Come fa appunto Manuel.
La prima stagione di ZeroZeroZero si chiude con un finale che mette un punto fermo alle tre storyline raccontate. Potrebbero continuare in una seconda stagione, ma anche fermarsi qui. Dopotutto, il suo compito la serie lo ha svolto. Dimostrare che tutto il mondo è paese. Ma troppo spesso quel paese è Gomorra.
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