
Wild Wild Country: Osho non è solo un meme – Recensione del documentario di Netflix
Molti conoscono Osho solo come un meme. Come una figura barbuta e vestita strana associata a perle di saggezza ridicole. Ma Bhagwan Shree Rajneesh è stato un famosissimo e controverso maestro spirituale indiano che ha saputo affascinare e attirare sè un grandissimo numero di persone che gli hanno offerto una fede e una fedeltà incrollabili e che ancora addesso, in tutto il mondo, continuano a seguire i suoi insegnamenti. Osho ha saputo offrire all’occidente una spiritualità tutta orientale, in un momento storico delicato e complesso assetato di nuovi impulsi e di nuove verità in contrasto con il progresso e il capitalismo sfrenato di quegli anni, incitando alla ribellione contro le regole e le imposizioni della società, in una ricerca profonda del sè e di un’armonia gioiosa con tutti gli uomini e la natura.
Un mistico insomma, ma anche un uomo ricco di contraddizioni e stranezze (come la sua passione per le Rolls Royce e i Rolex di diamanti) circondato da eventi stupefacenti e spesso inquietanti che ancora oggi restano avvolti in un velo di mistero.
LEGGI ANCHE: Waco: la tragedia degli opposti fanatismi – Recensione della miniserie con Taylor Kitsch e Michael Shannon
Ma cos’è questo Wild Wild Country?
Netflix dedica alla controversa figura di Osho un documentario in sei puntate, prodotto dai fratelli Duplass, e in particolare sceglie di raccontare la parentesi americana del santone indiano, che negli anni ’80 decise di mettere in atto in Oregon un esperimento sociale e religioso. Lasciato il suo ashram in India, che raccoglieva ogni anno migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, Osho decide di fondare una comune a Antelope, un piccolo paesino americano sperduto nel nulla, costruendo in pochi mesi su un terreno agricolo spoglio una città in grado di ospitare 10.000 persone. Qui avrebbe radunato i suoi discepoli, qui insieme a loro avrebbe creato il mondo ideale di fratellanza e libertà che immaginava. Una comunità libera da costrizioni sociali e religiose, autosussistente e che potesse diventare un esempio per tutto il mondo. Una città che effettivamente ha prosperato per quattro anni prima di essere smantellata completamente.
È questo quindi il Wild Wild Country del titolo? La città di Rajneeshpuram con le sue danze sfrenate e il sesso libero? O forse il Wild Wild Country è quell’America che improvvisamente si ritrova a fare i conti con un gruppo di persone vestite di rosso e decise a stravolgere ogni regola sociale e a vivere a modo loro, rispondendo solo a sè stesse e alla loro guida spirituale? Persone difficili da incasellare, difficili da controllare e quindi pericolose.
In fondo Wild Wild Country di Osho parla poco, non si concentra sui suoi insegnamenti spirituali, sulle sue tecniche di meditazione e anche la parte video dedicata a lui è alquanto scarna se si considerano le sei ore di documentario. Ma è una scelta precisa dettata dalla necessità di tracciare un dipinto dai contorni sfumati che presenta numerose sfaccettature della realtà senza arrivare mai definitvamente a dare dei giudizi definitivi.
LEGGI ANCHE: Before the Flood – Punto di Non Ritorno: la recensione del documentario di Leonardo Di Caprio
Wild Wild Country parla in realtà di umanità e della sua bizzarria
La bellezza di questo documentario sta nella sua struttura narrativa, nel suo modo di svelare i fatti a poco a poco, intrecciando numerosissimi filmati dell’epoca a interviste ai protagonisti di una e dell’altra fazione. Sia di chi visse quell’esperienza come un’esperienza meravigliosa che cambiò per sempre la sua vita, sia di chi vi si oppose con tutte le sue forze, sicuro di combattere un malvagio nemico.
Accompagnano le vicende le interviste alla segretaria personale di Osho, Sheela, forse la vera protagonista di questo documentario e sicuramente una delle figure più affascinanti e inquietanti, agli abitanti della cittadina di Antelope, anziani e un po’ bigotti, agli avvocati, ai giornalisti, alle forze dell’ordine che diedero la caccia a Osho e ai suoi discepoli. E poi ai fedeli appassionati e agli spietati detrattori.
Erano i seguaci di Osho dei pazzi fanatici? Degli spostati traviati da una figura in grado di soggiogarli con il suo carisma? Era Osho solo un pupazzo nelle mani di Sheela? Oppure era davvero un mistico illuminato dalla sconfinata saggezza? Era la sua comune solo un mezzo per spillare soldi a degli sciocchi? O Rajneeshpuram era un paradiso in terra che la società dell’epoca non è riuscita ad accettare e comprendere? Hanno gli Stati Uniti messo in atto una lotta spietata e insensata contro una minaccia inesistente? O quello di Osho era davvero un pericolosa setta?
Aldilà di antipatie e simpatie personali, di eventi davvero inquietanti, di accuse condivisibili o no, il documentario dipana una storia affascinante e coinvolgente (soprattutto per chi non la conosce) che lascia incerti fino all’ultimo secondo, presentando un’umanità variegata che nell’errore o nel giusto si è lasciata guidare da fortissime passioni. Da convinzioni incrollabili. Da fede cieca. Da amore puro. Passioni che restano vive fino al giorno d’oggi in quei protagonisti, senza che essi siano in grado, anche dopo così tanti anni, di offrire una visione oggettiva di quanto abbiano vissuto. Vittime? Oppressori? Starà allo spettatore provare a farlo. Ma l’impresa non sarà certo facile.
Non voglio rivelarvi nulla di più di questo Wild Wild Country perchè l’avventura merita di essere gustata senza pregiudizi o spoiler. Ma posso anticiparvi che ci saranno tentati omicidi, persone bizzarramente vestite, avvelenamenti, sesso libero, castori frullati e tanto altro che vi lascerà confusi e sbigottiti.
Un altro grande documentario che ci fa dire, grazie Netflix!
Visitor Rating: 5 Stars