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White Collar, il fascino è criminale

L’espressione “white collar – colletti bianchi” si riferisce a quelle figure professionali che svolgono mansioni prettamente d’ufficio e sono contrapposte ai “colletti blu” che, al contrario, svolgono lavori manuali. I “colletti bianchi” sono per lo più diplomati e/o laureati e il loro lavoro richiede funzioni amministrative. L’origine del termine risale allo scrittore americano Upton Sinclair che coniò l’espressione per descrivere, durante gli anni ’30, il nuovo ceto professionale di amministratori e manager.

Analogamente in criminologia, l’espressione “white collar crime” è stata definita da Edwin Sutherland come “un crimine commesso da una persona rispettabile di elevato status sociale nel corso della sua occupazione”. Sutherland credeva che il comportamento criminale fosse fortemente influenzato dall’interazione con gli altri individui. Per tale ragione, il “crimine dei colletti bianchi” coincide con il crimine aziendale in quanto le occasioni di frode, corruzione, insider trading, appropriazione indebita, furto di identità, contraffazione e crimine informatico sono largamente disponibili agli impiegati aziendali (detti appunto “colletti bianchi”).

Questo mese vorrei presentarvi una serie che non molti di voi avranno sentito nominare, ma che tra tutti quei grossi prodotti delle enormi reti broadcast spicca per la sua freschezza: White Collar.

Targata USA Network, che ha speso ben 10 milioni di bei dollaroni per promuoverla, White Collar è una piccola perla nata dalla penna dell’esordiente Jeff Eastin.

Neal Caffrey è un ladro e falsario, quello che si direbbe un genio della truffa. Mentre sta scontando gli ultimi tre mesi di condanna in un carcere di massima sicurezza, l’uomo riesce all’improvviso ad evadere per mettersi alla ricerca della fidazata che teme essere in pericolo. Peter Burke, l’agente dell’FBI che lo aveva arrestato la prima volta, lo cattura nuovamente dopo poche ore dopo l’evasione ma, approfittando di un caso su cui Peter sta lavorando, Neal propone al poliziotto un accordo: la sua “esperienza” a servizio del Bureau in cambio della libertà vigilata.

La trama non è certo delle più originali, ricalca infatti il film Prova a Prendermi con Leonardo Di Caprio e Tom Hanks, ma non è questo il suo punto forte. Ciò che attrae lo spettatore sono sì i personaggi (non a caso lo slogan del network è “characters welcome”) ma ancor più la relazione che si instaura tra di essi.

Il cast non poteva ricadere su scelte migliori, a partire da Matthew Bomer, una sorta di paladino delle serie sfortunate (da Tru Calling a Traveler, fino al più recente Chuck), che veste con estrema naturalezza gli eleganti abiti di Neal Caffrey: affascinante, ironico, abile e due occhi azzurri che gli donano quell’aria apparentemente innocente. Neal è il classico fuorilegge alla Robin Hood, con lo charme di Humphrey Bogart e la “faccia da schiaffi” di George Clooney. Romantico e innamoratissimo della sua Kate, pare proprio un uomo di un’altra epoca ed è intenzionato più che mai a trovare la sua fidanzata, nonostante la sua ricerca gli possa costare l’ergastolo.

Tim DeKay, lasciato il cast di Carnivale e Tell Me You Love Me, dopo qualche apparizione in svariati show è ora l’agente dell’FBI Peter Burke: rigido, onesto, un uomo tutto d’un pezzo che segue sempre le regole e il protocollo e che, nonostante non lo voglia ammettere, dopo tre anni di inseguimenti si è a suo modo affezionato a Neal, sviluppando un’amicizia indubbiamente particolare.

Ma la vera sorpresa è Tiffani Thiessen che, se per qualcuno può essere un motivo per il quale evitare a priori questa serie, sembra finalmente aver trovato il ruolo giusto per lei. Tiffani è in questa serie Elizabeth Burke, la moglie di Peter. Premurosa e comprensiva, la sua presenza è marginale ma costante, tuttavia mai forzata.

Infine Willie Garson è Mozzie, l’immancabile macchietta. (Unico) amico fidato di Neal, vanta una vasta rete di conoscenze e risorse di discutibile legalità.

In questo quadretto, ogni settimana ci troviamo di fronte ad un crimine da risolvere di colletti bianchi e parallelamente un nuovo indizio che ci avvicina o ci allontana all’identità dell’uomo la cui misteriosa “mano con l’anello” sembra tenere in ostaggio Kate nel video della sorveglianza di un aeroporto. La trama orizzontale si svolge tuttavia in maniera quasi impercettibile: è sì il fattore comune che lega i vari episodi della stagione, ma non si impone come l’elemento principale della storia. Ogni singolo episodio è puro entertainment e il merito va proprio ai suoi personaggi e alla loro interazione: ciò che mi richiama ogni settimana alla New York di Neal è il rapporto di fiducia tra lui e Peter e vedere come si evolve, come Peter in realtà dipenda da Neal e non viceversa, gli allegri siparietti di Mozzie, la voce della coscienza di Elizabeth.

White Collar è una serie fresca, spiritosa, immediata. Non pretende di essere il nuovo fenomeno televisivo o di districarsi tra complotti su complotti. Conosce i propri limiti e utilizza sapientemente il proprio materiale, tanto che dal suo debutto ad ottobre il venerdì sera, il network televisivo ha spostato l’appuntamento al martedì e i buoni risultati di audience hanno fatto sì che venisse rinnovato per una seconda stagione.

Valentina Colombo

Loves TV series, geekeries and especially Joss Whedon. Serie preferite: Buffy, Supernatural, Firefly, Battlestar Galactica, Friday Night Lights, Glee, Doctor Who, Torchwood, White Collar, The Big Bang Theory, Leverage, Alias, The West Wing, Merlin, Agents of SHIELD, Suits, Sherlock Network:

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