Scritto tra il VI e il III secolo a.C. da un autore ignoto che afferma di essere stato re di Israele, l’Ecclesiaste (anche noto come Qoelet dal nome citato nel testo) è sicuramente uno dei libri più complessi della Bibbia. Una raccolta di riflessioni che sembrano un a parte nel racconto sacro permeate come sono di un senso filosofico e quasi laico che risalta per la sua unicità nel corpus sacro. Un libro di cui è famoso il verso amaro che recita vanità delle vanità, tutto è vanità.
Ragnar e un lungo addio?
Che c’entra un testo biblico dell’Antico Testamento con una serie tv che racconta le gesta di un re vichingo dell’Alto Medioevo? Potrebbe essere solo una boutade improvvisata di un recensore saccente. Ma smette di esserlo quando si cominci a notare che il re in questione non è più il guerriero invincibile e lo stratega astuto che abbiamo conosciuto nelle tre stagioni precedenti di Vikings. Il Ragnar tornato improvvisamente dall’esilio volontario non è più il contadino che ha saputo farsi re e l’esploratore insaziabile che ha saputo sfidare due regni possenti per soddisfare la sua inesausta sete di conoscere il mondo oltre i confini ristretti della ormai fiorente Kattegat. Ragnar ormai non fa paura a nessuno al punto che anche uno qualunque dei suoi supposti sudditi non esita a ingiuriarlo arrivando a sputargli in faccia. Non è più l’astro dorato la cui luce splende alta nel cielo a illuminare le vite dei suoi cari perché Aslaug ormai regna superba al suo posto circondata dalla corte fedele dei suoi figli ormai cresciuti. Neanche è più la bussola che indica la via da seguire con parole che sanno infiammare gli animi infondendo fiducia incondizionata perché adesso è Bjorn a incantare con la promessa di nuovi mari e ricche terre da esplorare convincendo Floki su tutti, ma anche Harald e Halfdan i cui eserciti tanto sarebbero serviti a Ragnar. “Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole?” si domanda Qoelet. “Nessuna” risponderebbe il Ragnar attuale che affronta la sua ora più buia. Ed è questa amara consapevolezza che lo aveva spinto prima al tentato suicidio ed ora ad una missione insensata dove un gruppo palesemente inadeguato lo scorta in un ultimo viaggio verso quel Wessex dove dovrebbe compiersi una improponibile vendetta. Per quanto affranto e derelitto, Ragnar però non è stupido ed è la certezza dell’impossibilità di una battaglia a convincerlo a sterminare i pochi superstiti perché altro e impronunciabile è lo scopo del suo ardito ritorno nelle terre di un Ecbert sempre più sicuro di sé e di un Aethelwulf comunque sospettoso. E, a giudicare dal sorriso appena accennato, forse è proprio il principe inglese ad avere ragione. Che sia una probabile morte l’ultima arma che Ragnar vuole giocare? Che sia quella il solo modo di convincere i suoi restii concittadini a cercare la conquista a cui hanno rinunciato?
Ivar e l’erede che non era stato previsto
Perché, dopotutto, Ragnar sa quel che Qoelet ricorda: “una generazione va, un’altra viene, ma la terra resta sempre la stessa”. Quanti dei nostri eroi vichinghi sono già morti? Leif, Arne, Torstein e quel vichingo onorario che è stato Athelstan. Floki e Ragnar sono ormai avanti con gli anni (anche se sembrano non invecchiare mai) ed è chiaro ormai che una nuova generazione si sta preparando a prendere inevitabilmente il loro posto. Ma la terra resterà la stessa; i mari da solcare saranno ugualmente tempestosi; le battaglie da combattere identicamente sanguinose; la corona da indossare comunque pesante. “Chi vuole essere re?” aveva domandato Ragnar ai suoi figli muti e ad un popolo attonito. Una domanda coraggiosa a cui ora lo stesso Ragnar ha dato una risposta inattesa. Non importa la vanità di un titolo perché quel che conta è il coraggio di un ruolo. E quel coraggio lo ha visto Ragnar solo nel più improbabile dei suoi eredi. Lo ha riconosciuto con certezza adamantina solo nel suo errore più grande. In quell’Ivar che è diventato grande non nonostante le sue gambe menomate, ma grazie alla sua disabilità permanente. Perché quella che Ragnar aveva visto come una condanna inappellabile è diventata il fuoco inestinguibile che ha acceso in Ivar la fiamma ardente di un coraggio indomito e di una intelligenza sottile. Ivar non è Ragnar, ma è la generazione che deve venire. Perché, se la terra rimarrà sempre la stessa, sempre le stesse dovranno essere le doti indispensabili per affrontare sfide sempre uguali nelle pur apparenti diversità. E quelle doti finalmente Ragnar le ha viste in quel figlio che aveva rifiutato e a cui ora riconosce le lodi e le scuse che merita.
Anche lontani da Ragnar e Ivar, si riesce a sentire la lezione di Qoelet nelle parole “ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà”. Ciò che è stato: la conquista di Kattegat e del titolo di re e la ricerca di nuove terre da razziare. Se prima era stato Ragnar a desiderare quella spada del potere che Aslaug sembra portare in corteo e le coste inglesi la meta da raggiungere, ora è Lagertha (aiutata dalla scarsa preveggenza di Ubbe e Sigurd e dalla fedeltà sodale di Torvi) ad ambire al trono con una vittoria fin troppo rapida e semplice, mentre è il Mediterraneo il mare distante da raggiungere con le nuove navi che Floki ha costruito per Bjorn. Ma “c’è forse qualcosa di cui si possa dire guarda questa è una novità?” ci troviamo a domandarci ancora con Qoelet. Basta sostituire l’ambizioso Ragnar della prima stagione con la rancorosa Lagertha di oggi per dire che il conflitto a Kattegat è una novità? O bisogna considerare il ritorno di Rollo alla sua natura vichinga sigillato da quel battesimo crudele del giro di chiglia (gesto probabilmente anacronistico essendo in uso tra i pirati secoli dopo) l’aspetto innovativo del viaggio di Bjorn (benedetto anche da un cameo di Giovanni Scoto Eriugena che testimonia l’attenzione della serie per la realtà storica)? Due storyline che non vanno considerate per la novità che vorrebbero rappresentare, ma quanto piuttosto come avvertimenti sottili che la serie manda agli spettatori più attenti. Lagertha è ormai completamente autonoma e può lanciarsi in avventure senza preoccuparsi del giudizio di Ragnar. Allo stesso modo, Bjorn ha ormai la stessa sete di conoscere e la medesima capacità di prevedere il comportamento altrui che sono state le armi più efficaci con cui Ragnar è asceso al potere massimo. Tutti sono pronti ormai ad andare avanti senza Ragnar. Cosa significa questo? A chi legge l’onere di pronunciare la troppo triste risposta.
La seconda parte della quarta stagione sembra essere iniziata nel modo più adatto a riportare sulla giusta strada una serie che troppi sentieri inutili aveva imboccato nella prima parte. Proprio quello che speravamo per poter rubare l’ultima citazione a Qoelet e dire che per Vikings“l’occhio non si sazia mai di guardare né mai l’orecchio è sazio di udire”.
Voto: 3.5/5
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In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco