
Vikings: Recensione dell’episodio 1.06 – Burial of the Dead
Lo splendido quinto episodio aveva intrecciato in modo sapiente diversi piani narrativi, dall’evoluzione dei personaggi al confronto tra le culture e all’approfondimento religioso, portando avanti lo sviluppo della trama così come si era delineata dal suo avvio, nel solco dello scontro generazionale. Tutta la preparazione aveva il fine di introdurre questo episodio come momento di chiusura di un ciclo narrativo e di apertura di un nuovo “viaggio”, non solo metaforico.
In questo, devo dire, Vikings riesce solo parzialmente. Innanzitutto c’è da dire che questo episodio è diviso rigidamente in blocchi; forse un po’ troppo rigidamente: il primo grande blocco è lo scontro finale, il secondo è un “intervallo didattico” o di decantazione da una trama alla successiva, l’ultimo è l’avvio della nuova storia e la presentazione delle nuove minacce. La struttura risulta fin troppo scolastica, senza un passaggio fluido e con un intermezzo eccessivamente divulgativo e lungo, che smorza il climax dell’episodio.
E dire che avevamo cominciato benissimo: il primo spezzone dell’episodio è veramente costruito con classe e la tensione è sempre alta, così come l’aspettativa. L’Earl accetta la sfida di Ragnar spinto sia dall’onore che dal senso di destino che lo richiama sulle sue decisioni tramite il ricordo delle parole del veggente; sa che non può sottrarsi a quello che è il suo fato, alla sfida contro il se stesso giovane, contro il suo “figlio putativo” ossia ciò che lui avrebbe voluto come figlio o immaginato per i suoi figli, ma spinto anche dalla pesantezza della sua storia e del suo passato che incombono su di lui. La parte più pregevole è la costruzione a specchio della notte di attesa prima dello scontro, in cui i due contendenti rimangono soli a discutere del proprio fato con le rispettive consorti. Se Lagertha pensa ad una via d’uscita, ad una fuga, per ricominciare da un altra parte, Siggy si fa tranquillizzare cedendo alle bugie del marito che la rassicura con la previsione dell’oracolo. Entrambe gli uomini escono da questo confronto con le consorti riferendosi al destino che è la catena che lega ogni vichingo alla sua vita e ci conduce dove siamo arrivati, al più volte citato Ragnarok, che altro non è che il punto focale del destino vichingo, il momento in cui si sfidano il bene e il male, i due opposti si scontrano ed il punto di svolta è raggiunto, così come lo si raggiunge alla fine del duello: il vecchio Earl muore e un nuovo Earl, giovane e che vuole osare e dare una spinta innovativa al suo popolo sorge.
Qui però finisce la parte migliore ed entriamo in un lungo e didascalico momento in cui ci vengono mostrate con dovizia di particolari l’elezione del nuovo capo e il funerale del vecchio, con l’uso di Athelstan peggiore che si potesse fare, ossia lo straniero che non sa niente e da la scusa ai personaggi presenti per descrivere le scene e mettere una bella didascalia ad ogni inquadratura. Oltretutto spesso con il supporto narrativo fornito dal figlio di Ragnar che sinceramente è il personaggio più antipatico dell’intera Scandinavia. Il risultato è di una pesantezza unica e purtroppo questo deriva dalla matrice del canale che “deve” anche istruire, e questo va anche bene in senso lato, ma a volte si scontra con il racconto televisivo, nel quale, anche se non capiamo ogni singolo dettaglio è sufficiente in alcune circostanze avere il quadro complessivo.
Terminato questo pezzo di episodio si mette la ciliegina con il “coming in the last episodes”, ossia un anticipazione di tutto ciò che vedremo:
Se ci fossimo fermati alla fine della prima sessione sarebbe stato un episodio da 4 setelle e mezza, ma purtroppo il resto della puntata abbassa decisamente la media. Certo c’è da dire che Vikings ha finora il pregio di non perdere tempo e saper aprire e chiudere cicli narrativi, quindi mi auguro che riparta con un nuovo racconto affascinante almeno quanto il primo.