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Il Viaggio: la recensione in anteprima del film di Nick Hamm

Titolo: Il Viaggio (The Journey)

Genere: storico, biografico

Anno: 2016

Durata: 1h 30m

Regia: Nick Hamm

Sceneggiatura: Colin Bateman

Cast principale: Timothy Spall, Colm Meaney, Freddie Highmore, Toby Stephens

La Storia, quella con la S maiuscola che l’anonimo manzoniano e ben prima di lui il retore arpinate Cicerone insigniva del prestigioso titolo di magistra vitae, raramente improvvisa recitando a soggetto. Ogni evento storico è sempre la conseguenza finale di una lunga catena di avvenimenti precedenti il cui succedersi con una logica non sempre facile da comprendere porta al risultato ultimo che resta poi impresso negli enciclopedici annali su cui tanto penano gli studenti svogliati. Eppure, alle volte, anche la Storia ha bisogno di smettere gli abiti secolari di una imperturbabile impersonalità per lasciarsi condurre da uomini e donne che si trovano ad essere le persone giuste nel momento giusto diventando quasi figure indispensabili per il corso degli eventi. Come è successo ai protagonisti del film di Nick Hamm che in un immaginifico viaggio (mai realmente accaduto) posano le fondamenta solide di una pace troppo a lungo attesa e tuttora solida.

The Journey

Un viaggio di poche ore per concludere 40 anni di guerra

Ian Paisley e Martin McGuinness sono due nomi che diranno poco allo spettatore medio italiano, ma che sono probabilmente ben noti e profondamente rispettati da chi vive in Irlanda del Nord. Una verde terra che per troppi anni ha dovuto asciugare il sangue dei morti di quella che è stata una strisciante ma non per questo meno opprimente guerra civile tra gli unionisti protestanti fedeli sudditi della corona britannica e i cattolici separatisti dell’IRA desiderosi di una riunificazione con la madre Irlanda. Un conflitto che, sebbene definito a bassa intensità, ha portato alla tomba oltre 3000 morti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Novanta e conclusosi infine con i cosiddetti Accordi del Venerdì Santo siglati a Belfast nel 1998 dalle opposte fazioni. A giocare un ruolo fondamentale nel processo di pace che da quegli accordi prese il via e a fare in modo che quella non fosse una falsa partenza furono proprio i due personaggi sopra citati, leader dei più oltranzisti dei partiti in gioco. Da un lato i fondamentalisti protestanti del Democratic Unionist Party e dall’altro i cattolici del Sinn Fein, ala politica della famigerata IRA (il braccio armato degli indipendentisti dell’Ulster).

Fu proprio l’imprevedibile amicizia che nacque sorprendentemente tra tanto inconciliabili nemici a scrivere la tanto attesa parola fine a quaranta anni di bombe e omicidi, di scioperi della fame e proteste violente. Il viaggio che un audace agente dell’intelligence britannica inventa come ultima possibilità per forzare i due a superare la reciproca avversione non è, in realtà, mai avvenuto, ma diventa una comoda metafora per raccontare il difficile percorso che Paisley e McGuinness dovettero compiere per diventare gli inseparabili amici che la storia recente ricorda. Il film di Hamm diventa un insolito mash up tra un leggero buddy movie (complici le battute sanguigne di McGuinness, le freddure di Paisley e le finte ingenuità del loro accompagnatore Jack) e un attento mockumentary su un momento cruciale della storia del paese natale del regista che fa abbondante uso di immagini di repertorio e didascalie esplicite per sintetizzare i passaggi più importanti che potrebbero essere ignoti a buona parte del pubblico. È proprio questo melange di stili inusuali a rischiare di essere divisivo.

Si può affrontare un argomento tanto delicato e che tanta sofferenza e lutti ha causato in una storia non troppo lontana con un tono che programmaticamente oscilla tra commedia e tragedia? Può una lunga guerra essere ridotta ad una questione tra due contendenti che battibeccano in auto come se i morti del passato fossero dispetti che si rinfacciano l’un l’altro in una macabra gara a chi l’ha fatta più grossa? Se il film viene approcciato con questo spirito critico, difficile che il giudizio finale possa essere positivo. Ma è anche vero che una simile interpretazione potrebbe anche essere eccessivamente manichea. Non è la prima volta, infatti, che il cinema ha provato a raccontare tragedie usando toni leggeri se non addirittura esplicitamente comici (e l’osannato La vita è bella di Benigni ne è solo l’esempio più illustre). Non va dimenticato che quella che Hamm vuole mettere in scena non è la storia del conflitto nordirlandese, ma piuttosto il modo dopotutto imprevedibile in cui questa guerra civile ha avuto fine. E questa fine è la storia di due uomini che hanno trovato il coraggio di andare contro il loro passato per scrivere un nuovo futuro.

The Journey

Tradire il passato restandone orgogliosi

Alla fine, Il Viaggio è paradossalmente la storia di un tradimento perché è questo che a Paisley e McGuinness è stato chiesto. Per tutta la loro vita, i due leader hanno predicato con parole infuocate e gesti incendiari fedi inconciliabili e la loro granitica fermezza è stato l’esempio saldo che ha convinto i seguaci dei due opposti schieramenti a lottare senza tregua e senza paura. Perché la causa da difendere era troppo importante per farsi fermare dalle proprie egoistiche debolezze. Ed adesso a loro è chiesto di essere proprio ciò che hanno sempre additato come il nemico più insidioso. Essere coloro che diranno che tutto ormai è inutile. Che non c’è più ragione di combattere. Che l’avversario odiato deve ora diventare l’amico apprezzato. Che i martiri che si sono sacrificati per una Irlanda indipendente hanno lo stesso valore delle vittime che credevano in una Irlanda suddita della corona inglese. Che non ci sono più un noi e un voi, ma piuttosto un unico e solo noi. La pace è sempre stata vista come una meta agognata e una terra promessa dove ogni sofferenza avrà fine. Difficilmente, però, ci si ricorda che, se la guerra ha un costo enorme, anche la pace ne ha uno e non è semplice trovare chi deve pagarlo. Perché fare pace significa anche rinnegare tutti i motivi in cui si è creduto così tanto da dedicare al suo contrario non solo la propria vita, ma quella di migliaia di altre persone che a te si sono affidati fiduciosi. Il costo della pace diventa quindi il coraggio di essere il bersaglio indifeso di chi ti accuserà di averlo ingannato. E la moneta con cui pagare questo pesante dazio è nelle mani di chi ha la forza di essere orgoglioso del proprio passato sapendo tuttavia riconoscere che il futuro si può costruire solo su un nuovo presente.

The Journey

Un two-men show

Il peso di queste decisioni cadde sulle fortunatamente capaci spalle di Paisley e McGuinness ed è sui loro interpreti che pesa la riuscita di un film a loro dedicato. Impeccabile, da questo punto di vista, la scelta del cast con Timothy Spall e Colm Meaney, che hanno finalmente l’occasione di evadere dai ruoli di comprimari a cui sono stati spesso condannati nelle loro lunghe carriere. Spall (che di recente era stato l’irritante storico negazionista David Irving ne La verità negata) si impossessa di un paio di tratti caratteristici di Paisley (gli occhi socchiusi, la risatina appena accennata, la vanità esibita con malcelato piacere) proponendoli, forse, con troppa insistenza, ma la sua interpretazione intensa rende bene la caparbietà di un sacerdote che seppe farsi prima leader inflessibile ed eccessivo (arrivando a definire Anticristo papa Giovanni Paolo II in occasione del suo discorso al Parlamento Europeo) per poi comprendere come il suo fondamentalismo non potesse essere più una pietra su cui erigere un domani duraturo. Più semplice, forse, il compito di Meaney, il cui McGuinness ha dopotutto molti dei tratti stereotipati dell’irlandese scherzoso e rissoso, appassionato e ironico. A salvare il personaggio dal rischio di essere solo una banale macchietta provvede, però, la bravura dell’attore di Dublino nel rendere i momenti pù riflessivi e sofferti riuscendo a dipingere un combattente che resta fiero delle sue battaglie nello stesso istante in cui rinuncia ad esse in nome di un bene tanto superiore da meritare ogni sforzo.

Il Viaggio è un film che non risalta né per la sceneggiatura né per la regia e che preferisce lasciare sullo sfondo argomenti che meriterebbero maggiori approfondimenti. Ha la pretesa di raccontare la Storia narrando una storia minima. Se ci riesce, non è per merito del film stesso, ma perché i suoi due protagonisti di quella Storia non sono state solo comparse insignificanti, ma attori principali.

Winny Enodrac

Vorrei vedere voi a viaggiare ogni giorno per almeno tre ore al giorno o a restare da soli causa impegni di lavoro ! Che altro puoi fare se non diventare un fan delle serie tv ? E chest' è !

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