
Via dalla pazza folla: Recensione del film tratto dal romanzo di Thomas Hardy con Carey Mulligan
Tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 1874 da Thomas Hardy, Via dalla pazza folla racconta la storia di una giovane inglese, Bathsheba Everdene (Carey Mulligan). Ereditata la fattoria dello zio la giovane donna passa dall’essere una semplice ragazza di campagna al diventare un’ereditiera sicura di sé.
Un cast stellare nell’adattamento del 2015 di Via dalla Pazza Folla
Come spesso accade, questa condizione non fa che generare la tipica condizione sociale in cui la sua ricchezza attira l’interesse dell’altro sesso. Tra gli esponenti del sesso maschile che si interessano a lei, ci sono in particolare tre uomini. Questi tre individui conducono tre stili di vita molto diversi tra loro. Il primo è Gabriel Oak (Matthias Schoenaerts), un pastore gentile e premuroso, nonchè gran lavoratore. Poi c’è William Boldwood (Michael Sheen), un uomo decisamente molto più anziano di lei. Quest’ultimo è facoltoso, timido e a tratti impacciato. Infine c’è Frank Troy (Tom Sturridge), un sergente passionale, audace ma anche poco affidabile. Incontrare questi uomini così diversi e tutti interessati a lei farà sì che Bathsheba scopra molto di se stessa.
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La storia di Thomas Hardy era già stata oggetto di adattamenti cinematografici, dei quali l’ultimo risalente al1967. Quest’ultimo era stato girato da John Schlesinger e interpretato da Julie Christie, Alan Bates, Terence Stamp e Peter Finch. Per questo adattamento di Via dalla Pazza Folla del 2015, dietro la macchina da presa troviamo il danese Thomas Vinterberg, regista già noto grazie a quel piccolo gioiellino che è Il Sospetto. A vestire i panni della bella Bathsheba c’è Carey Mulligan, mentre al suo fianco vediamo nelle vesti di suoi corteggiatori Matthias Schoenaert, Tom Sturridge e Michael Sheen.


Bathsheba, una protagonista dalla pagina al grande schermo
Vinterberg prova a raccontarci la storia di una ragazza vissuta nell’Inghilterra vittoriana ma molto moderna nel suo approccio alla vita, al lavoro e all’amore. Orfana di entrambi i genitori, Bathsheba è indipendente, tenace, disposta a sporcarsi le mani, se necessario. Sente di essere in grado di badare a se stessa e non accetta le regole che la società le vorrebbe imporre: trovare un marito, badare alla casa e ai figli. A lei piace andare a cavallo, non si tira indietro davanti al dover lavare le pecore né al licenziare un uomo alto e largo il doppio di lei, se pensa che se lo meriti e non lavora bene come dovrebbe. Così come non le importa se al mercato è l’unica donna a dover trattare per vendere i suoi semi. In poche parole è una donna modernissima in abiti molto, molto antichi.
Purtroppo però, il personaggio non riesce a rendere a pieno questa sua complessità. Non è unicamente colpa della interpretazione della Mulligan, sicuramente. C’è da valutare anche una mancanza di approfondimento del personaggio. Già il suo iniziale “Mi chiamo Bathsheba e non so perché”, lasciato un po’ così sospeso, doveva forse far presagire che molto di lei. Infatti, a parte la bellezza e la caparbietà, questo carattere forte e deciso, diverso per quel tempo, sembra cadere sotto i colpi di una saccenteria e volubilità che dopo un po’ iniziano a stufare. Bathsheba appare agli occhi dello spettatore più una bambina capricciosa che una donna in grado di tenere testa ad una società maschilista.
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Ovvietà e scene stucchevoli che nascondono le vere intenzioni del film
La pellicola inizia e prosegue in maniera ordinata, scadendo però più volte nella banalità. Infatti passiamo dall’essere immersi in cartiloneschi paesi bucolici (quasi tutti albeggianti) a brevi conversazioni che dicono poco. Arriviamo poi a tavoli conviviali in cui i protagonisti si scambiano languidi sguardi. In tutto questo, anche quando arriviamo a quello che dovrebbe rappresentare il culmine della passione, ci mordiamo la lingua per non ridere di fronte ad una delle scene che peggio rappresentano la virilità maschile. Insomma, quello che dovrebbe rappresentare una crescita di una donna moderna in un’epoca che vorrebbe schiacciare la sua personalità, diventa qualcosa di confuso e poco realistico. Poco avvincente, quando dovrebbe essere un’Anna Karenina all’inglese nelle sue avventure.
Per tutto il film ci sembra quasi che non ci sia la vera volontà di raccontare qualcosa della nostra protagonista. Poco scopriamo di lei, al di là della sua voglia di rompere gli schermi, venir meno alle convenzioni e non cadere nelle ovvietà. Sarà l’ingenuità o la voglia di colmare quel vuoto affettivo che da anni si porta dietro (cosa che supponiamo ma che il film non racconta) che la lascia inciampare in percorsi e destini sbagliati. Però sta di fatto che l’innovazione del suo personaggio rimane indietro, nascosta da scene romanticamente stucchevoli.


Bersaglio mancato per una pellicola storica “vuota”
Anche il resto dei personaggi rimane senza poco spessore, concedendo solo al pastore Oak, l’unico dei tre a rimanere al fianco della signorina Everdene per tutta la pellicola, più colori ed espressioni. Intorno a loro il silenzio della campagna inglese, l’odore del fieno, il belare delle pecore al pascolo. Che in alcuni casi è più interessante del belare degli uomini. I paesaggi di Via dalla Pazza Folla sono forse tra i protagonisti più interessanti e meglio raccontati della pellicola, poichè i loro colori e sentimenti sono ben evidenti anche senza aver bisogno di parlare di sè a parole.
Quella del 2015, in poche parole, resta quindi una pellicola che cerca ma fallisce nel raccontare un romanzo altrimenti profondo ed interessante. Mentre i costumi e le ambientazioni dicono tanto e i protagonisti sono, effettivamente, interpretati da ottimi attori, manca il cuore in questa pellicola. Manca il sentimento che Hardy avrebbe tanto voluto comunicare ai propri lettori. Resta quindi un’occasione sprecata, un film storico carino ma poco di più.