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Veep: la sesta stagione è come una vacanza prima del ritorno di Selina in politica

Iniziata dopo l’addio alla presidenza di Selina Meyer, la sesta stagione di Veep ci ha portato in un lungo viaggio su e giù per gli Stati Uniti, su e giù per il mondo, mentre l’ex donna più potente della Terra cercava goffamente di raschiare soldi, anche ai più loschi figuri, per finanziare la costruzione della propria biblioteca. Purtroppo la scelta narrativa non ha fatto altro che depotenziare la serie, anche perché estremamente depotenziati sono risultati quasi tutti i personaggi attorno a Julia Louis-Dreyfus. Alcuni erano fatalmente di troppo, come Dan, Ben e Kent, parcheggiati necessariamente altrove. Gli ultimi tre episodi della serie sono così risultati una boccata d’ossigeno mentre veniva rilanciata l’ipotesi di una nuova candidatura alle presidenziali di Selina, che poi si è materialmente realizzata in finale di stagione.

Anche perché Veep (e tutte le serie di Armando Iannucci) funziona quando può prendere in giro la politica, non solo i politici, al contrario dell’ultima stagione. Tuttavia queste ultime dieci puntate lontane dalla politica attiva hanno permesso di tratteggiare un lato ancora più pessimo della Meyer, non più solo donna politica sfrontata, ma anche persona pronta a scendere a patti con tiranni, intraprendere relazioni amorose con  affascinanti arabi imparentati con Al Qaeda, incentrare sulla propria figura feste di compleanno altrui, sfruttare le tragedie sociali dell’Africa, ignorare la figlia e la sua gravidanza a patto di non vedersi annullato l’assegno di mantenimento. Tutto per un unico scopo: lodare sé stessa, all’interno di una logica talmente egocentrica e rivolta alla propria persona da essere ben simboleggiata dalla struttura a forma di vagina della nuova biblioteca Meyer, di cui probabilmente non verrà mai posata nessuna pietra, sebbene alla fine si riesca a racimolare la cifra necessaria per costruirla e trovare anche uno spazio pronto ad ospitarla. Peccato sia lo spazio più sbagliato, quello della schiavitù della popolazione nera a Yale.

Il personaggio di Selina esce in ogni modo rafforzato da questa parte di racconto. Da un punto di vista caratteriale, anche se negativamente, e dal punto di vista pubblico della realtà diegetica. Nonostante i disastri della sua amministrazioni, venuti in possesso della stampa e ampiamente descritti, nonostante i “malghini” e gli altri scandali, Selina è infatti riuscita a liberare il Tibet dal dominio della Cina e, dopo essersi vista sottratta questo riconoscimento, a cavallo della verità svelata è pronta a rilanciare la sua corsa alla Casa Bianca.

Il secondo personaggio sul quale si sono incentrate le vicende di questa sesta stagione è Gary, l’unico a non vedere la propria posizione radicalmente ridimensionata dopo l’abbandono della politica. Anzi, proprio per questo motivo il personaggio di Gary è uscito rafforzato ed ha rappresentato il centro di molte vicende narrative, la principale dedicata proprio alla sua vita privata in una puntata totalmente Gary-centrica. In occasione del suo compleanno, infatti, l’aiutante dell’ex presidente ha invitato tutta la squadra a casa dei genitori e si è così potuto affrontare lo spinoso problema riguardante la sua infanzia turbata dalla morte del fratello gemello e delle costanti angherie subite dal padre, dominato da un senso di bullismo dovuto ad un’omosessualità mai espressa pubblicamente (men che meno con il figlio) e probabilmente odiata. Da quasi macchietta, la figura di Gary è diventata più umana, più vittima, ma al contempo ha anche effettuato un processo di crescita, risultando l’unico personaggio indispensabile all’interno dell’ex amministrazione Meyer (e considerate che prima stava diventando quello superfluo).

Un personaggio che dell’essere macchietta ha fatto la sua forza è stato Jonah, sul cui populismo si è incentrato tutto il discorso politico di questa stagione. La sua parabola narrativa quest’anno è stata la medesima di qualsiasi cattivo: una rapida ascesa, un forte potere e un declino terminato con uno schianto tremendo. Dalla battaglia per abbattere l’ora legale, Jonah, è passato ben presto all’uomo che ha tenuto in scacco gli Stati Uniti, immobilizzando l’operato del Governo, anche se è stato incapace di comprendere appieno le questioni realmente in gioco. Divenuto il burattino di un influente imprenditore ebreo con un business impostato sulle carceri private, Jonah è diventato improvvisamente l’uomo forte da seguire, anche per il sesso femminile. Purtroppo la sua ascesa è stata interrotta dai suoi stessi aiutanti, Ben e Kent (riciclatisi controvoglia), stanchi della megalomania di un uomo che, partito da un semplice stage alla Casa Bianca, è diventato membro del Parlamento prima di essere mollato dalla futura moglie e dalla famiglia che ne ha controfirmato la caduta.

Più statico invece è stato l’arco narrativo di Dan, l’aspirante consigliere politico in cerca di successo. Convertito alla televisione, Dan è passato dall’essere l’ospite fisso esperto di politica, alle rubriche mattiniere di giornalismo di colore. Non ha abbandonato il desiderio di scalare la piramide sociale del successo, ma anch’egli ne è rimasto scottato, cadendo violentemente prima di tornare all’ovile e riformare la squadra Meyer. Per il belloccio di turno, in grado di collezionare partner in ogni angolo, è tuttavia arrivata la punizione più dura. La gravidanza dell’amata-odiata Amy, messa incinta dopo una notte di passione attorno al quale gli autori hanno giocato fin dalla prima stagione, arrivando finalmente a concretizzarla. Alla fine dei conti Dan sembra essere l’unico sconfitto del racconto, insieme a Jonah. D’altronde il giovanotto rampante è l’altro personaggio negativo della serie,  incapace di fare gioco di squadra, sempre pronto ad avvantaggiarsi per il proprio tornaconto personale, ma al quale ne vanno bene poche. Una sorta di Selina al maschile.

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In questo turbinio rivoluzionario, un altro looser salito di moltissimi gradini di importanza è stato Richard, che finalmente ha visto il proprio talento premiato sul lavoro con una serie di incarichi sempre più importanti. Purtroppo per lui, però, la giustizia al contrario di una serie impostata su personaggi negativi e il ritorno alla politica attiva di Selina lo hanno nuovamente accantonato ad unico amico di Jonah. Tuttavia, all’apice del suo “successo”, Richard è comunque riuscito a diventare il padre del nipote dell’ex presidente degli Stati Uniti. A lui forse si devono alcuni degli episodi maggiormente divertenti della serie, sempre pronto ad eccedere con qualche frase fuori posto e con il proprio atteggiamento iper educato.

Mike e Amy, al contrario, da figure importanti all’interno della serie, hanno sempre più ricoperto ruoli di minore importanza. La figura di Mike, infatti, ha acquistato senso all’interno della storia solo quando ha perso l’agenda con tutti gli appunti della vita politica e privata di Selina, finita in pasto alla stampa con tutti i segreti da non diffondere. Eliminata questa parte, l’addetto stampa è stato praticamente trascinato dietro alla storia in veste di biografo ufficiale dell’ex presidente, ma non è stato altro che la spalla o il generatore di gag per gli altri personaggi. Peggio è andata ad Amy, incapace di trovare una nuova posizione all’interno del nuovo mondo. L’ex consigliere di Selina ha finito per cambiare mansioni praticamente ogni due puntate, terminando il proprio plot a fianco di Mike, alla ricerca dell’agenda perduta. Si è così andato a perdere il filone narrativo legato al suo bisogno viscerale di competere con il sesso maschile, il suo patologico desiderio di mostrarsi la prima della classe e, indebolita, la ragazza ha così finalmente ceduto alle lusinghe di Dan.


Ben e Kent, sono stati il quarto e il quinto elemento della squadra Meyer ad essere di troppo quest’anno e la loro presenza sullo schermo è finita oltremodo ridimensionata. Tuttavia, dietro le quinte sono stati i veri manovratori della scena, di Jonah prima, incapaci però di imbrigliarlo del tutto, e del ritorno di Selina poi. Sebbene finiti in secondo piano, i due vecchi lupi della politica sono stati al centro di numerose gag divertenti, forse le più divertenti di quest’anno, prendendosi praticamente da soli sulle spalle il genere di sit-com politica creata da Iannucci fin dai tempi degli albori inglesi.

In sostanza, come per la propria protagonista, la sesta stagione di Veep è stata una sorta di anno sabbatico in attesa dei futuri sviluppi. In un certo senso la produzione di HBO è stata altamente penalizzata dalla piega degli eventi della politica nordamericana, con un tempismo quasi tragico. La venuta di Trump, infatti, avrebbe potuto dare vita ad una serie di rimandi involontari con le gesta del presidente Meyer, ma, purtroppo per noi spettatori, l’elezione del tycoon è avvenuta proprio quando ormai era troppo tardi per tornare sui passi della storia raccontata nei copioni. Certamente, con il ritorno alla politica attiva di Selina, le nuove derive populiste che hanno invaso gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, i rapporti logori con l’Oriente e la guerra allo straniero potrebbero essere al centro della futura narrazione di Veep (sempre che non decadano nel frattempo).

La sesta stagione chiude comunque con una sufficienza meritata, anche perché non era facile riuscire a sostenere la storia lontano dal proscenio della vita governativa di tutti i giorni, in un modo in sostanza diverso da quello creato. Detto questo, il danno maggiore forse la sesta stagione lo dovrà ancora arrecare, perché dopo un anno trascorso lontano dai luoghi dei delitti, fatalmente i fan si aspetteranno una settima stagione scoppiettante in ogni sua scelta narrativa.

Federico Lega

Fra gatti, pannolini, lavoro, la formazione del fantacalcio e qualche reminiscenza di HeroQuest e StarQuest, stare al passo con le serie tv non è facile ma qualcuno lo deve pur fare

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