
Ultras: il tempo che non c’è – la recensione del primo film di Francesco Lettieri
Titolo: Ultras
Genere: drammatico
Anno: 2020
Durata: 1h 48m
Regia: Francesco Lettieri
Sceneggiatura: Francesco Lettieri, Peppe Fiore
Cast principale: Aniello Arena, Ciro Nacca, Antonia Truppo, Simone Borrelli, Daniele Vicorito, Salvatore Pelliccia
In tempi di quarantena e di cancellazione di tutti gli eventi sportivi, lo streaming diventa una solida ancora di salvezza. Ben vengano, quindi, nuove serie e nuovi film proposti dalle piattaforme online. È ovviamente solo un caso, ma gli ultimi prodotti rilasciati da Netflix giusto ieri coniugano proprio le due passioni di chi scrive (e di molti italiani): cinema e calcio. Come The English Game, serie tv sugli albori del football inglese. O Ultras, film di esordio di Francesco Lettieri.

Le storie di chi non trova il tempo
E, tuttavia, Ultras con il calcio ha, in realtà, poco a che fare. Frase che potrebbe sembrare una spudorata bugia dal momento che tutti i protagonisti del film appartengono ad un immaginario gruppo di tifosi del Napoli. E che tutti loro mettono la passione per la squadra del cuore al di sopra di ogni affetto come esemplifica bene la scena iniziale di un matrimonio festeggiato con cori che sottolineano proprio questo comandamento. Ma, in verità, di calcio giocato o anche solo guardato non si vede assolutamente nulla. E persino lo stadio diventa una location quasi occasionale tanto da comparire solo una volta per breve tempo e come scusa per parlare d’altro.
Perché Ultras non è un film sul tifo violento e sulla mentalità distorta di chi non riesce a vivere le passioni con le giuste priorità dimenticando troppo spesso cosa sia davvero importante. L’opera prima di Lettieri si immerge in questa iconografia riempiendosi di volti sporchi, cori minacciosi, bandiere azzurre, radiocronache di partite del Napoli, titoli di giornali, sogni di vittoria. Ma è il racconto di chi non riesce a trovare il tempo. Di chi è arrivato troppo tardi e di chi deve fare in fretta. Le storie intrecciate di quelli che vorrebbero ma non possono più e di quelli che potrebbero ma non vogliono ancora.
È per questo che, nonostante il film non possa fare a meno di essere guardato come un’opera sugli ultras, risulta più facile assolvere Lettieri dalle accuse che gli sono piovute addosso giorni prima da parte della tifoseria organizzata partenopea. Striscioni e scritte sono, infatti, apparsi in diverse zone di Napoli per accusare Lettieri e Liberato (autore di una colonna sonora molto poco invasiva) di aver lucrato sulla loro passione distorcendo al tempo stesso la realtà. Accuse rafforzate dalla presa di posizione pubblica di Antonella Leardi, madre di Ciro Esposito (tifoso napoletano ucciso da un ultras romanista), che da tempo si spende per portare la pace tra gruppi ultras di squadre diverse.
Impresa meritoria ricompensata dal successo dimostrato dal fatto che gli ultras partenopei, andando incontro alle richieste della Leardi, non hanno mai cercato vendetta. L’esatto contrario di quanto già nel trailer viene mostrato. Una licenza creativa di Lettieri che va contro il paziente e faticoso lavoro di chi, come la Leardi, opera perché certa mentalità venga cambiata. Era davvero indispensabile per Lettieri spingersi in un’operazione tanto a rischio di fraintendimenti?
Domanda complessa dalla risposta multiforme. Ma qui interessa solo sottolineare quanto questa sia solo la premessa di un film che intende raccontare una storia diversa. Quella di Sandro e Angelo.
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Il tempo di cambiare
Ultras è il tentativo di Sandro, detto O’Mohicano, di non essere più quel che è. Il capo ultras fondatore e punto di riferimento degli Apache. Il leader che in passato ha compiuto gesta clamorose che ne hanno fatto una leggenda vivente. Qualcuno la cui parola è ancora oracolo adesso che il rito settimanale dello stadio è sostituito dalla firma in questura per il DASPO. Una persona che ha tante storie da raccontare ed ognuna è una medaglia che chi lo ascolta vede metaforicamente brillare sul petto come fosse un generale vittorioso.
Solo che Sandro dentro di sé vede quello che gli altri non vedono o non vogliono vedere. Perché gli anni sono passati e diventati troppi per credere ancora che basti un’arringa ben recitata a convincere quelli più giovani di te a seguirti ancora. Troppi per non accorgersi che chi vorrebbe non obbedire più si sta solo comportando come ti saresti e ti sei comportato tu quando avevi la stessa età. Troppi per non capire che il presente è di chi, a modo suo, sta provando a scrivere un nuovo domani e non di te che appartieni inevitabilmente a ieri.
Sandro lo sa. Anche troppo bene. Anche prima di incontrare una donna forte e indipendente come Terry. Capisce che è il momento di cambiare, di dire basta, di diventare Sandro e non più O’Mohicano. Ma c’è ancora il tempo? Si può ancora pensare ad un futuro diverso quando tutto intorno a te ti lega ad un passato che gli altri non vogliono archiviare? Flirtare come si fosse ragazzini solo con qualche anno in più. Concedersi una gita a Ischia giocando a chiedersi cosa vorresti fare da grande come se grande non lo fossi già. Innamorarsi come adolescenti e litigare come fidanzati gelosi anche se a casa ti aspettano amici e figli a sbatterti in faccia la realtà.
Che è troppo tardi. Perché il tempo degli abbracci e degli amori lo hai speso a cercare una gloria effimera. In compagnia di quelli come Barabba, Michelone, O’Mericano, McIntosh che sembrano vivere in un eterno presente atemporale. Ma che devono galleggiare in questa bolla perché altro non potranno fare e meglio di quel che sono stati non saranno mai. Nuotare nelle stesse acque profonde in cui sono affondati i tesori che hai visto da lontano e che ora non puoi ripescare. Una statua in fondo al mare resta là. E tu puoi solo stenderti sugli scogli a prendere l’ultimo sole combattendo perché non ti tolgano quella luce.
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Il tempo di cominciare
Di quel sole, infatti, sono altri che chiedono l’esclusiva. Di quella gloria sono altri che vogliono ammantarsi. Ultras è anche la storia di questa seconda e terza generazione. Di Pechegno che sempre più si erge a leader approfittando del suo essere presente sempre e comunque. Facendosi forza della volontà di diventare il figlio che deve lasciare la casa del padre per trovare la propria via. Aiutato dalla aggressività esplosiva di O’Gabbiano che parla il linguaggio della violenza perché altre parole non ne ha mai imparate. Senza alcun intento né giustificativo né apologetico, Ultras sottolinea di questi personaggi negativi la smania di crescere. La fretta di chi sa che deve iniziare il suo percorso autonomo ed ha fretta di iniziare prima che quel tempo fugga via.
Senza fermarsi a pensare dove deve andare. Se ci sia una strada diversa da quella che altri hanno percorso in passato e che ora vuoi ripercorrere solo perché ti si noterà di più. Domande che, invece, si pone Angelo diviso tra il desiderio di essere parte di un gruppo e il ricordo di un fratello morto per essere fedele a quello stesso gruppo. Scisso tra l’idolatria per il Mohicano e l’attaccamento agli amici di sempre che vorrebbero diventare grandi seguendo Pechegno e Gabbiano. In cerca del tempo per pensare a come cominciare la sua storia, ma travolto da una mareggiata di passioni le cui onde arrivano troppo velocemente.
Le storie di Sandro e Angelo, Pechegno e Barabba, Gabbiano e Fiore, di tutto il variopinto cosmo che ruota loro intorno dimostrano come Lettieri sappia padroneggiare i tempi dilatati di una narrazione di respiro molto più ampio dei videoclip che lo hanno reso famoso. Si semplifica il compito ambientando Ultras nella Napoli che conosce prediligendo le zone di Bacoli dove lo splendore della natura si sposa con il degrado delle periferie riuscendo a regalare scenografie potenti pur scivolando talvolta in ritratti da cartolina per l’ente del turismo. Soprattutto, Lettieri conferma di saper trarre il meglio dai suoi attori non famosi con Aniello Arena e Ciro Nacca a risaltare maggiormente per la loro recitazione convincente e priva di fronzoli non necessari.
Ultras è un’opera prima e, come tale, pecca di una certa ingenuità in alcuni passaggi e di piccoli eccessi didascalici. Ma è un film che sa parlare del tempo che non abbiamo. Perché non ce ne resta abbastanza o perché non sappiamo viverlo con il ritmo giusto. Una lezione su cui riflettere ora che di ore ne abbiamo pure troppe in questa inattesa quarantena.