
Twin Peaks: nel quinto episodio la maestria di Lynch. La recensione della quinta parte
Continua la lenta marcia di Twin Peaks intrapresa in questa nuova stagione da Mark Frost e David Lynch. Anche in questo quinto episodio i due autori hanno scelto di aprire nuove linee narrative, introducendo ulteriori personaggi, piuttosto che tornare ad affrontare i plot già aperti, eccezion fatta ovviamente per Dale Cooper, il doppelganger e il viaggio verso la normalità.
In un nostro pezzo introduttivo alla terza stagione di Twin Peaks, vista la regia di tutti gli episodi firmata dallo stesso Lynch, ci chiedevamo se ci sarebbe stato spazio per altre piccole brevi sequenze di maestria del regista settantunenne. La risposta è arrivata in questo quinto episodio con due spezzoni di puntata che da soli valgono la visione fino a qui sostenuta, facendoci riappacificare con quella parte di Lynch che continua ad aprire storie e introdurre personaggi senza mai arrivare ancora al punto.
La prima sequenza riguarda il ritorno di Bob, reso impossibile fisicamente dalla morte del suo attore (in realtà aiuto scenografo) Frank Silva. Guardandosi allo specchio il doppelganger di Cooper ricorda la scena alla Loggia Nera in compagnia del demone malvagio, poi, con un gioco di sovrapposizioni, la faccia di Bob va a costruire una sorta di nuovo volto sull’immagine riflessa di Kyle MacLachlan, ricordandogli che egli, dopo 25 anni, nonostante il malore dell’episodio precedente, è ancora lì con lui. L’altra sequenza, invece, riguarda proprio uno dei nuovi personaggi, Becky (Amanda Seyfried), figlia di Shelley, subito dopo essersi sniffata una striscia di cocaina.
Primo piano sull’attrice, volto reclinato sul sedile mentre la decappottabile del compagno sfreccia fra il traffico e dalle sue espressioni, in particolare della bocca (e dalla colonna sonora), leggiamo la tempesta di emozioni e di eccitazione di cui è preda la ragazza. Una scena che agli amanti di Lynch avrà sicuramente ricordato Strade Perdute, quando per la prima volta Phil vede Alice scendere dall’auto e se ne innamora. Cinema da vedere e da ascoltare al massimo del volume. Cinema da apprezzare. Il resto dell’episodio è un amore/odio nei confronti di Lynch, come poi avviene sempre in tutti i suoi lavori. Accanto ad Amanda Seyfried, fanno il loro debutto in scena diversi attori, soprattutto Jim Belushi e Robert Knepper, nei panni di due boss del gioco d’azzardo che, come molti altri, si mettono sulle tracce di Cooper-Dougie per fargliela pagare. Al pub invece, troviamo l’Horne di turno, Richard, impegnato ad ignorare i divieti di fumare e a maltrattare le ragazze. Quale sarà la sua parentela con Audrey e Benjamin ? Finalmente una serie di personaggi negativi, di cui il racconto ormai era privo, demoni a parte.
Di tutte le storie introdotte negli episodi precedenti, c’è solo un veloce accenno al cadavere ritrovato senza testa nella casa della bibliotecaria e, anche in questo caso, oltre al coinvolgimento del doppelganger (di cui eravamo già a conoscenza), lo spettatore viene messo al corrente di un altro segreto da scoprire, la fede di Dougie.
Come 26 anni fa, questo nuovo Twin Peaks non si concentra unicamente sulla storia principale, ma divaga, racconta il mondo attorno, come nel caso dello sceriffo Truman, il fratello dell’Harry Truman della serie degli anni Novanta (interpretato da Robert Forster che inizialmente avrebbe dovuto recitare nel ruolo del Truman originale), alle prese con lo sfogo della moglie. Al contrario di 26 anni fa, invece, il racconto procede lento, aprendo continui interrogativi che, conoscendo Lynch, non è detto vengano tutti quanti chiariti. Questo è bene dirlo.
A conti fatti, la frase “Il nuovo Twin Peaks sarà un lungo film in 18 puntate” è effettivamente divenuta realtà, forse un racconto poco televisivo, ma sicuramente non una semplice frase da marketing spiccio, come molti avevano ipotizzato. Siamo ancora nella fase introduttiva della storia, mentre invece vorremmo spaccare il monitor per poter vedere nuovamente Cooper a Twin Peaks. Come la ricerca di Hawk, in un certo senso, il tempo si è congelato attorno a Cooper, Dougie e al doppelganger. Al momento, l’unico enigma introdotto e risolto dal nuovo Twin Peaks è l’utilizzo di tutte quelle pale da parte del dottor Jakoby, divenuto venditore-predicatore online in una rappresentazione che ha ricordato la serie originale, la sua ironia e la sua comicità. Mentre invece si moltiplicano i dubbi attorno alla sorte del Maggiore Briggs e in rete c’è già chi specula sul fatto che il corpo pingue ritrovato a Buckhorn sia proprio quello del militare.
Fra i personaggi delle prime due serie, invece, la coccarda del gradito ritorno domenica scorsa, oltre a Norma, è andata a Nadine, che si intravede nella sequenza del dottor Jakoby, e a Mike Nelson, divenuto l’uomo d’affari che respinge, con una bella paternale, la domanda di lavoro di Steven, il fidanzato di Becky (quasi una sorta di contrappasso rispetto al Mike del liceo, che passava le notti ad ubriacarsi nonostante in città regnasse il coprifuoco a causa degli omicidi). In un certo senso c’è il rischio che questo nuovo Twin Peaks, visto il nutrito cast di guest star e le storie da recuperare, diventi una sorta di album di figurine da spuntare ogni qual volta appaia sullo schermo un volto conosciuto agli spettatori. D’altro canto, dovremo quasi ringraziare che almeno in questo ritorno David Lynch stia conservando un’unità temporale del racconto che non aveva avuto negli ultimi suoi lavori, altrimenti per buona parte degli spettatori il disastro si sarebbe già provocato. Già oggi, infatti, le evidenti esche lanciate ai fan sono di livello spudorato, al punto tale che qualcuno ha persino ipotizzato/sperato che Cooper sarebbe tornato in possesso di tutte le proprie facoltà sorseggiando il caffè o continuando a ripetere la parola “agente”. E in questo, la mimica della recitazione di MacLachlan, sul punto di esplodere in una sorta di rivelazione, ha tratto in inganno. L’epifania non c’è stata, ma il senso di frustrazione è salito.
Nel frattempo acquista sempre più importanza il borgo Rancho Rosa (nome preso in prestito dalla casa di produzione dell’attuale serie) nel quale si sviluppano le vicende legate a Dougie e agli scagnozzi che vorrebbero ucciderlo. Rancho Rosa, per il detective Cooper, sembra più che altro una sorta di terra di mezzo fra la Loggia Nera e Twin Peaks, una specie di purgatorio, nel quale sostare in attesa che la propria anima guarisca dai danni causati da oltre un ventennio trascorso nel mondo degli spiriti. Come noi spettatori, qui Cooper è in attesa, immobile come la statua, mentre tutti lo trasportano da un luogo all’altro. Come la statua, conosce la direzione da intraprendere, il Great North Hotel, ma da una parte è impossibilitato a raggiungerla, dall’altra gli altri personaggi tentano in tutti i modi di trattenerlo: dalla “moglie” Naomi Watts, che lo vuole ricondurre ad una vita quotidiana, alla gang che lo vuole morto ma che finisce per saltare in aria, al figlio, che lo ha inutilmente aspettato per la propria festa di compleanno, e verso il quale Cooper si commuove, anche se probabilmente non sapremo mai il perché, all’escort che getta via le chiavi dell’albergo, cancellando ogni legame fra l’ex agente dell’FBI e la cittadina dello stato di Washington. E tutto da chiarire è infine il significato della casella di messaggi installata a Buenos Aires che apre e chiude la puntata e che durante il finale si rimpicciolisce, divenendo inutilizzabile.
L’attuale situazione di Twin Peaks, tornando al dottor Jakoby, è ben metaforizzata dalla palude di escrementi e fango nella quale si trova immerso lo psichiatra. “Leggete tra le righe” dice Jakoby ai propri utenti iniziando un discorso in apparenza vaneggiante e senza senso, suggerendo di fare lo stesso agli spettatori. Per uscire dal pantano ci tocca scavare per costruire la strada che ci porterà alla verità.
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