
True Detective: Recensione episodio 1.04 – Who Goes There
In America c’è da qualche tempo un dibattito sul confronto tra prodotti televisivi e cinematografici; sempre più sceneggiatori, registi e attori soprattutto, decidono di spostarsi dal cinema al piccolo schermo perché più stimolati dalle idee e più liberi di sperimentare. Un’inversione di tendenza se si pensa che generalmente la televisione viene ancora vista come trampolino di lancio per la carriera di attori e addetti ai lavori. Non ci meravigliamo dunque se di tanto in tanto ci troviamo a vedere prodotti televisivi che nulla hanno da invidiare, anzi diventano modelli da seguire per la produzione cinematografica. Da poco si è concluso su AMC Breaking Bad che è il chiaro esempio di un prodotto perfetto sotto tutti i punti di vista, ora abbiamo True Detective.
Trovandomi davanti a questo quarto episodio, più di una volta nel corso dell’ora scarsa di cui è composto, ho perso la percezione di spettatore, ho dimenticato ciò che stavo guardando e sono stata risucchiata dagli eventi e dagli accadimenti. Se fino al terzo episodio avevamo assistito ad un ritmo dilatato e contemplativo dove i paesaggi sterminati e i cieli malinconici così cari a Fukunaga sono stati protagonisti insieme all’ambiente desolato e disagiato della storia, nel quarto episodio inaspettatamente si cambia ritmo. La serie sterza e ci mostra la ricerca di Reggie Ledoux, al momento il maggiore sospettato per l’omicidio di Dora. Questo Ledoux cucina metamfetamina per un club di motociclisti, gli Iron Crusaders. Cohle che aveva già avuto contatti con questo club, decide di infiltrarsi nuovamente con l’appoggio di Hart. Quest’ultimo, in un momento difficile della sua vita dopo la separazione dalla moglie venuta a conoscenza dei tradimenti ripetuti del marito, appoggia quasi passivamente l’idea del partner nella speranza che Cohle lo aiuti a
tornare con la moglie.
Tutta la potenza di Who Goes There si concentra nei minuti finali, in un piano sequenza di sei minuti vediamo un manipolo di Iron Crusaders e Cohle, che deve mostrare la propria fedeltà al club, rapinare una casa deposito di droga. Una sequenza incredibile a livello tecnico dove Fukunaga ci dimostra di essere molto abile nel costruire delle sequenze ansiogene e con ritmo quasi isterico dove, come dicevo all’inizio, lo spettatore fa veramente fatica a non sentirsi totalmente immerso nella scena in prima persona.
E’ vero, qualcuno potrebbe obiettare che in termini di trama per così dire orizzontale non c’è molto sviluppo, ma True Detective è eccezionale anche e proprio per questo. L’indagine per la morte di Dora è costruita con il chiaro intento di essere più realistica possibile, d’altro canto non è importante sapere chi ha ucciso la donna ma come i nostri “True detective” siano arrivati a quest’arresto. E questo ci servirà per capire a cosa vuole arrivare la polizia nel 2012 con gli interrogatori di Rust Cohle e Martin Hart.
Quello che Cohle e Hart dicono e fanno sono tasselli essenziali per capire il quadro generale. La costruzione così minuziosa fatta da Pizzollato dei due personaggi principali, lasciando volutamente appannate ad esempio Maggie e Lisa che sono personaggi sullo sfondo, solo funzionali a spiegarci come pensano e agiscono i due protagonisti. La separazione di Hart, la sua scenata all’ospedale ci dicono molto sulla sua psicologia e allo stesso modo il comportamento di Cohle, sia quando parla con Maggie al bar sia quando riporta l’incontro in modo un po’ distorto a Hart, aggiunge elementi utili e indispensabili al suo criptico personaggio.
Pizzollato e Fukunaga sono bravi, l’abbiamo detto, e così anche la fotografia curatissima, calda e luminosa anche nelle scene più cupe come quelle nel bar o nelle scene finali, non è da meno; ma senza Matthew McConaughey e Woody Harrelson e le sfumature che questi due attori riescono a dare ai loro personaggi, forse la serie, sicuramente ben fatta a livello tecnico, non sarebbe stata quello che invece è: un gioiellino!
1.04 - Who Goes There
Eccellente
Valutazione Globale
Secondo me True Detective, è esteticamente e tecnicamente bellissima, fotografia luminescente,movimenti di camera molto particolari e che ti colgono di sorpresa, belle le riprese dall’alto. Però, manca qualcosa, manca quell’elemento che riesce a tenerti incollato alla sedia per tutto l’episodio, nonostante l’ora, o i bisogni fisiologici o la stanchezza. Non saprei ben definire questo elemento perchè probabilmente è un mix di tante cose, ma forse è possibile identificarlo nella poca sottolineatura dei twist narrativi. Cioè, quando accade un qualcosa che a livelli di trama o della psicologia del personaggio che è importante, questo è poco evidenziato, lasciando un po’ tutta la serie alla corrente degli eventi. Guardare True Detective è come guardare un flusso di accadimenti, che però non sono scanditi da cambiamenti o cosa fondamentali. Questo forse è il problema di uno Show, che viene costruito in maniera intelligente, che vuole fortemente differenziarsi dal resto dell tv, ma che forse dimentica leggermente di essere un telefilm, che necessita del giusto hype tra episodio ed episodio, per il quale non basta la straordinaria prestazione di Harrelson.
Da un punto di vista squisitamente tecnico (regia e fotografia) la serie e’ ad un livello che potremmo definire cinematografico se volessimo mantenere una distinzione manichea tra cinema e televisione come rappresentativi di due modi di mettere in scena una storia. Solo che recentemente serie come True Detective ma anche Game of Thrones e Sherlock hanno mischiato le carte trasferendo alle serie tv quell’ attenzione ai dettagli tecnici che prima era assente e sacrificata alle esigenze di budget (dopo tutto, una serie tv deve produrre e spendere per più episodi incassando complessivamente di meno di un film con alto costo ma anche maggiori possibilità di rientrare delle spese). Questa svolta cinematografica e’ stata poi supportata dalla scelta di investire su attori che ti garantiscano il ritorno di pubblico e per convincerli si e’ dovuto anche alzare il livello di scrittura perche’ un ingaggio molto alto non sarebbe bastato a convincere attori che cmq non ne avrebbero avuto bisogno.
Venendo a questo specifico episodio, sembra sia stato scritto come risposta a quelli che accusavano la serie di essere troppo lenta e troppo filosofica, di perdersi nei mille monologhi di Cole e nelle ipocrisie di Marty invece che avanzare nella soluzione del giallo come si pretenderebbe da una serie su due detective. Le lezioni di Cole sono qui ridotte al minimo sindacale e non e’ un caso che quasi tutti i 45 min sono ambientati nel 1995. Come non e’ casuale che tutta la prima parte dell’ episodio si concentri su Marty lasciando a Harrelson la possibilità di mostrare quanto e’ bravo a restituirci un uomo vittima delle sue stesse menzogne a cui continua a credere più per non ammettere i propri errori che per convinzione (la scenata in ospedale in cui e’ convinto di poter ricominciare come se nulla fosse o anche la telefonata a Lisa in cui la incolpa di voler distruggere la sua vita quando e’ stato invece proprio lui a mettere su tutto il tradimento).
Le due scene di Cole con Marty al bar e in casa e lo scontro con Maggie invece sono sufficienti a sottolineare quanto Rust sia ormai impregnato della sua convinzione che non ci possano essere rapporti umani aldilà di quelli convenzionali perché alla fine ognuno accetta di abbracciare le proprie menzogne. L’ insistenza con cui rifiuta di parlare dei fatti personali di Marty al bar e la bugia su come e’ andato l’ incontro con Maggie servono a mantenere su una base puramente professionale il rapporto con il suo compagno. E anche il ricordare a Maggie che alla fine contano solo i figli e quindi la smettesse di pensare a cosa non va con il marito ci dice che per Rust ormai e’ rimasto solo il lavoro avendo perso lui la propria bambina.
Il piano sequenza finale è stato meraviglioso, una gioia immensa per gli occhi, sono rimasto a bocca aperta per tutti e sei i minuti. Magnifico. Sicuramente il miglior episodio fino ad ora, tra tanti bellissimi episodi, ma questo spicca per l’equilibrio perfetto tra riflessioni e azione, tra trama e recitazione. Favoloso