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Transparent: recensione della seconda stagione

Il termine italiano genere traduce l’anglosassone gender, introdotto nel contesto delle scienze umane e sociali per designare i molti e complessi modi in cui le differenze tra i sessi acquistano significato e diventano fattori strutturali nell’organizzazione della vita sociale. (da Enciclopedia Treccani)

TransparentGender. É sulla bocca di tutti. Tutti ne parlano sapendo esattamente cosa dire. Pochi ne parlano sapendo esattamente cosa in realtà significhi. Che l’argomento arrivasse al mondo della serialità era quasi inevitabile, visto quanto il cinema e la televisione (quella buona ovviamente) abbiano sempre avuto modo dalla loro nascita di rispecchiare, a volte anticipare, la realtà che ci circonda.
Per me che scrivo, Transparent, e in particolare questa seconda stagione, è riuscita nel tentativo di raccontarci una realtà senza la necessità di urlare, modo ormai in uso quando si parla di gender, ma soprattutto senza lasciarci per forza a fine visione con un solo pensiero, una sola verità. Non esistono verità come non esistono pre-giudizi in questa serie. Che si parli di uomini, donne o trans.

Al centro del racconto ci sono di nuovo i Pfefferman. Passata (forse) l’onda del coming out di Maura, che ha scosso non solo la sua di vita ma soprattutto quella dei figli, ogni componente della famiglia continua il suo viaggio alla ricerca di una propria identità sessuale, sociale, spirituale. Sarah deve fare i conti con un matrimonio che forse non voleva, una relazione che in primo momento sembrava averle regalato quella libertà che tanto desiderava ma che ora sembra essere diventata un muro tra lei e gli affetti a cui davvero tiene.

TransparentJosh prova coi suoi modi a far funzionare la sua nuova famiglia (lui, Colton, il figlio avuto dalla sua ex babysitter, Raquel e il bambino in arrivo) e la sua carriera. Shelly, dopo la morte del marito e il riavvicinamento a Maura, cerca di sentirsi di nuovo utile e amata da qualcuno. Ali inizia a pianificare un futuro nel campo accademico degli studi di genere mentre prova a far funzionare, anche lei nei suoi modi, una relazione amorosa con Syd.

E poi c’è lei, Maura. Nella prima stagione avevamo visto e ammirato Jeffrey Tambor nei panni di un uomo che dopo anni di silenzi, incomprensioni, sofferenze decideva di abbandonare le cravatte e i completi maschili per lunghi abiti fiorati e cappelli a falda larga.

Da Mort a Maura per la prima volta alla luce del sole. Come un bruco che diventa farfalla, Maura ha fatto i conti con il suo essere maschio, uomo, padre. Ma ora che è uscita fuori dal bozzolo la farfalla deve inevitabilmente confrontarsi con le altre di farfalle. Cosa significa essere donna? Dall’assunzione di ormoni femminili alla scelta del costume da bagno da sfoggiare ad una festa in piscina alla partecipazione ad un festival musicale per sole donne, ogni passo di Maura è un passo in più verso quell’universo a cui ha sempre sentito di appartenere. TransparentNon sarà un percorso facile, le difficoltà arriveranno soprattutto da quelle stesse donne da cui Maura vorrebbe comprensione ma che non vedono in lei che un altro tentativo di far valere un diritto che loro non hanno. Donne che avvertono nella transizione sessuale un altro modo da parte degli uomini di imporsi. Maura porta sulle sue spalle il peso di due mondi che collidono.

Ritorno. Altro tema al centro di questa seconda stagione di Transparent è il ritorno, inteso come ritorno non solo a se stessi e alla propria vera natura (argomento strettamente connesso al gender) ma anche al proprio passato, personale, familiare, storico.

Jill Solloway intreccia meravigliosamente il passato con il presente nel loro essere simili e vicini. Il pretesto narrativo è la ricerca che Ali sta portando avanti sulle similitudini tra la persecuzione degli ebrei durante il regime nazista e il modo in cui le donne sono trattate nella società. Un paragone forzato, forse alcuni potrebbe dire.
TransparentFiniamo dritti nel 1933 all’ Institut für Sexualwissenschaft, diretto da uno dei fondatori del movimento di liberazione sessuale, il dottore Magnus Hirschfeld. E’ lì che ha deciso di vivere Gittel (interpretata dall’esordiente modella transgender Hari Nef), la zia nata uomo che Maura non ha mai conosciuto. Gittel non raggiungerà mai l’America in cui sua madre e sua sorella Rose approderanno sulle orme di un padre e marito fedifrago, e quell’istituto così all’avanguardia per i suoi tempi sarà saccheggiato (furono date alle fiamme le migliaia di volumi che componevano la sua vasta libreria) e requisito dal partito nazista.

Come fantasmi di un passato che non conoscono, Gittel, Rose e mamma Yetta sono più presenti nel presente di coloro che al contrario le vite di Maura, Ali e gli altri le attraversano veramente con la carne e con le ossa. Si può ereditare un dolore, una colpa, una mancanza? Questo si chiede Ali e ci chiediamo noi mentre osserviamo una storia che ha il sapore a tratti di un dejà-vù.

Con questa seconda stagione Transparent non solo conferma autenticità e freschezza nel racconto, ma riesce a mettere altra carne al fuoco senza che la storia si perda in intermezzi noiosi e inutili. Le storie che Jill Solloway presenta sono quelle che spesso non raccontiamo neanche a noi stessi. Eppure parlarne potrebbe aiutarci a capire. A capirci.
Perchè, come cantava Mama Cass Elliot (e poi Nina Simone) “there’s a new world coming, and it’s just around the bend. There’s a new world coming, this one’s coming to an end”. Speriamo che sia più accogliente e pacifico di questo. Dipenderà anche da noi?

Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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