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Top of the lake: China Girl – il destino dell’uomo è schiavizzare le donne. Recensione

Forse era inimmaginabile qualche anno fa o forse, sotto la superficie visibile/commerciale, esisteva già un fermento, un seme che in breve e con determinazione è germogliato e ha attirato l’attenzione di molti. Fatto sta che la nuova ondata di femminismo sta occupando sempre più ampi e importanti spazi televisivi. E il ritorno sullo schermo di Top of the Lake, a distanza di quattro anni dal suo debutto, non è solo gradito ma anche in certo senso inevitabile. 

La prima stagione aveva fatto parlare di sé per molti validi motivi. Il primo era stato, ovviamente, il nome di Jane Campion, il premio Oscar che della serie è sia ideatrice (insieme a Gerard Lee) che regista. Il secondo era Elisabeth Moss, attrice che negli anni si è conquistata una nicchia sempre più considerevole di fan e sostenitori, tra critica e pubblico, per la dedizione con cui affronta i ruoli in cui è impegnata, ruoli femminili ben lontani dagli stereotipi a cui eravamo/siamo abituati. Peggy Olson, l’unica donna a sedere al tavolo dei creativi in Mad Men; Offred, l’ancella che ci ha guidato nel terrificante mondo di The Handmaid’s Tale; Robin Griffin, la detective alla ricerca di una dodicenne misteriosamente scomparsa, le cui tracce la condurranno sulle montagne incontaminate della Nuova Zelanda.

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top of the lake

In questa nuova stagione di Top of the Lake Elisabeth Moss torna a vestire i panni della protagonista, impegnata nelle indagini di un nuovo caso portato direttamente dal mare: sulla spiaggia di Bondi Beach di Sidney le onde restituiscono una valigia, da cui fuoriesce una lunga ciocca di capelli scuri. Un moderno vaso di Pandora, il cui interno contiene l’inevitabile e doloroso destino di un mondo sommerso. Sulla strada che conduce alla verità i percorsi delle donne coinvolte in questa nuova storia si incroceranno più e più volte, tra un presente terrificante e un passato che fa ancora più paura.

Top of the Lake è, infatti, non solo la narrazione di un’indagine (i cui esiti saranno sorprendentemente diversi da quanto ipotizzato nel corso degli episodi) e della donna messa a capo della stessa. Rispetto alla prima questa nuova stagione si apre e si fa sempre più racconto corale, in cui alla voce di Robin si sommano quelle di Miranda e Julia e Mary e tutte le altre donne che, a parole o semplicemente con il loro sguardo, raccontano la sofferenza e l’impossibilità, in un mondo che ruota ancora troppo intorno alla figura maschile, di poter uscire dalle gabbie degli stereotipi e poter percorrere un cammino senza essere giudicate, derise, mortificate.

Come era accaduto con Tui, il racconto si muove su due traiettorie parallele che convergono verso un’unica direzione: la donna. Top of the Lake è un racconto fatte da donne sulle donne.

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Da una parte vi è il tema della maternità, declinato attraverso le storie di Robin, Julia e Miranda (portavoce di una pletora di genitori, single o meno, alla disperata ricerca di una nuova vita a cui regalare amore) ma anche delle madri surrogate, che accettano di diventarlo perché impossibilitate a rifiutarsi. Queste donne vivono infatti un ricatto morale, perché guadagnare affittando il proprio utero (in Australia è permesso la gestazione per altri solo in forma gratuita) è una possibilità a cui non possono rinunciare. C’è, poi, l’altra faccia della medaglia: la maternità respinta. Il ritorno a Sidney permette a Robin di conoscere una figlia non voluta ma non per questo non amata, nonostante non abbia mai avuto il coraggio di rispondere. L’incontro con Mary (e con i genitori adottivi) sarà per lei un motivo per affrontare i fantasmi che da tempo la tormentano – la figlia nata da una violenza sessuale e tre aborti – e le permetterà di riconciliarsi con quella parte di sé repressa dal dolore.

L’altro perno intorno a cui si muove, che in verità non può prescindere dal primo, è quello della oggettificazione del corpo femminile. L’Australia è uno di quei pochi paesi al mondo in cui la prostituzione è legale. Ciò dovrebbe garantire alle lavoratrici del sesso di esercitare il proprio mestiere in condizioni migliori e con maggiori tutele. Eppure, mettendo da parte l’aspetto giuridico, la questione morale riguardante la vendita del proprio corpo permane. Per quanto possa essere equiparato ad altri servizi, non può eticamente essere considerato alla stregua degli altri lavori.

C’è spazio in Top of the Lake anche per l’altra metà della mela, che ne esce in tutti sensi sconfitta. I rappresentanti dell’universo maschile di questa serie non fanno una bella figura, dimostrano invece una profonda incapacità di lettura del mondo femminile (anche quando ci provano come Pyke). Come se le frequenze in cui gli uni e gli altri si muovono non fossero allineate. E se da una parte le donne sembrano in qualche modo trovare una qualche solidarietà che le unisca (a parte Julia e Robin, in lotta per il ruolo di madre di Mary), questo legame pare – volutamente – non esistere per gli uomini.

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Nella variegata umanità presentata in questa seconda stagione, la figura che più sfugge a qualsivoglia interpretazione è quella di Puss. Non rientra né nello schema del buono né in quello del cattivo. I suoi ragionamenti sulla schiavitù del mondo orientale da parte di quello occidentale è condivisibile, ma finché rimane scritta o detta e non praticata. Può essere considerato un femminista estremo o solo un uomo impegnato a vendicarsi di un uomo che non lo ha mai voluto? Ci sono molte ombre sul suo personaggio, come diversi dubbi “inquinano” la credibilità di altri personaggi. Il più forte riguarda Pyke e Julia: come possono un padre e una madre permettere alla propria figlia, per quanto maggiorenne, di prostituirsi ed essere vittima della violenza mentale di uno squinternato?

Questa stagione di Top of the Lake parte con il piede giusto per poi finire, purtroppo, in una confusione dovuta ad un intreccio troppo fitto. La sensazione che si ha è che molti spunti interessanti e molti attori (in primis Nicole Kidman, che peccato!) non vengano sfruttati al meglio per mancanza di tempo e che si arrivi ad una conclusione molto aperta (forse è in programma una terza stagione) e molto poco soddisfacente.

Insieme a Robin siamo entrati in punta di piedi in casa di una persona che da tempo avevamo voglia di rivedere. Abbiamo dato un’occhiata in giro, ci siamo fatti un’idea di come la sua vita sia stata in quel frangente di tempo in cui non eravamo presenti. Poi, con la stessa silenziosa accortezza avuta al nostro ingresso, siamo usciti e abbiamo chiuso la porta. Ma ci siamo stati davvero in quella casa o è stato solo un sogno?

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Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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