
The Whale e la grassofobia: perché le accuse non hanno nessun senso (almeno secondo me)
The Whale non ha solo permesso a Brendan Fraser di vincere l’Oscar come migliore attore protagonista coronando un percorso di ritorno ad Hollywood che meritava. Il film di Darren Aronofsky dall’omonima piece teatrale di Samuel Hunter ha anche aperto un dibattito tra chi lo ha apprezzato fino alle lacrime e chi vi ha letto atteggiamenti scorretti nei confronti delle persone obese. Arrivando persino ad accusare l’opera di grassofobia o di fare più male che bene al modo in cui la gente si rapporta agli obesi. Facendo in maniera irrituale pubblicità ad un altro sito, una buona summa di queste critiche la si può leggere in questo articolo di Jonathan Zenti per il Post.
Dal momento che il sottoscritto, autore anche della recensione di The Whale su Telefilm Central, si è trovato a dover rispondere a chi gli chiedeva di queste polemiche, il suo ego non poteva che pensare che le risposte potessero interessare a tutti. E quindi eccole per voi avidi lettori (almeno, lasciatemelo credere).

Tra fatsuite fasulla ….
Può sembrare pretestuoso sottolineare quanto Brendan Fraser, sebbene appesantito da chili in eccesso, non sia ovviamente al livello degli oltre 300kg di Charlie. Conseguenza sono le sei ore di trucco necessarie per modellare il suo volto e il suo corpo in quello del suo personaggio sullo schermo utilizzando una fatsuite. Ebbene, proprio questa scelta è stata criticata.
Sia da chi si chiedeva perché non prendere direttamente un attore realmente obeso. Sia di chi si spinge ad equiparare fatsuite e blackface come simboli analoghi della discriminazione verso gli obesi e la gente di colore, rispettivamente.
Rispondere ai primi è persino superfluo. Nessuna persona che fosse realmente nelle condizioni di Charlie potrebbe reggere lo stress fisico di girare un film. Necessiterebbe di assistenza medica continua e non potrebbe spostarsi con facilità su un set per quanto limitato sia quello di The Whale. Più sottile è il discorso a proposito del realismo della fatsuite stessa. Come ingrassi un corpo reale non sta a me dirlo né i miei 30kg in eccesso possono suggerirmi dove si distribuirebbero 200kg in eccesso. Ma il punto non è questo. Non è come una persona non obesa immagina una obesa.
Charlie è un personaggio di finzione la cui mole è funzionale al racconto che il film vuole proporre. Una condizione invalidante che ha sicuramente anche lo scopo di suscitare l’empatia dello spettatore. Ma perché questo dovrebbe essere un problema? Perché possiamo accettare che Verdi faccia morire di tisi la sua Violetta nella Traviata? Come mai possiamo scioglierci per Jack che affonda nelle acque gelate mentre lascia morente la mano di Rose in Titanic? Accusiamo Verdi di aver giocato sporco? O Cameron di averci venduto la tragedia di un naufrago per qualche spettatore in più? Perché allora ce la dovremmi prendere con Hunter e Aronofski per aver disegnato un corpo deforme per manifestare esteriormente le conseguenze del disagio interiore di Charlie?


… e discriminazione reale
Diverso e potenzialmente più complesso è il discorso a proposito della distorta rappresentazione che The Whale darebbe dei comportamenti di una persona obesa. Nel film vediamo Charlie pulirsi le mani addosso, ingurgitare cibo in proporzioni pantagrueliche, mangiare direttamente dal frigorifero, mischiare pietanze diverse in un unico pastone. Assistiamo al suo lasciarsi andare a scatti rabbiosi o pianti eccessivi mentre suda in maniera copiosa. Lo accompagniamo, infine, verso la morte per cause che immaginiamo essere legate alla sua obesità. Scene come queste potrebbero far pensare che questa sia la normalità di una persona obesa finendo, quindi, quasi per giustificare velatamente la discriminazione verso i grassi.
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Nulla di più errato. Perché The Whale non è la storia di tutti gli obesi e neanche quella di un singolo obeso. Si tratta, invece, della storia di Charlie. Quel che fa, come si comporta, come reagisce sono tutte conseguenze del suo vissuto precedente e tutte reazioni del suo presente doloroso. Accusare The Whale di voler dare una visione distorta delle persone obese significa cadere nello stesso identico atteggiamento che chi muove questa critica vuole stigmatizzare. Perché si starebbe prendendo un caso particolare e facendone un modello generale. Non è questo che il film vuole fare. Leggervi questa intenzione è lo stesso che mischiare le parole di una pagina per scriverne una completamente diversa.


Obesità come sinonimo di trauma
Questa è, in verità, una grossolana estrapolazione. Molti critici ci tengono a sottolineare che non si diventa automaticamente obesi come reazione ad un trauma. E, viceversa, non chiunque sia obeso ha un trauma passato ad opprimere il suo cuore con un peso maggiore dei chili in eccesso. Non si capisce onestamente il perché di questa precisazione. Si sta diventando monotoni a ripeterlo, ma tocca farlo ancora. The Whale è la storia di Charlie. E Charlie è diventato obeso per una precisa scelta conseguente alla drammatica perdita di quel compagno per amore del quale aveva sacrificato la sua stessa famiglia.
La sua scelta di abbandonarsi al consumo di junk food in quantità industriali è una sorta di contrappasso dantesco che, da novello Minosse, impone a sé stesso. Quindi, si, Charlie è obeso perché ha vissuto un trauma. Ma da nessuna parte del film si propone l’identificazione tra obeso e traumatizzato. Non a caso proprio Liz, che lo stesso trauma ha vissuto, è filiforme. Difficile, quindi, comprendere perché sia necessario pretendere che The Whale metta cartelli luminosi per avvisare lo spettatore che non vuole identificare trauma e obesità.


Obesità e rapporto con gli altri
Ha dato fastidio a più di una persona l’insistenza con cui Charlie chiede al giovane missionario Thomas di confessargli quanto sia disgustato dalla sua condizione fisica. Una scena invero dura in cui Charlie elenca tutte le piaghe di cui il suo corpo soffre per l’eccessivo peso fino a far esplodere il ragazzo in un si urlato con esasperazione. Qualcuno ha sottolineato come un obeso non si comporterebbe mai così perché è dolorosamente abituato a sentire addosso il peso di sguardi disgustati. Ma in questa scena il centro dell’attenzione non sono le offese non dette, ma le verità taciute. Come insegna ai suoi studenti, l’unica cosa davvero importante è l’autenticità delle parole, la loro sincerità. Incalzare Thomas è costringerlo a buttare via la maschera del fratello pietoso per mostrare il suo vero volto. Perché è solo mostrando chi siamo davvero che possiamo conoscerci e diventare amici.
Allo stesso modo, sbaglia il punto di vista chi si sottolinei quanto una persona obesa non accetterebbe di avere come assistente medico un amico o un familiare. Charlie, in effetti, conferma che loro hanno ragione allontanando da sé la moglie e la figlia fino a poco prima della fine. Ma non può fare la stessa cosa con Liz. Perché Charlie sa che sarebbe inutile. Come Charlie ha scelto di espiare la sua colpa mangiando fino a morire, così Liz ha deciso di non abbandonare l’unica persona che ha donato gioia a suo fratello. Liz non è lì per curare Charlie, ma sé stessa. E una persona profondamente buona come Charlie non frenerebbe mai la libertà di una persona a cui vuole bene.


Moby Dick o della balena
C’è, infine, da rispondere a chi pensa che il riferimento al Moby Dick di Melville sia solo una trovata furbesca per nobilitare la popolaresca identificazione tra la balena e l’obeso sulla base del solo peso. Spiace essere espliciti, ma davvero chi arrivi a pensare questo è come colui che guarda il dito quando il saggio indica la Luna. In The Whale, Charlie diventa Moby Dick perché Ellie è Achab.
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Come più di una volta abbiamo modo di ascoltare dal saggio scritto dalla ragazza, Moby Dick rappresenta l’illusione che il dolore, la sofferenza, il senso di colpa, gli errori si possano associare tutti ad una sola figura eliminata la quale la pace sarà finalmente raggiunta. Ma la stessa Ellie sa che non è così. Che Achab si illude ed è questa illusione che le fa pensare alla sua vita. A quella vita in cui Charlie accetta di essere Moby Dick per lasciare che sia Ellie stessa a scoprire quanto sia solo una menzogna a cui conviene credere. Perché poi quel che rimane dopo è il resto del libro. Quella storia triste da cui il narratore voleva tenerci lontani per almeno un altro poco ancora.