
The Walking Dead: scontro fra Rick e Negan rimandato alla prossima stagione, recensione episodio 7.16
Il cerchio è il simbolo di questo finale di stagione di The Walking Dead. Il cerchio descritto da Maggie nel finale di The First Day of the Rest of Your Life, aperto anni fa quando Glenn salvò Rick da dentro il carrarmato, scatenando una serie di eventi che portarono il gruppo da Atlanta alla fattoria di Hershel. Il cerchio dell’orologio di Maggie, simbolo di famiglia, unione e amore, che il padre diede a Glenn quando lo accettò come suo successore alla guida della famiglia Greene e compagno della figlia e sul quale, durante l’episodio, ci si sofferma due volte, nell’ufficio di Gregory e come ultima inquadratura, quasi a voler suggerire che in realtà il vero leader del gruppo è proprio Maggie.
Il cerchio del pancake che Negan porta a Sasha con sopra disegnato uno “smile”, beffardo, con palline di cioccolata, simbolo del tradimento di questo finale di stagione, un tradimento che Sasha non compie, nel tentativo di salvare la vita di tutti. Il cerchio delle parole pronunciate da Rick nei confronti di Negan quando il villain torna a minacciare le persone care all’ex sceriffo: lo ucciderà, forse non oggi, non domani, ma lo ucciderà, le stesse pronunciate nel bosco, prima che Negan facesse a pezzi i volti di Glenn e Abraham. Il cerchio, alquanto forzato e ben poco originale, del sogno di Sasha e degli ultimi momenti trascorsi insieme con Abraham. Il cerchio del sole che Sasha e Maggie si fermano a guardare per capire che è valsa la pena vivere un altro giorno ancora, nonostante la morte dei propri compagni.
Se finisse qui The First Day of the Rest of Your Life sarebbe un bellissimo episodio, che metterebbe le donne al centro della narrazione (compresa Carol, al comando del battaglione del Regno, che alla fine salva le chiappe sempre a tutti), relegando gli uomini a semplici sputa sentenze, sangue e minacce. Purtroppo c’è anche il resto dell’episodio, montato con continui salti avanti e indietro, senza una logica predefinita nella struttura di puntata, visto che Sasha muore poco dopo metà della narrazione e lo stratagemma cessa di esistere, diffondendo la netta sensazione che si sia optato per questa scelta perché faceva figo e permetteva di dilatare ancora una volta i tempi.
Per il terzo rimanente di episodio c’è la battaglia, una battaglia recitata male (e questo è un pregio), ma raffigurata pure peggio. Diventa un pregio la pessima recitazione perché finalmente non vediamo più persone “comuni” imbroccare un fucile come fossero marine navigati, vediamo attori impacciati, che si muovono come degli elefanti in una vetreria e che giustamente non sanno cosa fare durante una grande battaglia. Il problema inizia quando ti accorgi che nemmeno chi sta dietro la telecamera sembra sappia cosa fare di questo grande piccolo scontro, con personaggi riuniti in gruppetti a tentare di dare un vano senso di coralità al conflitto, “battaglioni” venire verso la telecamera per poi tornare indietro, come in una qualsiasi gag comica bellica, gente che si ripara dietro a veicoli, come se tutto attorno piovessero pallottole, peccato che di pallottole non se ne vedano, tant’è che basta avere un’arma in pugno per muoversi liberamente all’interno dello scontro.
The First Day of the Rest of Your Life è il finale di stagione di The Walking Dead che non ti aspetti, perché stravolge le abitudini sulle quali ci aveva adagiato la serie: manca il cliffhanger che ti fa cacciare due madonne non appena finisce sul più bello la programmazione, manca la risoluzione del conflitto, la trama è costruita con continui giochi di ribaltamento, ma soprattutto mancano le morti.
In The First Day of the Rest of Your Life non muore nessuno. Nessuno di quelli che contano. Muore Sasha, è vero, ma in realtà la sua morte è celata ai nostri occhi (vediamo il prima e il dopo) arrivata talmente dall’alto, presa talmente alla larga, al punto che non puoi fare altro che esclamare un caloroso “finalmente” quando Negan apre la bara trovandovi all’interno quello che lo spettatore già sa vi troverà. La morte di Sasha, tuttavia, era già stata annunciata dagli episodi precedenti, dalla missione suicida in cui si era lanciata, lasciandosi Rosita alle spalle, dal veleno preparato da Eugene e dagli impegni lavorativi di Sonequa Martin-Green, che lascia The Walking Dead, dov’era una delle tante, per diventare uno dei volti di punta della nuova serie dedicata a Start Trek.
Normalmente nel finale di The Walking Dead si tiravano le fila di quanto successo negli episodi precedenti e si chiudevano le questioni in sospeso. The First Day of the Rest of Your Life di conti non ne chiude nessuno, li apre. Rick e il suo gruppo vengono messi davanti al tradimento di Eugene, che quando pronuncia la frase di rito “Io sono Negan” forse fa raggiungere alla puntata il suo apice drammaturgico, espone Jadis e gli “Scavengers” alla tremenda vendetta di Rick, permette a Dwight si sopravvivere ancora una volta, apre la strada al nuovo scontro Negan e Rick dell’ottava stagione, in onda verso metà ottobre di questo anno. Un finale che non chiude, ma posticipa, degna conclusione di una stagione, la settima, nella quale si è fatto di tutto per allungare il brodo il più possibile, senza però portare in scena niente di rilevante, a discapito dello spettatore. E, al netto delle botte prese da Michonne, dal rischio corso da Carl di diventare una pallina da baseball, e i tradimenti che andranno puniti nel sangue, The First Day of the Rest of Your Life di rilevante porta ben poco.
E, sebbene il primo giorno del resto della tua vita, sia il primo giorno lontano dalla macabra tirannia di Negan, con le donne, torno a ripeterlo, vero motore e leader silenziose della società (e Rick relegato sempre più a furente combattente), nella mia testa sono sempre qui a pensare che un’altra stagione che contrappone Negan a Rick sarà dura da digerire. Il personaggio di Negan, ha, infatti, portato un forte squilibrio nella serie. Quando non è presente, The Walking Dead si sgonfia e ha ben poco di interessante da mostrare. Ma quando Negan è presente, per la recitazione che si è voluti impostare con Jeffrey Dean Morgan, la sua natura ciondolante, le sue pause ad effetto, i suoi finti sorrisi, i tempi si allungano all’inverosimile e gli altri attori in scena scompaiono, mentre pendi dalle labbra del villain (nel bene e nel male) e speri arrivi presto al punto.
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