
The Walking Dead: la serie ha ripreso a camminare? Recensione episodio 8.12
Improvvisamente qualcuno a The Walking Dead deve aver svoltato. The Key, seppur nella sua banalità, al pari di The Lost and the Plunderers, è un signor episodio che pone i personaggi di fronte a dei veri bivi, a scelte azzeccate e a scelte completamente sbagliate, ma soprattutto a percorsi di maturità che fanno evolvere la storia, portandola da qualche parte. Insomma, finalmente in The Walking Dead succede qualcosa! Anche se, testardamente, si torna a riproporre un duello, vagamente inutile, Rick-Negan che sai già impossibile possa risolversi con la dipartita di uno dei due rivali.
Succede finalmente qualcosa
The Key è un episodio che ancora una volta vede ruotare le proprie vicende attorno ad un conflitto: è meglio uccidere tutti quelli che non fanno parte della nostra comunità, oppure, come sosteneva Carl, dare fiducia e costruire tutti insieme un futuro migliore? Banalmente, a favore della prima ipotesi vengono dirottati tutti i personaggi maschili. A favore invece della pace e della costruzione, ricadono i personaggi femminili. Con un’eccezione: Negan. Dopo essere stato violentato per ragioni di copione in The Lost and the Plunderers, il capo dei Salvatori torna qui ad incarnare il buon figlio di santa donna, pronto a spargere un po’ di sangue marcio di zombie fra i propri rivali. Tuttavia, durante lo scontro-confronto con Rick, trovando dall’altra parte uno che di morte forse se ne intende più di lui, Negan ricopre il ruolo dell’ammiratore delle teorie di Carl e in un certo senso anche le sue azioni devono essere lette in questo senso. Da cattivo, Negan passa ad essere il pacificatore del mondo, sebbene con metodi tutti suoi, volti allo sfruttamento gli altri per le proprie voglie. Non aveva ordinato la strage alla discarica e, l’aver scoperto di essere stato disobbedito, lo irrita abbastanza. Non solo per il mancato rispetto dimostrato da Simon, ma anche per le implicazioni delle azioni del suo galoppino, che, fra le altre cose, lo porteranno ad essere prigioniero di Jadis. Ancora una volta, nel confronto con Rick, è Negan ad uscirne sotto un profilo migliore, con un progetto per il futuro e la pace, seppur discutibile, mentre per lo sceriffo è tempo solo di suonare la campana della morte e della distruzione. Non a caso, dà di fuoco alla povera Lucille, in uno scenario che, alle fiamme della mazza, risponde con la morte dei “masticatori” vaganti (e pensare che a Rick gliel’hanno pure scritto che da quell’edificio doveva stare lontano).
Un nuovo personaggio
Fra le donne è invece Enid a ritrovarsi in una posizione di minoranza nel concepire un futuro fatto solo di lotta, dove i coraggiosi, disposti a concedere fiducia, muoiono, mentre i prudenti, che prima sparano e poi razziano vivono. Enid rappresenta il mondo marcio da cambiare. A poterlo fare, ovvietà al quadrato, sono le donne, simbolo di vita. Perché in un mondo ideale governato dalle donne non ci sarebbe la guerra. A dispensare fiducia come se piovesse, arriva Georgie, un personaggio apparentemente fuori posto che tuttavia si dimostra utile allo sviluppo narrativo di The Walking Dead, il cui gruppo appare ancor più inverosimile proprio quando tenta imitare gli uomini. Georgie offre la conoscenza, in cambio di fiducia. E, in aperto contrasto con l’imbarbarimento della civiltà post Apocalisse, non pretende beni materiali, che anzi dona, o lealtà (che dispensa a piene mani e pure oltre), ma solo cultura, musica. Il suo dono per il futuro di Hilltop è fatto di regole per la costruzione di mulini, silos, acquedotti, guide per la raffinazione del grano e la raccolta legname. Ingegneria medievale, poiché, luogo comune al cubo, imparando dal passato, apprenderemo come costruire un futuro migliore. In realtà la cosa curiosa è un’altra, rendersi conto solo ora che in tutta la serie non è mai sopravvissuto un ingegnere, un geometra, un architetto e nemmeno uno straccio di muratore, agricoltore o imprenditore agricolo, che potesse anche solo ipotizzare di dare vita ad un sistema agricolo intensivo.
Dimostra di aver appreso la lezione di Carl Michonne, che in questo dodicesimo episodio svolge il ruolo di coscienza del gruppo. Prima fa ragionare Maggie, poi, sul passatoio della recinzione, eretta grazie anche ad un “school bus”, dove campeggia nell’inquadratura a lettere cubitali la parola “school”, insegna alle nuove generazioni come non ripetere gli errori commessi dagli adulti (con la scuola a costruire le fondamenta per il futuro). La lezione di Carl è una valida opposizione al sangue marcio, nuova arma dei Salvatori. Nel sogno del bambino il sangue dovrebbe scomparire dalla terra; nel piano dei Salvatori scorrere a fiumi (qui al momento imbratta tutta l’auto di Negan). Il virus all’interno del sangue, poi, dovrà infettare i vari abitanti di Hilltop, portandoli alla morte e costringendo i sopravvissuti ad una forzata tregua. Anche la teoria di Carl inizia a muoversi come un virus, infettando sempre più seguaci, ma con la speranza di ottenere un risultato opposto, far dimenticare la violenza e imparare la cooperazione.
A Dwight invece il compito di apprendere di continuare a muoversi in direzione ostinata e sbagliata. Dopo aver tradito i Salvatori, essersi sacrificato per gli abitanti di Alexandria tornando all’ovile, nella speranza di farla franca, Dwight pensa bene di sostenere il piano di Simon e di ribellarsi al volere di Negan, non accorgendosi tuttavia di essere di fronte ad un Negan ancora peggiore. Nonostante un buco di sceneggiatura enorme come le cicatrici sul volto del biondo (a meno che non si volesse far passare Dwight per un allocco, al punto da scambiare le parole del compagno per le parole di uno che non vuole più combattere), Dwight si trova di fronte ad un bel momento di “What the hell….?”, venendo a scoprire un cattivo ancora più cattivo di quello prima, in realtà un discreto dirimpettaio di Rick. La capacità di ragionamento di Rick e Simon, in effetti, è identica: entrambi vogliono solo morte e sangue. Mentre Rick agisce visceralmente, almeno in questo Simon è anche più apprezzabile, per aver imparato le doti persuasive e oratorie adatte a raggiungere i propri scopi.
Nel mezzo di questi due universi contrapposti, arriva poi un tocco di scuola di sceneggiatura, anche se qui viene rappresentato tagliato con l’accetta e in maniera alquanto scontata. Entrambe le trame, infatti, arrivano a proporre alle fazioni in scena una possibilità di un accordo per rasserenare gli animi. Evitando di far ricadere la questione in una metafora politica dei giorni nostri italiani, l’accordo nasconde sostanzialmente quel processo di maturità richiesto da Carl. Accettarlo significherebbe ingoiare un rospo più o meno enorme per il bene della comunità. Rifiutarlo porterebbe a sfondarsi di munizioni e mazzate. Ovviamente le donne seguono l’insegnamento del figlio dello sceriffo e optano per un accordo, ricevendo in cambio la ricchezza della conoscenze e il regalo inaspettato del cibo. Gli uomini, al contrario, si trovano di fronte alla scelta più difficile, al compromesso impossibile, e optano per la via della violenza e riceveranno solo morte. A cercare di mitigare questa contrapposizione di generi, la banale presenza di Jerry e Arat, il cui aspetto è però completamente mascolino, mentre Jerry in tutto The Walking Dead non è mai stato una minaccia, salvo in un unico episodio.
Conteggiando quindi il numero delle volte che ho battuto la parola banalità o sinonimi, si può capire quindi come per tornare a far funzionare il mondo di Walking Dead non ci volessero delle menti illuminate, ma solo qualcuno che avesse voglia di far andare avanti la storia, invece di godere di un cortocircuito dove tutto è sempre uguale a sé stesso.
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