
The Man in The High Castle: Recensione dell’episodio 1.01 – The New World
1962: L’America ha perso la seconda guerra mondiale e ora si trova divisa nei suoi territori dalle classiche spartizioni che seguono alle rese. New York si trova nel Grande Reich Nazista, mentre San Francisco fa parte degli Stati Giapponesi del Pacifico. Al centro una zona neutrale in cui vige una sola regola: non ci sono regole.
The Man in the High Castle, basato sull’omonimo romanzo del 1962 partorito dalla mente visionaria di Philip K. Dick, ci pone di fronte ad un interrogativo che nessuno avrebbe voluto e mai vorrebbe porsi, nemmeno per scherzo. E se Hitler avesse vinto la guerra? Come sarebbe stato il mondo se il Terzo Reich non fosse caduto? Come saremmo stati noi nel 1962, a 20 anni circa dalla guerra più devastante che l’umanità abbia finora conosciuto, se i nazisti avessero occupato il nostro paese?
Un’ucronia è quella che immaginano Dick e Frank Spotnitz, sceneggiatore e produttore della serie. Un passato mai esistito che deve fare ancora i conti con una realtà che chi ha vissuto il periodo del nazismo ha sempre avuto paura che potesse realizzarsi. Quella paura è stata trasmessa alle generazioni future tramite le parole, i filmati, gli oggetti che la follia di un solo uomo ha reso incomprensibilmente inspiegabili ed inaccettabili.
Joe Blake è un giovane 27enne dalla faccia pulita. Vive a New York e ha deciso di arruolarsi nella Resistenza. Vuole fare la cosa giusta, vuole che il suo paese sia libero. Lui che la libertà non l’ha mai conosciuta. Lui che la guerra non l’ha mai conosciuta. Gli verrà affidato come primo lavoro il trasporto di un carico molto importante che scoprirà solo sulla strada verso la sua destinazione, Canon City nella zona neutra.
Anche Juliana Crain è molto giovane e molto determinata. Vive a San Francisco e pratica l’Aikido, un’antica arte marziale giapponese che insegna che per combattere un nemico non bisogna attaccare ma difendersi. Il suo fidanzato si chiama Frank Frink, un operaio che sogna di fare l’orafo e che vive con costante terrore che le sue vere origini vengano scoperte. Frank è infatto un ebreo, una parola che quel 1962 non può ancora sentire. La vita di questi due ragazzi, i quali sognano un giorno di sposarsi e metter su famiglia, viene improvvisamente sconvolta dall’arrivo della sorella di lei, Trudy, la quale prima di essere uccisa per strada dai soldati giapponesi consegna alla sorella qualcosa che è diventato la sua ragione di vita. Una bobbina, un filmato che racconta come sono in realtà andate le cose, un film-giornale che prova che gli Americani la Seconda Guerra Mondiale l’hanno vinta. Sulla scatola c’è scritto The Grasshopper Lies Heavy e quel filmato è stato realizzato da un fantomatico regista che si fa chiamare The Man in The High Castle. Insieme alla pellicola Juliana trova un biglietto per un bus con su scritto il nome di una tavola di una tavola calda e un orario. La donna deciderà di andare a fondo della questione e di presentarsi a quell’ultimo appuntamento. Destinazione Canon City.
Seppure abituati ultimamente ad incontrare nei film come nelle serie tv scenari passati ma soprattutto futuri diversi in parte o del tutto dal nostro, The Man in the High Castle ci presenta una società che difficilmente riusciamo per ovvie ragioni a digerire. E lo fa con la lentezza che serve, facendoci immergere in quotidianietà che abbiamo forse già visto ma non in quella forma. Siamo nel 62 e la fotografia ce lo conferma in pieno, le acconciature sono quelle, anche i vestiti e i mobili e le auto sono quelle che conosciamo. Ma la bandiera americana al posto delle stelle ha una svastica e i cocktail sono a base di sakè. Ma il tutto non stona e sembra nel suo piccolo veritiero. Anche le preoccupazioni dell’ufficiale giapponese Nobusuke Tagomi su chi sarà il successore di un Hitler vecchio e malato.
Eppure. Eppure The Man in the High Castle destabilizza, ti tiene con i piedi a mezz’aria per tutto il tempo della visione. É come chiudere gli occhi e immaginare un mondo diverso. Diverso ma così maledettamente vivo e vicino al reale.
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