
The Magicians: Recensione dell’episodio 2.01 – Knight of Crowns
Pubblicato nel 1994 da Castelvecchi, Andy Warhol era un coatto è una raccolta di due saggi scritti da Tommaso Labranca, scrittore e saggista recentemente scomparso. L’argomento di questa interessante opera è ben chiarito dal sottotitolo che recita un eloquente Vivere e capire il trash dove per trash si intende proprio quel genere televisivo croce dichiarata e delizia nascosta di molti spettatori tra le cui fila non abbiamo vergogna di includere anche non pochi redattori di Telefilm Central. E, d’altra parte, se rifuggissimo inorriditi da questo genere, non saremmo qui a recensire la premiere della seconda stagione di The Magicians che senza dubbio di questo modo degenerato di fare tv può considerarsi un orgoglioso alfiere.

Un trash matematico
Quanto la serie adattata dalla trilogia di Lev Grossman e trasmessa da SyFy sia un esemplare da manuale di questo genere, lo si può addirittura quantificare in maniera pseudo – matematica, rifacendosi ad una equazione formulata proprio da Labranca nel testo citato. Se indichiamo con k una costante che cresce al crescere della povertà di mezzi e dell’incapacità, con S la volontà di emulare un modello e con R il risultato finale, possiamo quantificare il trash T secondo la semplice formula kS – R = T. Non è difficile estrarre a caso momenti da tutta la prima stagione di The Magicians da inserire in questa equazione per ottenere valori di T talmente alti da giustificare in pieno l’iscrizione della serie nell’elenco del trash lasciando aperto solo il discorso incerto di quanto questo risultato sia una consapevole scelta degli autori o un infausto esito della loro inadeguatezza. Ma c’è una scena in questa premiere che è forse uno degli esempi migliori di quanto sia facile adattare la formula di Labranca alla serie di SyFy ed è (ovviamente, verrebbe quasi da dire) quella dell’incoronazione.
Modello da emulare è ancora una volta Le cronache di Narnia come spesso accaduto nella serie e come evidenziato ancora una volta qui dalla scelta di avere due re e due regine con Eliot a prendere il posto di Peter come primus inter pares e Quentin quello di Edmund come coraggioso vice, mentre Margo e Alice sono repliche molto sui generis di Susan e Lucy. Se Narnia è la S dell’equazione, k è l’assurdità della messa in scena con i quattro che si incoronano a vicenda con formule celebrative completamente a caso, R è il cavaliere custode delle corone che se la dorme della grossa e testa quanto i quattro siano degni degli ambiti diademi (che assomigliano più a frontini che compri da Accesorize che a preziosi segni distintivi del potere regale) con domande sulla tv degli anni Novanta convincendosi solo quando sente Eliot citare il Patrick Swayze di Dirty Dancing, è chiaro che il valore di T non può che essere alto. Ed è sempre più evidente quanto l’annoso dilemma ci sono o ci fanno ha una soluzione ormai delineata con certezza adamantina. Questi ci fanno proprio e ne sono anche maldestramente orgogliosi e consapevolmente fieri.

Un trash ricercato con voluttà
Che sia così, d’altra parte, lo si era già capito dal season – finale della prima stagione dove Alice riceveva i poteri magici da quell’improbabile divinità faunesca bevendo un abbondante bicchiere di sperma (idea che farebbe impallidire persino uno sceneggiatore di film porno di serie b). E viene ribadito ancora una volta all’inizio di questa premiere quando la strage che aveva chiuso quell’episodio lasciando i nostri variamente agonizzanti viene liquidata in un attimo con un generico appello a quei poteri. Un modo talmente sbrigativo di risolvere quello che doveva essere un dramma che neanche ce la si fa a criticare gli autori perché fin troppo evidente è la loro volontà di buttare tutto in caciara e appellarsi alla prima idea bislacca che gli venga in mente, pur di permettere ai protagonisti della serie di tornare a fare quello che il pubblico si aspetta da loro.
Così Quentin può andarsene in giro a incontrare personaggi improbabili come la versione apparentemente pacifica della strega di Hansel e Gretel che adesso coltiva lecca lecca invece che mangiare bambini; Alice può mostrare quanto è irritantemente prima della classe sempre e comunque e figuriamoci ora che c’ha anche i poteri superiori; Eliot può ritornare a ciondolare in modo ironico tra il clownesco desiderio di starsene a far nulla e la volontà da eroe per caso di essere di aiuto ai suoi amici; Margo può tirare fuori nuovamente il suo collaudato repertorio di battute ciniche e momenti inattesi di improvviso affetto. E poi Penny, a cui l’usuale stizzosità e la cronica assenza di ogni utilitaristica diplomazia costano un paio di mani che tornano al loro posto con l’aggiunta indesiderata di una strana autonomia. E se a qualcuno questo ricorda la combattiva mano ribelle dell’indimenticabile Ash de La Casa e L’Armata delle Tenebre è perché forse anche gli autori di The Magicians hanno seguito Ash vs Evil Dead la cui seconda stagione è andata in onda proprio durante la pausa delle avventure di Quentin e soci. Un raro caso di trash che imita il trash.


Quel che resta quando togli il trash
Cosa resta quando a The Magicians si sottrae il suo ingrediente principale? Se nulla fosse la risposta esatta, si potrebbe candidare la serie al prestigioso trono di regina del trash nonostante questa ambita sedia abbia in realtà più agguerriti contendenti di quello di spade. E, tuttavia, in The Magicians qualcosa resta ed è la storia di Julia ormai intrecciata a quella della Bestia. Mentre, infatti, poco interesse sembra meritare la ricerca di un modo per impedire che la sorgente della magia si prosciughi in cui si prodigheranno i novelli re e regine di Fillory, più degna di attenzione potrebbe essere la gestione della rabbia e del dolore conseguenti allo stupro subito da Julia ad opera del perverso Reynard. L’interazione pericolosa con il beffardo Martin potrebbe condurre la potente strega su un cammino costantemente in bilico tra una comprensibile voglia di giustizia e una temibile caduta nel baratro di una mancanza di umanità, che lenirebbe il suo acuto dolore a prezzo di quell’ombra nascosta a cui sembra ambire la Bestia. Julia continua, quindi, a essere quel che resta di The Magicians quando si butta via tutto il trash e il vero motivo per cui si può dire che la serie sceglie il trash in modo consapevole perché, quando vuole (ma troppo poco spesso lo vuole), sa anche sfiorare una certa intensa serietà o provare ad affrontare argomenti più maturi.
Che sia possibile credere in una formula matematica per quantificare il livello di trash in una serie tv è argomento certamente opinabile (e dopotutto lo stesso Labranca rinnegò in seguito il suo saggio). Che The Magicians sia però un esempio da manuale di trash è sicuramente fin troppo facile da affermare. Sta al singolo lettore decidere se questo sia più una croce da rifuggire o una delizia da rubricare come innominabile guilty pleasure.
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