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The Leftovers e la perfezione della semplicità: Recensione del finale

Tutto ciò che ha inizio ha una fine. Una banalità estrema che nasconde una verità lapalissiana troppo spesso dimenticata e alla cui condanna non si può sfuggire. E così anche quel viaggio meraviglioso che è stato The Leftovers si è concluso definitivamente. Niente più teorie complesse per spiegare cosa è successo ai dipartiti; niente più lacrime solidali con il dolore di Nora; niente più profonde riflessioni sul senso della fede con Matt; niente più inattese sorprese per i viaggi andata e ritorno di Kevin nell’aldilà; niente più amari dissapori per le reazioni mute di Laurie e degli altri Guilty Remnants. Niente più The Leftovers.

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Un finale semplice ma perfetto

Damon Lindelof e Tom Perrotta ci hanno accompagnato per questi tre anni, regalandoci episodi intensi che ci hanno fatto commuovere, pensare, divertire, innervosire, interrogare. Dovevano scrivere ora il finale di questa lunga storia, iniziata con un mistero inspiegabile e conclusasi con quello che alla fine si è rivelato essere solo un normale salto temporale di un numero imprecisato di anni. Una risposta dopotutto semplice a quella domanda che la scena finale della premiere di questa terza stagione aveva suscitato. Come mai Nora è tanto invecchiata e dice di non ricordare nulla di Kevin? Perché sta fingendo per vivere in solitudine un distacco avvenuto molti anni prima.

The Book of Kevin si intitolava il primo episodio di questa terza stagione e The Book of Nora è il titolo del series finale. Kevin e Nora. La storia del primo e la storia della seconda. La storia del poliziotto che non riesce a morire anche se vorrebbe, perché non sa come fare a vivere. E la storia della madre che ha perso tutto e vuole vivere per dimostrare a se stessa che può farcela, anche se da quel dolore non riesce a separarsi. La storia di due solitudini distinte che si incontrano e provano a trovare il coraggio di fare di due monadi separate un singolo universo indistinto. Alla fine, The Leftovers è questo: una storia d’amore.

E allora non c’è bisogno di fuochi pirotecnici per chiudere la serie. Non c’è bisogno di mostrare il funzionamento dettagliato della macchina che Nora ha inseguito per farsi mandare dalle due riluttanti scienziate nell’altro mondo, dove i suoi figli e tutti i dipartiti continuano a vivere. Neanche serve mettere in scena il viaggio di lei dall’altra parte e poca importanza ha, dopotutto, anche chiedersi se lo abbia effettivamente compiuto o stia solo raccontando una storia convincente. Ed anche la falsa pista di Kevin che non ricorda niente di quello che è avvenuto dopo il loro primo incontro e solo per caso ritrova Nora in una Australia remota serve solo a illudere i fan di Lost che tutto si stia concludendo un simil purgatorio come già avvenuto per l’indimenticata creatura di Lindelof. Niente di tutto questo è necessario, perché l’unico modo di chiudere questo viaggio è farlo nella semplicità di un incontro tra i due protagonisti di questo romanzo.

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Una storia d’amore con un magnifico contorno

Lindelof lo aveva detto chiaramente, ma forse lo avevamo dimenticato un po’ tutti, travolti dalle ondate di domande e misteri con cui la serie ci ha investiti in questi tre anni. Ma The Leftovers non è altro che una bellissima storia d’amore. Tutto il resto è dopotutto un contorno accessorio e solo la magnificenza intelligente di questo accompagnamento ci ha fatto credere che il cuore nascosto di ciò che episodio dopo episodio restava sullo schermo fosse qualcosa di diverso. Diventa allora inutile chiedersi perché la dipartita, dove è finito il 2% della popolazione, cosa è accaduto nel settimo anniversario. Domande che potrebbero sembrare non aver trovato risposte esaustive, ma sulle quali, in realtà, questo episodio e il precedente hanno detto anche troppo. È come la storia delle scarpe scomparse dei figli di Grace: non ha importanza sapere dove sono. È come il racconto di Nora: non sono andati da nessuna parte, siamo noi che siamo scomparsi per loro. È come il rassegnato dubbio di Kevin sr: non è accaduto e non accadrà niente e quindi resta da chiedersi solo cosa fare adesso.

E cosa fare lo sa benissimo Kevin, dopo aver finalmente rinunciato all’idea malsana del continuare a morire e ritornare. C’è una sola cosa che Kevin può fare: ritrovare Nora. E tenacemente lo fa. Caparbiamente ritorna ogni anno in quella Australia dove si sono separati, chiedendo stupidamente a tutti se la avessero vista come se quella terra all’altro capo del mondo fosse un piccolo villaggio dove tutti si conoscono per forza. Una ricerca impossibile che diventa un successo insperato solo perché inseguito con caparbietà per anni, perché non c’è niente altro che abbia senso ormai che ricominciare quello che non doveva mai essere interrotto. Kevin ama Nora e questa è l’unica cosa che conta.

Ma non si può ricominciare da una bugia. Non si può fingere che nulla sia successo e che basti un ballo da tempo atteso a dare il la ad una nuova e più serena melodia. Perché non è vero. Perché tanto è accaduto ed è proprio tutto ciò che è stato la ragione vera per cui quel percorso comune non deve avere un nuovo inizio, ma piuttosto un seguito irrinunciabile. Prima però bisogna liberarsi dei propri peccati ossa di quelle scelte che sai essere sbagliate eppure continui a fare. Prima bisogna lasciare che i messaggi di amore (sinceri o ironici, veri o fasulli) che che gli invitati legano alle zampe delle colombe bianche che Nora addestra ritornino da lei a comporre quel Book of Nora che è, in fondo, una collezione di frasi non dette e gettate colpevolmente via. In un ultimo simbolismo volutamente semplice Nora libera la capra dal peso delle collanine che rappresentano i peccati prendendoli su di sé per lasciarli per sempre, quando è pronta a ripartire con Kevin. Quando le colombe possono tornare come dal disio portate.

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La quiete dopo la tempesta

The Leftovers chiude il suo viaggio regalando ai suoi protagonisti proprio quello che, a volte senza rendersene conto, avevano sempre cercato: la pace della normalità. Quasi fosse una fiaba troppo drammatica per pensare che possa avere il classico happily ever after, la serie lascia infine i suoi eroi in una perenne serenità. Kevin sr è rimasto in Australia, rassegnandosi tranquillamente a non essere il salvatore del mondo, ma solo l’ancora di salvezza di Grace (con la quale, si intuisce, sia rimasto a vivere). Michael manda avanti la chiesa, obbedendo felicemente a quella vocazione che era sempre stata chiara e che solo l’irrisolta fine di Evie aveva impedito potesse essere seguita. John continua a vivere a Jarden, che pochi ormai continuano a chiamare Miracle, perché la dipartita stessa è ormai solo un ricordo con cui tutti hanno accettato di convivere. E, sorpresa davvero inattesa, anche Laurie è ancora a Jarden intenta a giocare con quella che è probabilmente la figlia di Jill. Un finale felice che toglie forse drammaticità all’episodio a lei dedicato che si era chiuso con un tuffo che faceva pensare al suicidio, ma che è dopotutto coerente con il messaggio intimista che questo finale vuole dare. L’unica cosa che conta è amare ed essere amati. La telefonata di Jill e Tom allora era una ragione più che sufficiente per cambiare idea.

L’unico a cui sembrerebbe essere negato il lieto fine è Matt, del cui funerale ci informa sinteticamente Kevin. Ma quelle quattrocento persone che intervengono alla cerimonia funebre e quell’elogio letto da Mary ci dicono che, in realtà, anche Matt ha avuto il suo happy ending. Come aveva confessato a Nora nel loro ultimo dialogo, la sua paura più grande non era il vivere ancora, sapendo che avrebbe dovuto mentire a chi aspettava da lui verità che lui stesso non sa trovare. E allora anche una morte circondato da persone amate diventa il miglior regalo che Matt poteva chiedere e che Lindelof e Perrotta non gli hanno negato.

Tutto ciò che ha inizio ha una fine. Ma The Leftovers vivrà sicuramente a lungo nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di seguire una serie che ha regalato emozioni indimenticabili. Come l’amore di Kevin e Nora e il loro perfetto ultimo dialogo: “You’re here. I’m here”.

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Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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