
I sogni infranti dell’età d’oro di Hollywood. The Last Tycoon: Recensione della prima stagione
Gli anni ’30 potranno non essere i “ruggenti anni ‘20” ma, nonostante la mancanza del proibizionismo, restano un momento affascinante della storia americana. Tanto più se li si vuol considerare dal punto di vista di Hollywood, di The Last Tycoon e dell’inizio di quella che sarebbe stata chiamata l’età d’oro di Hollywood. Gli anni ’30 sono infatti sinonimo di Clark Gable, della Cleopatra di Claudette Colbert e della piccola Shirley Temple.
Malgrado sia incompiuto, il romanzo di F. Scott Fitzgerald, è liberamente ispirato alla vita di Irving Thalberg, il produttore cinematografico che lavorò sia alla Universal che alla MGM, maggiormente noto per aver prodotto Ben Hur (1925) e La tragedia del Bounty (1935), quest’ultimo Miglior Film agli Oscars del 1936.
E’ a questa grandezza, a questo sfarzo, a questa meraviglia che si ispira il romanzo di Fitzgerald ed erano queste cose che mi aspettavo di vedere nella trasposizione di Billy Ray. Peccato che nulla di questa magnificenza sia minimamente palpabile nella mini-serie di Amazon Prime. Nulla al di fuori della profondità degli occhioni di Matt Bomer, che però sembra essere nato per essere un produttore nella Hollywood degli anni ’30; sia messo a verbale.
Un adattamento televisivo che poteva (e doveva) essere evitato

The Last Tycoon parla di una Hollywood che ormai non esiste più, ma che è ancora, nonostante tutto, incredibilmente moderna. Protagonista della vicenda è il produttore Monroe Stahr (Matt Bomer) che, insieme al capo della casa di produzione Brady American, Pat Brady (Kelsey Grammer), cerca di tenere a galla una compagnia in evidenti difficoltà finanziarie. Per farlo i due si dedicano anima e corpo alla produzione di tre delle loro pellicole. Una di queste co-prodotta dalla figlia di Brady, Celia (Lily Collins), segretamente – ma nemmeno tanto! – innamorata di Monroe. La stessa che ha per protagonista la nuova fidanzata del produttore, Kathleen (Dominique McElligott), una ragazza di umili origini che gli ricorda la moglie scomparsa.
LEGGI ANCHE: The Last Tycoon – Recensione dell’episodio 1.01 – Pilot
Come premessa per una serie tv di successo c’è tutto il necessario. I personaggi hanno sfumature interessanti, ci sono degli scheletri nell’armadio, ci sono stile ed eleganza dell’età d’oro di Hollywood e, perché no, anche degli attori con un background notevole. Grande pecca dell’opera da cui la serie tv è tratta è il fatto che sia incompiuta, anche se più di una volta (ehm, qualcuno ha detto Game of Thrones?) è qualcosa che può essere usato a vantaggio e non svantaggio di una produzione.
Viceversa, The Last Tycoon eredita tutte quelle che erano le caratteristiche peggiori del romanzo di Fitzgerald. Una trama lenta, a volte tanto da risultare pesante, con dialoghi e scenografie irrigiditi dagli eccessivi dettagli e una regia che singhiozza tra la staticità ed il banale. Non vediamo fiorire gli anni ’30 su schermo, li vediamo morire appassiti.
Matt Bomer e Lily Collins in The Last Tycoon funzionano, tutto il resto un pò meno

La prima grande pecca di una serie tv come questa è il desiderio quasi maniacale di trovare la perfezione. Ma una perfezione di quasi cento anni fa, con movimenti robotici di una realtà che ormai è superata. C’era bisogno di una buona colonna sonora per far brillare i dialoghi un po’ spenti, un po’ di sporcizia per rendere autentici i set di una casa di produzione. Perfino i costumi, a cui apparentemente non si potrebbero trovare difetti, sembrano noleggiati in qualche negozio d’antiquariato: poco indossati, poco autentici, benchè esteticamente meravigliosi.
I personaggi, la cui caratterizzazione non ha abbastanza spazio sullo schermo, si sforzano di piacere ma, al di là di rarissime eccezioni, non hanno impatto sullo spettatore. Ci si ricorda della complessità di Monroe, dei sogni un po’ infantili di Celia, della gelosia di Pat e della delusione matrimoniale di Rose. Tutto il resto, malgrado l’evidente sforzo, è un mare di anonimato e pallore da cui nessun personaggio riesce ad emerge o distinguersi.
Ecco allora che sembra necessario specificare che si, dopotutto c’è qualcosa che in The Last Tycoon ha funzionato. Matt Bomer e Lily Collins, per dirne una, hanno funzionato alla grande. Matt Bomer sembra essere nato per indossare gli abiti anni ’30 di sartoria. La sua interpretazione di Monroe ha avuto la giusta dose di entusiasmo, freddezza e passione di cui si presuppone sia stata permeata la vita di Irving Thalberg. La sua controparte femminile, Lily Collins, ha invece visto una crescita incredibile dal pilot all’episodio finale. Nel giro di poco tempo è passata dall’essere la figlia viziata di un grande uomo, innamorata del collega di suo padre, all’essere una produttrice e una donna capace e indipendente, con idee proprie ed il coraggio di esporle in quanto tali. Il suo personaggio, dopo quello di Monroe, è stato quello meglio delineato e strutturato.
Quando una serie tv promette ma non mantiene la parola data

Meritano un plauso anche Pat e Rose, nonché i rispettivi Kelsey Grammer e Rosemarie DeWitt. Pat è il padre che Monroe non ha mai (presumibilmente) avuto, la cui approvazione è ciò che lo spinge ad essere bravo nel proprio lavoro. Talmente bravo da essere quasi un dio, molto più amato di quanto Pat sia mai stato. E’ quell’adorazione, quell’essere inferiore a Monroe che porta inevitabilmente Pat a cercare di distruggerlo, regalando un’interpretazione davvero magnifica da parte di Grammer. Lo stesso si può dire per Rosemarie DeWitt, che si erge da donna usata dagli uomini e sottovalutata in quanto tale, a donna con in mano le redini della propria vita, audace e intraprendente.
LEGGI ANCHE: 10 giovani attrici da tenere d’occhio – 2014 Edition
Un cast straordinario, senza ombra di dubbio, la cui interpretazione non viene certamente messa in discussione. Un’interpretazione che viene tuttavia sminuita da tutta la serie di elementi sovracitati che non fanno altro che appesantire una buona presenza scenica con una mobilità inesistenza della regia e una fotografia piatta. La bellezza che ci si aspetta, la magia che Hollywood promette nel pilot – che, se ricordo bene, mi aveva lasciato perplessa ma ancora speranzosa – viene meno.
The Last Tycoon non mantiene la sua promessa, infrangendo i sogni dello spettatore. Non regala lo stupore, non rende giustizia a quell’opera incompiuta di F. Scott Fitzgerald che, con queste premesse, questo cast e questo budget avrebbero potuto benissimo regalare una serie tv in costume con i fiocchi. Un peccato e un’occasione sprecata che, purtroppo, è difficile perdonare.
Visitor Rating: 5 Stars
Visitor Rating: 4 Stars
Visitor Rating: 5 Stars
Visitor Rating: 4 Stars
Visitor Rating: 5 Stars