
The Highwaymen – L’ultima imboscata: anche gli intoccabili invecchiano – la recensione del film Netflix con Kevin Costner e Woody Harrelson
Titolo: The Highwaymen – L’ultima imboscata
Genere: biografico
Anno: 2019
Durata: 2h 12m
Regia: John Lee Hancock
Sceneggiatura: John Fusco, John Lee Hancock
Cast principale: Kevin Costner, Woody Harrelson
Si tratta sicuramente di una coincidenza, ma capita come il proverbiale cacio sui maccheroni. Kevin Costner aveva 32 anni quando interpretava Elliott Ness in Gli intoccabili di Brian De Palma nel 1987. Ne ha oggi esattamente il doppio e ritorna ad interpretare un altro poliziotto che può vantare di aver catturato una preda tanto illustre da poter scrivere il proprio nome nella storia della lotta al crimine. Elliot Ness aveva fatto arrestare Al Capone. Frank Hamer era il capo della squadra che tese l’imboscata in cui furono uccisi Bonnie e Clyde. Ed è il protagonista di questo The Highwaymen.
Gli anni che passano
Anche senza volersi far infettare dalla sindrome del complotto per cui non esistono mai le coincidenze, è impossibile non vedere nel Frank Hamer interpretato dal sessantaquattrenne Kevin Costner quel che sarebbe potuto diventare l’Elliot Ness i cui abiti ha vestito il trentaduenne Kevin Costner. Sopratutto per il modo in cui il giovane rampante procuratore sarebbe potuto diventare se lo si fosse andato a ritrovare quando aveva la stessa età del pensionato ranger di The Highwaymen. Esperimento puramente ipotetico dato che i due sono vissuti nello stesso periodo ed hanno solo diciannove anni di differenza. Ma comunque interessante per approcciarsi a questo film.
Hamer e il suo inseparabile collega Maney Gault sono, infatti, due poliziotti ormai in pensione che vengono richiamati frettolosamente in servizio per fermare ad ogni costo i ben più famosi Bonnie e Clyde. Soprattutto, Hamer e Gault sono quel che Ness sarebbe potuto diventare dopo anni di successi cancellati dal nuovo che avanza. Nuovo che non vuole necessariamente dire meglio.
Perché questo nuovo è fatto di politici sorridenti che fanno proclami a scopo elettorale a cui interessa non che venga fatta giustizia, ma avere in mano l’asso da giocare nella partita della riconferma. Parla con la voce invadente di giornalisti in agguato per scovare l’ultimissima news prima degli altri e poco importa quale sia purché a dirla sia tu per primo. Si veste dell’aspetto cencioso di famiglie che la crisi economica ha ridotto ad accamparsi in campi polverosi in attesa di un lavoro occasionale che basta ad andare avanti un giorno ancora senza nessuna prospettiva. Ha la rabbia astiosa di chi fa il tifo per i cattivi perché il nemico del mio nemico è mio amico anche quando uccide altri che potrebbero essere stati miei amici.
Il paese che Frank e Maney attraversano in The Highwaymen è un’America vista poche volte. Questo genera nello spettatore la stessa sensazione di spaesamento che i due vecchi poliziotti si trovano a dover fronteggiare. Un’America che è cambiata mentre loro invecchiavano e che adesso devono attraversare sentendone l’ostilità che si riserva a degli estranei che sono vissuti fuori da quel mondo.
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Un’ultima caccia per non sentirsi alla fine
The Highwaymen è la storia dopotutto malinconica di due uomini ormai fuori dal tempo che non vogliono e non possono rassegnarsi a sentirsi alla fine. E non fa alcuna differenza il modo in cui i due a quel punto sono arrivati. Non conta che Frank abbia una bella casa, una moglie innamorata, una situazione economica invidiabile. O che Maney, al contrario, sia un ex alcolizzato che vegeta sulle spalle della figlia e del genero che si arrabattano come possono per non far mancare nulla al nonno del loro bambino. Perché sia Frank che Maney sono uniti dalla consapevolezza amara di essere stati messi in panchina. Come vecchi campioni che tutti rispettano, ma che nessuno più ormai pensa di far giocare.
La caccia a Bonnie e Clyde diventa, allora, il modo di dimostrare a tutti che quel famoso nuovo ha ancora molto da imparare da quel vituperato vecchio. E allora Bonnie e Clyde sono solo una scusa. Intelligentemente, i due banditi non appaiono quasi mai in scena e solo alla fine ne vediamo il volto giovane e fresco. Perché questa non è la loro storia (raccontata più e meglio nel classico Gangster story di Arthur Penn nel 1967). Ma è piuttosto il racconto dal gusto amaro di chi li ha, infine, fermati. E lo ha fatto per non doversi fermare lui. Per poter andare ancora avanti nonostante tutto intorno a loro suggerisca il contrario.
Nonostante l’impossibilità di capire un mondo dove i criminali sono delle star. L’incapacità di accettare che si possa uccidere senza ricordare nemmeno il volto a cui hai sparato. La consapevolezza che da loro ci si aspetti ormai che accettino di sedere sotto il portico a guardare gli altri vivere mentre attendono di leggere la parola fine.
È questo il senso di The Highwaymen. Il non volersi fermare. Il dire non ancora.
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Agiografia piuttosto che biografia
Nonostante l’aggettivo biografico usato anche da chi scrive per definirne il genere cinematografico di appartenenza, The Highwaymen pecca proprio in questo aspetto. Non avendo l’obbligo manicheo di dire la verità, tutta la verità, niente altro che la verità, la sceneggiatura di John Fusco e John Lee Hancock (che dirige con sicurezza il film) si prende più di una licenza. Il risultato finale è un film convincente, ma anche troppo semplicistico nella descrizione dei fatti. L’innegabile ingegno di Hamer e Gault che compresero lo schema dei movimenti della Barrow Gang viene presentato in maniera fin troppo sensazionalistica. I due, infatti, sembrano indovinare magicamente le mosse degli avversari senza tutto il lavoro di studio che in realtà ci fu.
Soprattutto, il film tace delle controversie legate proprio all’imboscata finale che hanno visto Hamer accusato di essere stato troppo precipitoso senza offrire la possibilità a Bonnie e Clyde di arrendersi. Più che la cattura di due pericolosi criminali si sarebbe trattato quasi di una esecuzione, aspetto su cui il film decide di soprassedere. Ne risulta, quindi, una narrazione fin troppo parziale che si può perdonare, ma non tacere.
Come da non tacere è la bravura di un Kevin Costner ormai ritrovato come attore e la sicurezza di un Woody Harrelson a suo agio nel ruolo. The Highwaymen vive dei loro dialoghi continui. Si arricchisce della disillusione amara che Costner dona al suo Frank Hamer. Si impreziosisce con i dubbi tormentosi di cui Harrelson carica il suo Maney Gault. Bonus sufficienti a più che compensare il malus dovuto all’infedeltà del film alla cronaca storica.
E, d’altra parte, a costo di ripetersi, non si può che concludere sottolineando quanto The Highwaymen non sia la storia degli uomini che fermarono Bonnie e Clyde. Ma quella di due uomini che decisero che altri avevano fermato troppo presto Frank Hamer e Maney Gault. E dimostrarono che erano gli altri ad aver torto.