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The Handmaid’s Tale: il peggiore dei mondi possibili | Recensione prima stagione

“Cosa accadrebbe se…”. È una domanda a cui molti scrittori hanno provato (e di certo continueranno a provare) a dare una risposta. La necessità di dare una forma allo spaventoso quesito su come una tendenza sociale o tecnologica potesse condizionare negativamente l’evoluzione ha portato alla nascita di un genere letterario noto come distopia.

Se per il filosofo Leibniz il nostro “è il migliore dei mondi possibili”, per i romanzieri distopici le utopie negative da loro descritte sono un monito a considerare situazioni già esistenti nella realtà come letalmente pericolose. Un avvertimento, in poche parole: se è questa la strada che si vuole percorrere le conseguenze saranno catastrofiche. Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood è uno di questi campanelli d’allarme, ma con un “ma”. Più che immaginare, la scrittrice canadese decise infatti di inserire nel suo testo fatti già accaduti, situazioni di cui le donne erano già state vittime. 

A 30 anni di distanza dalla pubblicazione di quel romanzo, la Repubblica di Gilead sembra a noi abitanti del mondo del 21° secolo ancora più spaventosa. Perché in queste tre decadi, la deriva (non) immaginata da Atwood non solo ha dato prova di (r)esistenza, ma si è in alcuni casi concretizzata in un modo che forse la stessa autrice non poteva immaginare. Quel mondo, insomma, è davanti ai nostri occhi, anche se non sempre ne siamo pienamente consci. Diventa quindi praticamente impossibile riuscire a scrivere una recensione senza lasciarsi coinvolgere emotivamente da ciò che questo primo infernale viaggio è stato. E non dipende solo dall’appartenenza o meno al genere femminile.

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© 2016 Hulu

A tutto ciò si aggiunge la difficoltà di riassumere sinteticamente le trame affrontate, vista la densità narrativa di questa prima stagione di The Handmaid’s Tale. Si potrebbe forse per comodità dividere in due parti la storyline centrale di Offred, la quale ci guida alla scoperta dell’orrore che la bellezza formale di Gilead nasconde nelle stanze luminose delle case dei Comandanti, nelle linee semplici degli abiti, nella perfezione visiva dei negozi di generi alimentari. Un orrore fatto di privazioni, di stupri legittimati, di ricatti morali, di mutilazioni fisiche e di violenza psicologica. Un orrore in cui le donne smettono di essere persone e diventano oggetti. Corpi privi di un nome proprio, a cui viene negata ogni legittima esistenza e il cui unico scopo è quello di servire la Repubblica come serve, schiave, uteri. 

Quel fantomatico “cosa accadrebbe se…”, premessa di ogni buon prodotto televisivo o letterario distopico, viene a cadere visto che noi stessi spettatori siamo vittime o anche solo testimoni di un modus operandi non lontano da quello raccontato da The Handmaid’s Tale.

Offred non è l’unica voce del coro. C’è Ofglen, la cui omosessualità è per il regime la prova della sua inumanità. C’è Janine, che con la sua semplicità d’animo ha provato a trovare in qualche modo una spiegazione al tutto. C’è Moira, che perde la speranza e accetta di prostituirsi per non morire. Ma c’è anche Serena Joy, che per quanto sia in una posizione privilegiata rispetto alle altre non è che una pedina nelle mani di regime in cui la Fede è la buona scusa. 

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© 2016 Hulu

Se nella prima parte a farla da padroni sono il senso di impotenza e la diffidenza, nella seconda si fa strada un sentimento positivo, una ritrovata speranza. Nolite te bastardes carborundorum non significa soltanto “non lasciare che i bastardi che ti schiaccino” ma significa anche “non dovrai combattere da sola questa battaglia”. Una guerra che non si combatte con le pietre ma con le parole, con i nomi di quelle migliaia e migliaia di donne private della loro vita, del loro lavoro, dei loro figli. 

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La prima stagione di The Handmaid’s Tale è stata una delle rivelazioni televisive dell’anno. Tecnicamente impeccabile, questi primi dieci episodi hanno non solo dato vita alle visioni di Atwood ed esaurito il materiale incluso ne Il racconto dell’ancella, ma hanno anche espanso il mondo narrativo del romanzo. Se infatti il testo si concentrava soprattutto su Offred, la serie tv ha avuto modo di raccontare meglio alcuni personaggi (come ad esempio Serena Joy e Nick) e di permettere che altri continuassero a sopravvivere nella narrazione (il destino di Luke nel romanzo rimane incerto mentre nello show non solo riesce a raggiungere il Canada ma ritrova anche Moira). Tutto questo ha ampliato gli orizzonti (anche geografici) ma soprattutto ci ha consentito di percepire ancora più vicini a noi l’orrore di Gilead. 

Che sia luce o che sia buio, non ci resta che attendere un anno per scoprire quale sarà il destino di Offred. Nel frattempo potremmo provare anche noi a cambiare le cose, anche solo un po’.

Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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