
The Divergent Series – Insurgent: la recensione
La letteratura è una delle arti delle Muse e di certo non è soggetta alle mode del momento. La letteratura, non la narrativa per quelli che, con una furba ma non inadatta definizione, sono chiamati “giovani adulti”, quegli adolescenti sulla soglia di lasciare per sempre l’età della spensieratezza ad ogni costo per entrare in una più matura giovinezza. E che, prosaicamente parlando, sono il target ideale per le case editoriali alla ricerca di un facile successo commerciale. Sono loro ad aver decretato che le storie che parlano di loro coetanei alle prese con le iperboliche difficoltà di salvare un mondo tormentato in un futuro distopico sono il modo migliore per mascherare dietro una suadente cornice di adrenalinico eroismo i piccoli ed enormi dubbi che questi “young adults” si trovano a dover affrontare. Il debordante successo commerciale di questo filone ha reso quasi inevitabile che l’affamata Hollywood decidesse di coltivare nel suo giardino delle meraviglie il munifico albero di questo genere ed è storia recente quanto vantaggioso è stato venderne i ricchi frutti. “Hunger Games” è stato il primo esempio, “Maze Runner” e “Divergent” solo gli ultimi in ordine di tempo.
Forte del successo commerciale del primo capitolo della serie, “Insurgent” arriva nelle sale come il sequel quasi obbligato. Perché il finale del primo film non era una conclusione ma solo un prologo delle avventure di Tris e Quattro. Perché chi ha letto i libri non poteva accettare che una trilogia su carta non diventasse tale anche sul grande schermo (anche se la regola aurea delle major impone che l’ultimo capitolo si divida in due film per moltiplicare banalmente gli incassi). Perché non è meglio un uovo oggi che una gallina domani, ma piuttosto un uovo oggi e uno pure domani. Certo, il primo “Divergent” non era stato impeccabile e aveva lasciato a desiderare per una regia non sempre al servizio della storia e un cast tecnico non impeccabile. Motivi sufficienti a cambiare regista, sceneggiatori e buona parte della crew, ma non per rinunciare a questo secondo capitolo che di un tale repulisti si giova guadagnando una migliore gestione delle scene d’azione (e qualche effetto speciale più convincente) e una maggiore coesione della trama (per quanto esile essa in realtà sia). “Insurgent”, tuttavia, non può sfuggire alla “maledizione dei numeri due” che inesorabile colpisce i film stretti tra l’essere il continuo di una storia che non finirà ai titoli di coda. Sortilegio infame che uccide la suspense annacquando ogni pericolo potenzialmente mortale affrontato dai protagonisti dal momento che lo spettatore sa già che sono destinati ad apparire ancora per cui è scontata la loro vittoria finale.
Regista (il tedesco Robert Schwentke reduce dall’interessante action movie “Red” ma anche dal flop del ridicolo “R.I.P.D. – Poliziotti dall’aldilà”) e sceneggiatore (il premio Oscar Akiva Goldsman) sono ben consapevoli di questa difficoltà e decidono perciò di non investire molto sulla trama limitandosi a sostituire la fazione ormai defunta degli Abneganti con quella ribelle degli Esclusi che diventerà l’ovvia alleata di quella parte degli Intrepidi rimasta fedele a Tris e Quattro piuttosto che agli Eruditi guidati dalla cinica Jeanine. Anche i tormenti di Tris alle prese con il più adolescenziale dei problemi già mille volte esplorato ad Hollywood e dintorni (quel senso di colpevolezza dell’essere diversi che qui si declina nel più estremo “essere letali perché diversi e quindi pericolosi per i propri cari”) non sono dopotutto indagati con attenzione apparendo quasi un utile artificio per permettere all’ardimentosa eroina di mostrare il proprio coraggio e conquistare quella nuova coscienza di sé e ammirazione incondizionata da parte degli altri che sono necessari a presentarsi ai nastri di partenza dei prossimi conclusivi seguiti. A cercare di compensare la leggerezza eterea di una storia che ha poco di originale da dire e che deve svolgere quasi una mera funzione di servizio per il lancio del finale futuro, pensano le scene ben realizzate delle simulazioni che Tris deve affrontare per mostrare di essere una nuova eletta (ruolo che da “Matrix” in poi sempre più spesso appare in questo tipo di fantascienza low cost). Pur sottraendo la tara di cui parlavamo prima che rende ovvio l’esito anche della più difficile sfida, questa è la parte del film che funziona meglio perché riesce a non annoiare grazie ad una voluta esagerazione. Ogni pericolo sembra quasi spinto ad un improbabile eccesso e proprio il sapere a priori che non risulterà fatale fa nascere la curiosità di sapere come i nostri riusciranno a cavarsela. Un modo di sconfiggere la noia del già noto rendendo possibile l’impossibile.
Molto probabilmente “Insurgent” resterà soltanto un nome nella lunga lista dei blockbuster nati per replicare su grande schermo il successo di un medium diverso arricchendo i forzieri della major di turno. Ma il cinema è anche puro intrattenimento (e dopotutto ci è voluto un grande intrattenitore come Georges Melies per dare un perché alla traballante invenzione dei fratelli Lumiere) ed “Insurgent” questo è. Alle volte, può bastare anche solo questo.
Insurgent: la recensione
Intrattenimento
Valutazione Globale