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The Devil’s Candy: recensione del film di Sean Byrne

Titolo: The Devil’s Candy

Genere: Horror

Anno: 2016

Durata: 90′

Regia: Sean Byrne

Sceneggiatura: Sean Byrne

Cast principale: Ethan Embry, Pruitt Taylor Vince, Kiara Glasco, Craig Nigh, Marco Perella

Jesse è un pittore metallaro sposato con Astrid e padre di una teenager ribelle di nome Zoe. La loro è una famiglia affiatata e naïf che si trasferisce in campagna per offrire a Jesse uno spazio adeguato dove dipingere. I tre sono da poco insediati che uno strano energumeno comincia a fargli ripetutamente visita sino a diventare molesto. L’energumeno mostra inquietanti interessi nei confronti della figlia Zoe e fa di tutto per rapirla. Jesse dovrà fare i conti con le sue responsabilità di padre e proteggere la famiglia.

Tanto per cominciare, partiamo dalla fine. Sui titoli di coda si materializza il più pezzone tra i pezzoni di Ride The Lighting dei Metallica (anno di grazia 1984), For Whom The Bell Tolls, sparato a tutto volume dall’impianto surround del multisala e accompagnato dalle inquietanti litografie di un Dorè, Bocklin o qualche altro artista disagiato in pieno trip satanista. Solo per questo: mille mila stelle, mamma butta la pasta e recensione finita.

The Devil's Candy

CIAO, IO SONO CINEMA DI CONSUMO

Venendo a quello che precede i titoli di coda, che dire. Un film che formula una tesi tanto semplice quanto dirompente: Gesù è un metallaro. Punto. E, si badi, questo glorioso metaforone è l’unico che il racconto ci propina ma è talmente smaccato e irriverente che non fa storcere il naso ma al contrario sorridere. Perché The Devil’s Candy, letteralmente “le caramelle del diavolo”, è fatto così, vola basso e senza pretese ma alza il volume e martella dal primo all’ultimo fotogramma.

The Devil’s Candy spacca, in senso letterale. Ti fa venire voglia di riemergere dalla sala e fiondarti all’uscita di una messa, scegliere un qualsiasi filisteo praticante dall’aria compunta e mollargli un bestiemmione in piena faccia che gli tormenterà il sonno fino alla morte. In senso laico, ovviamente. Perché siamo bravi ragazzi, ovviamente. E perché non si può non provare simpatia per un’opera così programmaticamente e spudoratamente trash, per una estetica così spartana e disadorna, per un montaggio così sgrammaticato e altisonante, per un soundtrack elettrizzante che snocciola Slayer, Pantera e Machine Head in un colpo solo, per un manica di personaggi (quattro in tutto più chiazze di comparsame qua e là) che vanno dal padre fricchettone dall’indole cazzona e un po gnorri, la figlia ciociara di Fregene con le unghia nere e la smorfia cripto-emo, la mamma comprensiva ma tardona che più respira e più fa danni e, dulcis in fundo, un villain meraviglioso che è un subumano parricida che grugnisce, schitarra in piena notte e soprattutto prende i bambini a sassate sul cranio.

Ebbene sì, avete capito bene. E se non è FEGATO questo, allora ditemelo voi.

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DOSI MASSICCE DI CAZZIMMA HARDCORE

Perché il film di Sean Byrne non ha pretese artistiche o velleità sociologiche, non è un saggio sulla violenza o un fottuta allegoria socio-politica (capito, Get Out?), non è e non vuole essere cinema di qualità ma in certi tratti è esattamente l’horror che hai sempre voluto vedere. Quello in cui gli sbirri un po’ zucconi finiscono squartati a metà tra due volanti e i bambini spensierati presi a sassate sul cranio mentre svolazzano in altalena – e alla fine pure smembrati e infilati in un trolley formato ‘bagaglio a mano’ perché, sia chiaro, il budget è quello che è -.

Certo, ci sarebbe altro da dire. Sul conflitto interiore del protagonista ad esempio, incapace di gestire il dilemma tra il suo ruolo privato di padre e quello pubblico di artista maledetto e che, per ben due volte, pianta in asso la figlia abbandonandola in un modo che manco li cani. Ma “find what you love and let it kill you” recita la frase di Bukowski stampata sulla maglietta di Jesse (Jesse = Jesus, ci siete arrivati da soli, no?) e allora uccidi il mostro prima che sia lui ad uccidere te. Ed è solo sacrificando il quadro che lo stava uccidendo, come sua stessa confessione al mecenate Leonard, che Jesse può annientare i suoi demoni e salvare ciò che veramente ama: la sua famiglia.

Ci sarebbe da dire di Belial, fratello di Baphomet e demone dell’Antico Testamento, il cui nome si intravede nei pressi della galleria d’arte. Nel film una voce che sussurra continuamente nella testa di Raymond trasformandolo in brutale assassino e, nondimeno, in quella di Jesse, che invece incarna e rinnova il motivo topico dell’artista come espressione del divino ma declinato in un divino un po’ macabro.

Ma quella voce esiste veramente o non esiste? Il demone si manifesta attraverso eroe e villain o è solo un modo un po’ schematico di suggerire il parallelismo tra genio e follia? Francamente? Francamente me ne infischio. Perché la risposta è importante tanto quanto il terzo segreto di Pulcinella.

UN HORROR BIFOLCO MA ESTREMAMENTE GENUINO

Ricapitolando, abbiamo una storiella stitica, un impianto narrativo misero e prevedibile, un budget a disposizione modesto, un’ambientazione spartana e generica, un manipolo di personaggi macchiette, una manciata di situazioni narrative scontate e incongrue, eppure? Eppure il film ha una fascinazione indiscutibile e semplicemente diverte, e si diverte. Perché è un film compatto, concentrato, potente e regala un grand guignol finale che ti sblocca tutti e sette i chakra in un colpo solo.

The Devil’s candy è un horror come dio comanda e soprattutto è un film onesto. Non è un film d’autore o di ampio respiro, non è costretto a minimizzare o censurare perché è talmente sopra le righe da risparmiarci gli impacciati tentativi di farsi serio anche solo per un istante. Perché The Devil’s Candy non vuole essere serio, non vuole rimandare ad altro e soprattutto non se la tira. Non si atteggia a riflessione su ciò che è reale perché ciò che è mostra è finto, fiction, intrattenimento, puro e semplice godimento estetico. E ciò che è finto è finto, punto.

E quindi i buoni sono buoni e proteggono i loro cari, e i cattivi sono cattivi e prendono a sassate sbirri e bambini. Le vittime sono gli innocenti e i carnefici sono i predatori. Non ci sono chiavi di lettura profonde o sottili perché qui, in questo horror da camera montato benissimo e musicato coi fiocchi, i pazzi sono pazzi e i metallari non sono demoni ma i santi della terra che ci salveranno dal demonio. Amen.

Se questo per voi è poco per me è abbastanza. Perché anche se bifolco, The Devil’s Candy è un horror cazzuto, convincente ed estremamente genuino. Come un tris d’assi servito, che non sarà una scala reale ma è sempre meglio di un bluff sfornato male e naufragato peggio.

Antonello Océ

Antonello Océ ha una formazione umanistica in arti visive e letterarie e si è fatto le ossa in un paio di esperienze legate alla stampa e alla redazione testi. Al momento vive a Perugia dove ha un prosaico impiego full time e coltiva con tenacia e curiosità la conoscenza del Pianeta Cinema e dei suoi meccanismi occulti, sua grande e bruciante missione sin dalla tenera età. Tra un volo pindarico e l’altro collabora con Telefilm-Central e altre webzine scrivendo recensioni.

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