
The Boys 2: il buco e la ciambella – Recensione della seconda stagione della serie di Amazon Prime
Si dice the non tutte le ciambelle riescano col buco. Ma, aldilà dell’aspetto tradizionale, una ciambella senza buco è davvero da buttare? Se l’impasto è ben fatto e il sapore ugualmente buono, conta poi così tanto quel buco? Al limite la si potrà chiamare in un altro modo, ma sarà sempre un piacere gustarla. Come sempre da vedere è la seconda stagione di una serie che tanto si era amata. Anche se qualcosa per strada si è perso e qualcos’altro che doveva esserci è mancato. Soprattutto perché The Boys 2 resta comunque una boccata d’aria fresca in un panorama asfittico di troppe serie al di sotto del minimo sindacale.

Il buco
La prima stagione di The Boys aveva avuto lo stesso dissetante impatto di una bibita gelata quando il caldo afoso è insopportabile. Il tono dissacrante e scorretto era stato il modo migliore per imporre un’idea tanto innovativa quanto lo fu la rivoluzione copernicana. Come Copernico aveva sovvertito il modo di pensare del suo tempo scambiando le posizioni di Terra e Sole, così la serie creata da Eric Kripke adattando il fumetto di Garth Ennis aveva invertito il modo di guardare ai supereroi.
Non più idoli perfetti e immacolati dediti a salvare il mondo. Ma divi di cinema e tv dipendenti da una multinazionale che ne sfrutta diritti di immagine e superpoteri per venderli al migliore offerente. Al tempo stesso, una banda di spiantati con un marcato disprezzo per ogni legge diventa il gruppo di eroi intenzionato a sconfiggere quegli esseri tanto ammirati. E non per amore della verità e del bene, ma soprattutto per interessi meramente personali.
Proprio il maggior punto di forza della prima stagione diventa, però, il problema della seconda. Nel film del 1994 Il Corvo con Brandon Lee, il villain Top Dollar si lamenta che la Notte del Diavolo da lui creata appiccando incendi in tutta la città sia diventata ormai un’istituzione quasi turistica perdendo la sua carica anarchica. A chi gli chiede perché mai smettere, risponde che il problema è che sono tutte cose già fatte, già viste. Ed è lo stesso con The Boys 2. L’idea diventa istituzione e il gioco dell’inversione di ruoli smette di essere una innovazione diventando una ovvietà attesa e perciò non più un vero motivo di interesse.
Top Dollar ammoniva i suoi invitandoli ad accendere un fuoco così grande e brillante da essere visto dall’alto dei cieli. Ed è, in fondo, questo che Kripke fa. Porta alle estreme conseguenze il ribaltamento di ruoli rendendo il villain della prima stagione ancora più malvagio e affiancandogli una new entry che rivaleggia con lui e primeggia in quanto ad ideali perversi. Contemporaneamente, fa dei Boys un gruppo maggiormente coeso disposto entro certi limiti ad anteporre la missione ai propri interessi personali avvicinandosi maggiormente al ritratto classico dell’eroe con molte macchie ma ancora più buone intenzioni. Una carta giocata con l’usuale intelligenza, ma ormai già nota. Si finisce per avere a tratti l’impressione che questa seconda stagione sia solo un more of the same.
È questo il buco che manca nella ciambella di The Boys 2.
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La ciambella
Però in una serie tv non si può guardare solo a ciò che manca. Soprattutto quando gli autori sono comunque in grado di fornire nuovi spunti interessanti. Per The Boys 2 questi sono principalmente rappresentati dal personaggio di Stormfront, new entry e indubbiamente mvp di questa seconda stagione. Entrata nel gruppo dei sette per sostituire Translucent, la nuova supereroina dai poteri quasi paragonabili a quelli di Homelander permette a Kripke e soci di affrontare il tema della manipolazione del consenso. Stormfront si presenta da subito come social addicted, anticonvenzionale, sarcastica, contestatrice. Tutta una maschera indossata per aumentare il proprio seguito. Quel che le interessa è contestare il sistema dall’interno per poterlo sostituire con uno fondato sulla propria ideologia nazista.
Inconsapevolmente Stormfront è la soluzione di quello che lo storico Ian Kershaw chiamava l’enigma del consenso. Come è stato possibile che il nazismo sia arrivato al potere vincendo una serie consecutiva di libere elezioni? La risposta è proprio nel modus operandi del personaggio di The Boys 2. Nascondendo la propria vera natura tra il rumore della folla aizzata ad arte. Convincendo la gente superficiale che quello che non sapeva di volere fosse proprio ciò che invece erano gli ideologi nazisti a teorizzare. Creando una artificiosa distinzione tra un noi superiore a cui spetta il potere e un loro inferiore che deve solo soccombere.
Offrendo, infine, alla massa istupidita un essere presentato come perfetto e destinato a guidare il mondo verso una nuova terra promessa. Hitler nel caso della Storia, Homelander nel caso di questa storia. Abilmente manipolato da Stormfront, il personaggio interpretato da un sempre più bravo Anthony Starr è l’incarnazione del superuomo vaneggiato dal nazismo. Privo di debolezze, impossibile da sconfiggere e incapace di provare empatia per chi gli è inferiore. Un esperimento che si rivela, tuttavia, fallimentare perché Homelander non riesce a liberarsi del desiderio di essere amato e non solo idolatrato. Il tentativo maldestro e confuso di farsi accettare come padre è conseguenza di questo suo punto debole. Anche il finale anticlimatico va a collegarsi a questa breccia nelle mura che il villan di The Boys 2 ha eretto intorno a sé.
Una conclusione dopotutto ottimistica che va inaspettatamente a compensare il discorso pessimistico portato avanti fino a quel momento.
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Una perdita di equilibrio
Anni di Masterchef e programmi simili hanno reso popolare il concetto di equilibrio di sapori facendone anche una facile metafora per indicare la necessità di dare il giusto peso ai diversi ingredienti. Era questo un punto di forza della prima stagione di The Boys dove ogni personaggio aveva l’attenzione che meritava. Non è più così in The Boys 2 perché l’ottimo lavoro fatto su Stormfront e Homelander non è bilanciato da un uguale focus sul gruppo di Butcher.
Anche tralasciando la libertà di movimento che dei super ricercati si concede, non si può non notare un certo ristagnare di questi personaggi nei ruoli che erano stati assegnati loro nella prima stagione. Butcher continua ad essere il duro e puro spinto più dalla sete di vendetta che di giustizia. La storyline con Rebecca prova a mitigare questo aspetto che, tuttavia, alla fine ritorna solo cambiando il motivo della vendetta. Hughie resta alla ricerca di una propria sicurezza, ma la raggiunge senza che un vero percorso venga fatto. Qualcosa di simile anche per Starlight che si mostrerà, infine, più sicura di sé, ma a ciò arriva come trascinata dagli eventi piuttosto che autonomamente. Unici passi avanti sono quelli compiuti dalla relazione tra Frenchie e Kimiko che però avvengono in siparietti lasciati troppo spesso a parte.
Né va molto meglio con il resto dei sette. Si intuisce la volontà di dare ad ognuno di loro un percorso autonomo esaltandone alcuni aspetti lasciati in secondo piano nella prima stagione. Il desiderio di cambiare per amore di Queen Maeve. La paura di tornare nell’anonimato di A – Train. La silenziosa letalità di Black Noir. Il desiderio di essere accettato di The Deep. Il risultato è una somma di storyline scollegate che The Boys 2 introduce portandole avanti poi a scatti come se gli autori si fossero accorti troppo tardi di doverle inseguire tutte.
E tuttavia ognuna di queste storie è capace di regalare momenti divertenti o spunti di riflessione. Su tutti il potere mediatico ed economico delle sette alla Scientology a cui fa chiaramente riferimento la Chiesa guidata da Goran Visnjic. Ingredienti che non sono pesati nel modo giusto, ma che restando comunque saporiti. The Boys 2 è, infine, una ciambella senza il buco e con sapori poco equilibrati, ma tutt’altro che da buttare. Bon Appetit!