
The Big Bang Theory: la dichiarazione di Sheldon non risolleva la decima stagione
Con The Long Distance Dissonance si è conclusa la decima stagione di The Big Bang Theory, un capitolo della serie ideata da Chuck Lorre e Bill Prady che difficilmente i fan della serie ricorderanno volentieri, anche perché le puntate si sono susseguite abbastanza in sordina, senza mettere in scena niente di esaltante, neanche in una puntata, come accadeva nelle scorse ultime stagioni. Il dibattito se continuare o meno la messa in onda di The Big Bang Theory è ormai datato di qualche anno e puntualmente i delusi dalla piega assunta dai quattro ricercatori di Pasadena vengono contraddetti dai dati di ascolto e dal rinnovo delle stagioni. Nemmeno la diatriba apertasi sul salario delle diverse star è riuscita a porre fine alla serie, come al contrario era stato minacciato al momento dello stallo delle trattative.
Personalmente di questa decima stagione conserverò ben pochi ricordi, quasi nessuno, tranne per la ventunesima puntata, The Separation Agitation, quando Howard, Bernadette e Stuart devono portare Halley all’asilo. Il motivo, tuttavia, non è da attribuire alla serie, quanto più che altro al fatto di essermi riconosciuto nei protagonisti. Anch’io, da “giovane” padre, mi sono sentito male a lasciare le prime volte mio figlio all’asilo nido, un aspetto sul quale gli ideatori della puntata hanno giocato molto, ovviamente estremizzandolo. Probabilmente, però, a chi non ha vissuto una situazione simile, o un travaglio di sentimenti analoghi, la scena non avrà portato niente di diverso da tutte le altre.
Il problema maggiore di questa decima stagione è la mancanza di un filo conduttore a legare le puntate, qualcosa in grado di tenerle salde insieme nel corso dei nove lunghissimi mesi di programmazione, tutti gli spostamenti di palinsesto e lo slittamento di settimane per i motivi più diversi. Non essendoci la classica trama di stagione, le puntate risultano un appuntamento più o meno fisso nell’arco del mese, praticamente una serie televisiva anni ’80, inizio ’90, nella quale anche se perdi una puntata, non cambia la tua esperienza da spettatore. Nel corso degli anni abbiamo avuto tre matrimoni, un viaggio nello spazio, una gravidanza, una relazione sulla quale normalmente nessuno avrebbe scommesso un euro e tanti altri aspetti che in passato hanno saldato fra di loro i singoli episodi. Lo so, questo non dovrebbe succedere in una sit-com e normalmente non avviene, ma da tempo in The Big Bang Theory aveva abbandonato questa rigidità di schemi e, anche se non si è mai potuto parlare veramente di puntate serializzate, comunque nelle stagioni precedenti vi erano degli elementi ricorrenti a restituire una logica di narrazione di stagione e di continuità. In quest’anno di programmazione, invece, ci sono stati diversi sviluppi orizzontali, ma nessuno di questi è stato sviluppato dagli autori per un periodo di tempo lungo.
Dal termine della gravidanza di Bernadette si è passati nell’arco di poche puntate all’asilo, dopo i brevi problemi iniziali la convivenza fra Sheldon e Amy è passata in cavalleria e Raj ha continuato ancora a soffrire la sindrome che nella realtà della narrazione appartiene a Stuart (una macchietta, l’ultima ruota del carro, incapace di portare avanti una storyline principale) ed è stato l’unico personaggio a non essere coinvolto all’interno del progetto militare del giroscopio. Nemmeno per lo stesso progetto militare si è riusciti a costruire un’evoluzione narrativa consistente, è stato piuttosto un plot mantenuto sullo sfondo, poche volte a fuoco, al punto tale che l’intera vicenda può essere facilmente riassumibile in tre passaggi: l’aeronautica ordina il progetto, Sheldon lo complica, i ragazzi completano la prima fase, l’aeronautica si riappropria del progetto (e gli ultimi due passaggi occupano 2 minuti scarsi della stessa puntata).
La decima stagione di The Big Bang Theory è così risultata essere suddivisa in vari piccoli spezzoni autoconclusivi, quasi una sorta di lunghe puntate di piccole sitcom serializzate, dove tuttavia il livello di climax è rimasto notevolmente basso all’interno di un quadro di piattume diffuso. In questo senso la puntata migliore rimane The Locomotion Reverberation, la quindicesima puntata, quando Sheldon, Howard e Leonard completano la miniaturizzazione del giroscopio e Sheldon complica la situazione ipotizzando un ulteriore rimpicciolimento e quindi viene spedito inutilmente in un viaggio premio dedicato ai treni dai colleghi che se lo vogliono togliere di torno per non avere danni.
Poi è stato il turno dell’ultima puntata, dove la scrittura è tornata ad essere un po’ più vivace e dove Sheldon, di fatto, è stato messo all’angolo. Se la decisione di terminare The Long Distance Dissonance con la dichiarazione di matrimonio ad Amy sia stata una scelta ponderata fin dall’inizio del progetto o se sia stata una scelta presa in post-produzione una volta resisi conto delle puntate girate, lo sapremo solo fra qualche anno. Dal canto suo il buon vecchio cliffhanger ha svolto ancora una volta il compito assegnatogli, facendo risollevare in apparenza le sorti di una stagione poco edificante e portando The Big Bang Theory lì dove molti fan volevano andasse a capitolare. Un tripudio di buoni sentimenti e (in)sano romanticismo che però non deve far dimenticare il praticamente nulla esistito in precedenza. Cosa succederà nell’undicesima stagione non è ancora chiaro, non si sa neppure se avverrà un’ellissi temporale o se si partirà dalla reazione di Amy alla dichiarazione e si proseguirà nella storia, senza balzi in avanti. Di certo c’è in ogni caso un elemento molto importante per le future trame: l’organizzazione del matrimonio che Sheldon tenterà di complicare in ogni suo aspetto. Una variabile impazzita che gli autori dovrebbero utilizzare il più possibile, fino a spremerla senza significato, poiché l’anello che Sheldon porge a Amy è anche un po’ l’anello che la produzione porge ai fan dopo anni di fidanzamento. Per dirla alla Amy: speriamo che adesso qualcuno non strizzi la bottiglia di ketchup che da tempo agitiamo, facendo cadere il pomodoro sulle sue patatine anziché sulle nostre.
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