
The Assassination of Gianni Versace e l’impulsività umana, recensione episodio 2.04
Che il secondo capitolo della serie antologica American Crime Story non fosse realmente, o del tutto, incentrata su Gianni Versace, di questo ne eravamo ben consapevoli. Il titolo The Assassination of Gianni Versace è sicuramente un potente specchio per le allodole che ha pienamente assolto al suo scopo principale, cioè quello di catturare l’attenzione dello spettatore ed invogliarlo a seguire lo show. Nessuno, infatti, avrebbe mai acceso la televisione per seguire una serie televisiva dal nome “L’introspezione di Andrew Cunanan” o “Guida al passato dell’assassino Cunanan“, ad esempio. Il mistero che avvolge le star famose, esaltate come delle vere e proprie divinità, strega le persone comuni bisognose di sentirsi parte di qualcosa di grande. Una volta diluiti i primi due episodi con una cascata di scene che ritraevano la perfetta ed idilliaca vita dello stilista italiano lo spettatore era così addentro la serie da non poter abbandonarla, anche se l’attenzione ha iniziato gradualmente a spostarsi su Andrew Cunanan.
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Come un nastro in completo rewind, così anche la vita di Andrew Cunanan viene riavvolta affinché questo profondo tuffo nel suo passato possa aiutare a comprendere le motivazioni alla base del suo agire: se infatti quelle che lo hanno spinto ad assassinare Gianni Versace risultino, ancora oggi dopo 20 anni, misteriose e prive di senso, ed anche il movente per l’omicidio di Lee Miglin possiamo affermare praticamente che non esista, i primi due delitti di Andrew sono stati passionali.
La sceneggiatura, il montaggio e la spettacolare performance di Darren Criss in The Assassination of Gianni Versace ci fanno calare tutto d’un fiato negli infernali angoli più remoti della coscienza di Andrew, custodi di pulsioni maledette che ormai recalcitrano e si dimenano per salire finalmente a galla, talmente distorte da illuderlo che nell’assassinio dell’amico si nascondesse l’unica corretta soluzione del problema del tradimento alle sue spalle. Abbiamo di fronte un uomo poco più che ventenne in preda a crisi di gelosia e pressanti paranoie, il quale ha bisogno che venga costantemente mantenuto l’ordine maniacale della vita, una vita che spesso è in profonda discrepanza con i perfetti schemi costruiti nella sua mente. Dissonanza cognitiva, crisi di identità, disturbi ossessivo-compulsivi: Andrew Cunanan è la summa di qualcosa che, nel suo passato ancora più passato di quello che a noi ci è dato vedere e conoscere, lo hanno segnato a tal punto da trasformarlo in un assassino a sangue freddo.
Ciò che meraviglia, ma forse non più di tanto, è l’ennesima illusione di Cunanan di credere di saper e poter amare: Cunanan amava il suo migliore amico Jeff, eppure non ha avuto un attimo di esitazione nello spaccargli il cranio a forza di martellate e poi, successivamente, con una nonchalance disarmante, avvolgerlo nel tappeto come se fosse spazzatura; Cunanan amava il suo compagno, eppure per lunghi, infiniti giorni mentre giocava a pianificare una nuova vita insieme, David si era trasformato silenziosamente in un ostaggio, un fantoccio che, volente o nolente, rientrava nel rigidissimo schema di Andrew.
La personalità distorta di Cunanan esplode completamente in questo episodio, procurando pelle d’oca ad ogni scena ed inducendo lo spettatore a domandarsi più volte, nel corso della puntata stessa: “E se questa cosa fosse successa a me? Come avrei reagito io? Se fossi stato al posto di Andrew? E se fossi stato al posto di David?“
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Ma di fondo, per quanto Andrew Cunanan possa essere il risultato di un’educazione rigida, di un costante abbandono, dei pregiudizi della società nei confronti della sua sessualità (per il momento non ci è dato saperlo), per quanto sia un ragazzo solo e che, come tutti, ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno in questo mondo duro e difficile con quelli come lui (e non solo), siamo completamente incapaci di empatizzare con lui. Persino quelle lacrime copiose e pesanti che scendono dagli occhi tristi e forse un po’ colpevoli, lungi dal mostrarci una personalità umana e sensibile, un ragazzino debole che gioca a fare l’uomo che forse, in un attimo di lucidità, comprende a pieno l’orrore delle sue azioni, fanno al contrario accrescere la nostra avversione nei suoi confronti. L’immagine di una personalità prepotentemente egoriferita, che classifica il bene ed il male secondo modelli prettamente personali, non può permettersi quelle lacrime che risuonano come l’ennesimo prodotto finto di un’indole completamente corrotta.
The Assassination of Gianni Versace non è solo la rappresentazione (molto) romanzata della caduta di un dio; la serie ha come scopo quello di insegnarci delicatamente e con costanza cosa si cela dietro la realtà delle cose, siano esse buone o cattive, belle o brutte, giuste o sbagliate.
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