
The Americans: Recensione della terza stagione
Senza nessuna pretesa moralistica, si può tranquillamente dire che viviamo in un mondo che ha fatto del profitto un ineludibile metro di giudizio. La definizione di “profitto” dipende ovviamente da tanti fattori intimamente legati alle specificità del contesto in cui si valuta un determinato prodotto per cui “profitto” può significare un saldo positivo nella chiusura del bilancio di una azienda o la qualificazione in Champions per una squadra di calcio. Profitto significa “rating” quando a parlare sono i responsabili di un network televisivo e bassi rating sono spesso la condanna a morte per una serie tv. Alle volte, tuttavia, profitto può significare anche “qualità” ed è questo metro di paragone che permette ad una serie con basso numero di spettatori di meritarsi un insperato rinnovo. Capita con “Hannibal” su NBC ed è questo il caso anche per “The Americans” la cui terza stagione ha appena calato il sipario tra i silenziosi applausi di uno sparuto gruppo di affascinati fedelissimi.
“The Americans” non ha mai fatto grandi numeri e raramente questa stagione ha portato a FX che la trasmette più di un misero 0.3 in termini di rating. Eppure, in modo quasi inverso rispetto al calo di spettatori, la qualità della serie è andata a tratti migliorando in intensità e profondità. Perché “The Americans” non è una serie facile da seguire, anzi. Perché è una storia di spie con molte spie e poca storia. “The Americans” non è “Homeland” con i suoi intrighi perfetti e i twist inattesi, i suoi momenti adrenalinici e gli angosciosi terrori. “The Americans” è Philip ed Elizabeth, è Stan e Oleg, è Paige e Hans, è Nina e Martha. Sono loro il cuore pulsante della serie e il centro vitale di una narrazione che non si vergogna di essere lenta perché una storia può diventare noiosa se va avanti senza cambiare mai passo, ma non può correre se ciò che interessa davvero è il modo in cui i protagonisti si confrontano con sé stessi, le difficili domande a cui devono dare risposte incerte, le insicurezze sul senso delle proprie azioni, le paure che il castello di cristallo tanto faticosamente costruito si spezzi in una fragorosa pioggia di dolorosi aculei.
Che questa studiata attenzione ai personaggi piuttosto che alla storia sia stata la cifra stilistica di questa serie era chiaro fin dall’episodio pilota della prima stagione, ma in questa terza gli autori fanno un deciso e coraggioso passo avanti. Privano la serie di una qualunque storia portante; non inseriscono nessuna storyline che si trascini come un fil rouge lungo i tredici episodi; inseriscono diverse trame che volutamente lasciano in sospeso senza che il season finale metta loro un punto (anzi, alcune non vengono neanche citate come quelle legate a Kimmy e all’addestramento di Hans). Perché il vero villain di questa stagione non è un’ennesima spia da battere, un astuto nemico da eliminare, un ingegnoso complotto da sventare. No, il vero e unico avversario di Philip e Elizabeth, di Stan e Oleg, di Paige e Hans, di Nina e Martha è la verità. E il finale non può che essere una sconfitta.
È per questo che Philip quasi deve ubriacarsi prima di uccidere l’esperto di pc lasciando sul Commodore un finto messaggio che è la sua vera confessione: “mi dispiace, non avevo scelta”. Non ha altra scelta, Philip, che mentire, mentre vorrebbe solo che un po’ di verità ci fosse nella sua vita. È per questo che, svelata la sua copertura con una Martha che gli resta comunque legata, decide di far crollare anche l’ultima parete togliendosi il trucco davanti a lei. Solo un’altra volta Philip è stato costretto a confrontarsi con la forza devastante della verità: confessando a Paige chi e cosa davvero lui è. E questa verità ha significato perdere una figlia adorata che ormai vede in lui solo un bugiardo, che non crede più a quell’amore infinito che lui ha per lei. Mentre anche Henry si allontana passando sempre più tempo con Stan, Philip deve amaramente rifiutare la proposta di Sandra di dirsi sempre la verità perché quella verità può distruggere tutto. Mostrarsi a Gabriel che a lungo aveva considerato una figura quasi paterna per quello che davvero è (un marito innamorato e un padre che mette al primo posto la sua famiglia) gli ha fatto guadagnare solo l’infamante accusa di essere un bambino mai cresciuto. Resta solo Elizabeth a cui aggrapparsi confessandole i propri dubbi, ma anche questa certezza crolla nell’angosciosa scena finale dell’ultimo episodio quando lei preferisce ascoltare il discorso di Reagan piuttosto che la confessione di Philip. La camera che si allontana sfumando la sua figura in lontananza è allora una elegante metafora per dire che Philip ormai non c’è più, che la verità ha vinto e lui ha tristemente perso.
Poco più grande di Paige, Hans è per Elizabeth quasi un figlio a cui trasmettere le proprie esperienze nella inconfessata speranza che ciò sia un giorno possibile anche con Paige. Svelare alla figlia adolescente la verità non cambia i progetti di Elizabeth la cui reazione è quella di provare subito a coinvolgerla nel suo mondo. Farle conoscere la nonna moribonda vuole essere un modo per mostrarle che per un ideale si può sacrificare anche un’intera esistenza costruendo una cattedrale di menzogne in cui è possibile vivere ugualmente bene se si riesce a tenere vicino le persone amate. Non si accorge Elizabeth che proprio questo suo atteggiamento, questo suo mettere la causa prima delle persone (e non è un caso che parole simili echeggino nel discorso di Reagan che chiude il season finale) è il terremoto che sta facendo crollare tutto il suo mondo. Perché Philip parla e lei non ascolta. Perché Paige deve chiedere aiuto al pastore Tim per avere un po’ della verità di cui è assetata. Ed allora Elizabeth è, infine, una perdente perché “l’impero del male” di cui parla Reagan finirà per essere sconfitto dalla verità.
La morale di questa terza stagione di “The Americans” è, in fondo, proprio questa: di fronte alla verità bisogna arrendersi. Anche quando sembra di essere dei vincenti, alla fine si è costretti a pagare un prezzo altissimo. Come Stan che infine riceve la promozione meritata sul campo, ma solo quando confessa di aver sempre mentito a quel Gaad che di lui tanto si fidava. Come ha mentito a Oleg, il figlio di papà dimostratosi meritevole della propria indipendenza e della cancellazione di quell’appellativo, facendogli credere che potessero lavorare insieme mentre lui sta solo provando a venderlo come merce di scambio per convincere la CIA a salvare Nina. Come ha sempre mentito a Sandra perdendo infine sia lei che Matt. Perché la verità non arretra di un passo e può accettare che non la si rispetti solo se si è disposti a versare un obolo onerosissimo. Stan può avere ora un nuovo inizio, ma deve rinunciare a tutto il suo passato. Come dovrà fare Nina se non vuole che un’altra menzogna pesi sulla sua coscienza. Sarà disposta Nina a vendere anche Anton Baklanov (come ha già fatto con l’ingenua Evi) per riavere indietro ciò che ha perso? Soprattutto, il gioco vale la candela o ha ragione lo scienziato quando le dice che possono rubargli tutto ma non ciò che ha dentro? La verità si mostra infine a Nina in tutta la sua trionfante crudezza.
Verità che possono far male come per una devastata Martha. Che possono sconvolgere come per la dolente Paige. Che possono annientare come sta accadendo a Philip. Perché la giustizia forse è cieca, ma la verità ci vede benissimo. E sa colpire senza alcuna pietà.
Terza stagione
Verità
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