Poco prima che andasse in onda il season finale della quarta stagione, FX aveva diffuso la lieta notizia del rinnovo di The Americans per altre due conclusive stagioni, la prima delle quali si è appena conclusa pochi giorni fa. Sapere con largo anticipo che una serie sta avviandosi alla sua conclusione significa poter curare con attenzione ogni dettaglio evitando di lasciare storie aperte o dubbi irrisolti. Al tempo stesso, si può gestire con tranquillità l’evoluzione di ogni singolo personaggio necessaria a dare una giusta chiusura al suo pluriennale percorso. C’era quindi molta attesa per questa quinta stagione di una serie che della certosina cura della scrittura aveva fatto il suo marchio distintivo.
Tutto uguale eppure tutto diverso
Joe Weisberg e Joel Fields, autori di The Americans, non hanno mai amato i ritmi rapidi che una storia di spie potrebbe garantire e nemmeno hanno mai coinvolto i loro personaggi in intrighi complessi intervallati da twist sorprendenti. Non è mai stata questa la cifra stilistica della serie che, invece, ha sempre preferito mostrare la lenta quotidianità di un mestiere difficile che può nondimeno diventare una routine abitudinaria fatta di gesti ripetuti senza più pathos o adrenalina.
L’ennesimo travestimento, l’ennesima persona da ingannare, l’ennesimo pedinamento da compiere, l’ennesima struttura da sabotare, l’ennesimo nastro da ascoltare, l’ennesima riunione di aggiornamento. Azioni sempre diverse eppure sempre uguali a sé stesse. Non è un caso, quindi, che la serie ritorni quasi sui suoi passi riesumando storyline che sembravano dimenticate o scrivendone nuove che possono sembrare la copia riveduta e corretta di altre già viste. Ricompare, quindi, Kimmy che avevamo lasciato nella terza stagione, mentre Philip veste nuovamente i panni dell’imbranato seduttore che inganna la modesta impiegata solitaria Deidre per rubare i segreti della sua azienda, come già era stato con Martha. Allo stesso modo, Elizabeth si trova a rivestire i panni della femme fatale sfruttando il suo fascino per scoprire le ricerche del poliedrico agronomo Benjamin e della killer a sangue freddo che uccide una persona ormai troppo anziana per essere ancora un pericolo serio.
Ma, in realtà, tutto è uguale eppure tutto è diverso. Perché ingannare Kimmy è un peso che Philip non riesce più a sopportare e le lacrime della ragazza all’annuncio di una probabile separazione lo riportano a rivivere la stessa angoscia provata quando ha dovuto dire addio a Martha. Anche la storia con Deidre finisce per fallire subito, non tanto perché Philip abbia sbagliato qualcosa, ma semplicemente perché i sentimenti non sono schemi fissi che possono replicarsi a comando. Verità con la quale deve confrontarsi anche Elizabeth che scopre Benjamin flirtare con altre donne, realizzando quindi che anche lei può essere ingannata e non solo ingannare gli altri. Anche l’assassinio dell’ex collaborazionista è uguale ma diverso da quello commesso in passato perché, se è lo stesso il sangue freddo con cui viene compiuto, differente ne è la spinta determinante che nasce dal desiderio di evitare che il peso di un altro omicidio cada sul fin troppo titubante Philip.
Tante storie per non raccontarne nessuna
Come già era in parte avvenuto per la terza stagione, gli autori compiono una scelta coraggiosa decidendo di fare a meno di qualunque trama portante. Non che i Jennings se ne restino inoperosi, anzi. Sono addirittura troppe le missioni che si trovano a dover compiere passando a volte da una all’altra senza che quella precedente sia conclusa. Ma è proprio questo continuo succedersi di incarichi che si esauriscono senza grosse difficoltà o clamorosi sviluppi a cancellare ogni fil rouge che possa unire gli episodi che finiscono per essere una, a volete fin troppo indigesta, continua attesa del grande evento che non avverrà tuttavia mai.
Una impronosticabile caduta di qualità della serie? Sebbene possa essere forte la tentazione di dare una risposta affermativa data l’estrema lentezza che tutto ciò comporta e l’introduzione di storie che sembrano superflue (su tutte il fallito tentativo di Micha di incontrare Philip), la difficile verità è che questa mancanza di un filo comune è il necessario prologo della fine prossima ventura. In una Unione Sovietica che si avvia al crollo definitivo, nessuno è più in grado di pensare a grandi imprese o a missioni che cambino lo squilibrio delle forze in campo. E quindi si può solo tirare avanti cercando di carpire qualche segreto, sfruttare qualche arma innovativa, frenare la marcia del tuo avversario.
Può bastare per giustificare ancora sacrifici immensi? No è la risposta di Gabriel che ormai sfiduciato e stanco decide di tornare in Unione Sovietica per sottrarsi a questa sfibrante attesa del nulla. No è la risposta di Philip che con sempre più difficoltà accetta di portare a termine incarichi la cui esecuzione causerebbe un dolore troppo più grande dei benefici irrisori che arrecherebbe alla causa (per cui l’idea vincente di Tuan di spingere al suicidio Pasha è inaccettabile e va fermata a costo di compromettere mesi di lavoro). No è la risposta di Oleg che fa, infine, liberare la direttrice del supermercato coinvolta nel giro di corruzione perché è solo il pesce piccolo che stava provando a far funzionare un sistema marcio che non sarebbe minimamente intaccato dalla severa punizione riservatale.
Prepararsi alla fine
Eppure qualcosa poteva accadere. Perché Philip ed Elizabeth sembrano, infine, convinti che sia arrivato il momento di tornare a casa come annunciano ad una basita Claudia. Non lo faranno perché la promozione del capo di Kimmy a capo della divisione sovietica rende indispensabile il continuo della missione di Philip. Ma lo avrebbero davvero fatto? Quanto credono nell’illusione che Paige ed Henry possano ambientarsi a vivere in una realtà completamente diversa senza andare incontro a tutto ciò che ha passato Pasha? Se Paige sembra avvicinarsi sempre più alle idee materne o quantomeno alla versione che Elizabeth le ha insegnato, è Henry la rivelazione di questa stagione. Un Henry che finora era stato sempre dimenticato e che invece ora compare nella sorprendente veste di genio della matematica e soprattutto figlio desideroso di una propria indipendenza. Come tarpare le ali di Henry proprio ora che potrebbe iniziare a volare? Che la fine di The Americans abbia a che fare proprio con il più giovane dei Jennings?
Perché, sia come sia, alla fine tutti i personaggi si stanno inevitabilmente preparando. Gabriel è già andato via cercando una impossibile redenzione nel tentativo di rendere felice quella Martha la cui desolante solitudine moscovita è la sua colpa più recente. Difficile immaginare di rivedere la stessa Martha a cui il season finale sembra regalare la possibile gioia di una figlia adottiva da tempo desiderata. Altrettanto difficile immaginare quale futuro possa esserci nella serie per Oleg dal momento che la sua storyline è apparsa la più debole di questa stagione (e anche la più difficile da digerire per le interminabili scene durante le cene silenziose a casa Burov).
Non sono solo i russi a prepararsi alla fine perché, con relativa sorpresa, anche Stan sembra arrivato al capolinea della sua avventura. L’agente FBI ha mietuto successi su successi in questa stagione convertendo alla causa ben due informatori e riuscendo anche a trovare un nuovo amore nella esuberante Renee (sempre che questa non sia una spia come sospetta Philip e potrebbe suggerire il dialogo finale dell’ultimo episodio). Ma Stan è stanco ormai. Stanco di non potersi fidare mai completamente di nessuno. Stanco che gli si chieda di tradire la fiducia di Oleg. Stanco di dover lottare con i superiori. Stanco di restare in bilico tra l’ingannare gli altri e il restare fedele ai suoi onesti principi. Stanco di non poter essere quello che credeva di poter diventare.
Sarebbe ipocrita negare che la quinta stagione di The Americans non sia stata la più difficile da seguire. Ma vedere avvicinarsi la fine di un viaggio che ti ha regalato tanti momenti indimenticabili ti costringe ad accettare anche delle pause per prendere fiato prima di dirsi addio.
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In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco
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