
The Affair: Recensione della terza stagione
È opinione comune che il vino migliori invecchiando. Il tempo che passa è il miglior fertilizzante per gli alberi che si fanno sempre più forti e robusti e crescono in altezza e maestosità mentre la sabbia cade nella clessidra. La gente prova ad alleggerire il peso degli anni che si accumulano compleanno dopo compleanno dicendo che più si diventa grandi più si diventa saggi. Modi diversi per indicare un benefico influsso del trascorrere del tempo su aspetti completamente diversi della natura e della vita. Ma che cosa accade alle serie tv? Migliorano o peggiorano con gli anni?
La difficoltà di cambiare
Ovvio e banale rispondere che tutto dipende dagli autori per cui una sentenza univoca è impossibile. Aumentare il numero delle stagioni rende alle volte lo sceneggiatore più sicuro delle proprie capacità e consapevole dei punti di forza e di debolezza della sua creatura, cercando quindi di limare questi ultimi per esaltare maggiormente i primi. Ma ci sono anche casi in cui gli anni che passano possono essere un peso ineludibile perché una stessa storia non può andare avanti per sempre e bisogna trovare un modo per tenere in scena gli stessi personaggi, a cui il pubblico si è affezionato, inserendoli in contesti diversi che li indirizzino verso una nuova evoluzione. Quando questa indubbiamente complessa operazione ha un risultato imprevisto, è sintomo che la serie ha iniziato un pericoloso declino che magari è ancora lento e possibile da arrestare, ma nondimeno tanto preoccupante quanto deludente.
Spiace sinceramente dirlo, ma purtroppo sembra questa la raggelante direzione presa da The Affair. La terza stagione della serie scritta da Hagai Levi e Sarah Treem rimarrà impressa nella mente dei suoi appassionati come quella del vorrei ma non so come fare. Dopo due stagioni era chiaramente improponibile continuare a raccontare le conseguenze drammatiche della relazione adultera tra Noah e Alison e il disfacimento inarrestabile delle loro famiglie con la necessario riassestamento nelle vite anche dei loro ex coniugi Helen e Cole. Soprattutto perché il season finale del secondo anno aveva mostrato un Cole finalmente in cammino verso una nuova serenità con Luisa e un Noah volutamente sacrificatosi prendendosi la colpa della morte di Scotty pur di salvare il presente di Helen e Alison.
Iniziare la terza stagione con un salto temporale di tre anni era una necessità comprensibile, dal momento che permette di avere tutti i personaggi (incluso un Noah appena scarcerato) in una situazione differente da cui ripartire iniziando un nuovo viaggio che si sperava fosse interessante. Ma un viaggio verso dove? Su che strade? In compagnia di chi? Proprio il non aver saputo rispondere in maniera interessante a queste tre domande è la condanna di questa stagione. Esemplare, in questo senso, il percorso di Helen che rincorre disperatamente Noah invece di guardare al presente che ha creato con Vik ed è disposta a distruggere la rinnovata serenità familiare, che il fin troppo comprensivo dottore ha portato (venendo accettato in pieno dai ragazzi), per espiare la colpa di essere stata la ragione dell’immolarsi dell’ex marito. Un andirivieni umiliante per un personaggio che finisce per farsi odiare per la sua caparbia insistenza nel fare le scelte sbagliate, al punto che anche la confessione finale diventa l’occasione per mostrarsi inopportuna invece che per una necessaria catarsi. Il season – finale potrebbe suggerire una finalmente ritrovata consapevolezza, ma dura troppo poco per essere sicuri che non si tratti di una accettazione forzata di una situazione indesiderata.

Un solo vero protagonista
La pecca, forse, maggiore di questa terza stagione è stata rinunciare alla coralità che aveva caratterizzato le prime due annate, mostrando come la stessa verità potesse essere diversa a seconda di chi la racconta. Al contrario, fin dalla premiere, è stato chiaro come l’occhio di bue sarebbe stato puntato non più in maniera paritaria sui quattro personaggi originali, ma piuttosto su uno solo di loro, caricando il peso della serie su quello che meno era risultato apprezzato dal pubblico. È Noah, infatti, il vero protagonista di questa terza annata. Lo scrittore che nel proprio curriculum ha troppi pochi libri e troppe relazioni andate male è al centro di due storyline distinte che corrono parallele intrecciandosi casualmente, ma risultando sovrabbondanti.
Disprezzato dai propri figli che non possono perdonargli di aver sfasciato la famiglia piuttosto che di aver ucciso Scotty, abbandonato da una Alison che vede in lui un peso di cui liberarsi per poter ritrovare la perduta Joanie, incompreso dalla sorella che non accetta il suo volersi allontanare da un passato rinnegato, Noah è alla ricerca del proprio posto nel mondo. Ancora con Alison? No, perché quella storia è stata in realtà solo un incontro di due anime che erano allo sbando e non può ricominciare ora che una delle due ha trovato una nuova direzione. Con Helen, allora? Neanche, perché non si può tornare da dove si è fuggiti anche se chi ti incarcerava è ora consapevole dei propri errori e vorrebbe trasformare la prigione in una domus aurea. Con la neo arrivata Juliette? Forse, ma per arrivare ad accettare questa promessa di una nuova vita bisogna prima uccidere i fantasmi della vecchia. E quelli nuovi che opprimono Noah fin dalla prigione prendendo le sembianze inquietanti di un Brendan Fraser inaspettatamente convincente nel ruolo di una guardia carceraria immotivatamente sadica.
Raccontata così questa storia potrebbe anche essere interessante, ma finisce per non esserlo affatto dal momento che troppo spesso Noah sembra girare a vuoto cambiando idea da un episodio all’altro con troppa repentina facilità. Anche la sottotrama con John Gunther si rivela, infine, un diversivo superfluo dal momento che non si interseca, se non marginalmente, con quella principale e alla fine trova la sua motivazione in un evento occorso decenni prima che non si capisce bene perché riemerga con tanta prepotenza proprio ora. A peggiorare il tutto, il season finale che sembrerebbe riportare tutto al punto di partenza dopo un ennesimo salto temporale (seppur di minor durata) quasi rinnegando quanto avvenuto fino a quel momento.

Due ex protagonisti ridotti al ruolo di riserve di lusso
Vittime principali di questa fissazione degli autori per Noah, sono stati Cole e Alison che addirittura in quattro episodi su dieci non appaiono proprio. Se, infatti, Helen ha avuto un minutaggio sufficiente grazie alle sue interazioni forzate con Noah, i due ex coniugi hanno visto il loro spazio ridursi così tanto da sembrare a momenti quasi delle riserve di lusso, messe in campo solo come omaggio al tempo che fu e occasione per far sedimentare le storie di Noah e Helen. Poco tempo e sfruttato anche male con le vicende a Montauk che a tratti hanno avuto come maggior punto di interesse la metamorfosi di un comprimario come Oscar, improvvisamente diventato buono e saggio e amico di tutti.
Una evoluzione radicale che è invece è mancata del tutto per Cole ed Alison. La pur brava Ruth Wilson si ritrova a riproporre il ruolo della madre tormentata per un figlio perduto, con la sola radicale differenza che stavolta la piccola Joanie non è morta, ma è solo stata abbandonata da una Alison che necessitava cure psichiatriche. Che questo comporti la perdita dei diritti genitoriali appare a tratti persino eccessivo dal momento che l’abbandono, pur scorretto nei modi e nei tempi, è comunque motivato da problemi documentati. Che Cole reagisca in maniera tanto esagitata è forse comprensibile e accettabile. Ma che questo diventi un motivo per intrecciare una nuova relazione chiaramente senza futuro è un tornare indietro privo di alcun senso logico o sentimentale.
Si deve, quindi, intendere che Luisa è stata per Cole solo il classico chiodo scaccia chiodo? Una terza stagione che rinnega quanto visto nella seconda? Così sembrerebbe visto anche il seminare indizi su qualche nuova attività losca di Cole. Ma tutto alla fine si scioglie in un improvviso happy ending con Luisa come deus ex machina e Alison serena e gaudente in cerca di nuove opportunità lavorative. Accettate o meno? Impossibile saperlo perché il season – finale lascia i due da parte come se dare le risposte alle domande lasciate aperte non fosse competenza della serie.
A salvare la terza stagione di The Affair da una bocciatura senza appello restano le performance attoriali del cast che riesce a regalare momenti intensi e scene toccanti o anche inquietanti. Piccole fiammelle che lasciano accesa la speranza che gli autori abbiano commesso solo un passo falso da cui poter ripartire con nuove scarpe. C’è una quarta stagione già confermata per scoprire se ne saranno capaci.
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