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The 100: la recensione della quarta (catastrofica) stagione

C’era una volta una serie che, bollata frettolosamente come teen drama in salsa sci-fi per la giovane età dei suoi protagonisti e il target tipico della rete che la mandava in onda, era stata capace in poco tempo di sovvertire i fondati pregiudizi di critica e pubblico, dimostrandosi capace di affrontare tematiche attuali e prendere decisioni coraggiose. Una serie che non si spaventava di proporre in prima fila personaggi omo o bisessuali senza neanche sottolinearlo, proprio per evidenziare quanto queste distinzioni siano irrilevanti (il che è ovvio, ma non lo è in un panorama televisivo timorosamente bigotto come quello americano). Una serie che osava far compiere per ben due stagioni di seguito ai suoi eroi principali scelte decisamente controcorrente, che portavano a stragi di vittime incolpevoli in nome della salvezza di altri innocenti. C’era The 100.

The 100

Chi più in alto sale …

… più fa rumore quando cade. Ed è questo lo spiacevole suono che rimbomba nelle orecchie affrante dei fan alla fine di questa quarta stagione di The 100. La fragorosa cacofonia di un edificio pregiato che crolla in pezzi, dopo che i suoi curatori hanno fatto finta di non sentire i sinistri scricchiolii che accompagnavano ogni episodio e che i lamenti degli spettatori preoccupati invitavano a considerare con attenzione. Invece, la domanda che i fan si erano fatti, commentando con preoccupazione il season finale della passata stagione ha avuto la peggiore delle risposte. Come affrontare la minaccia di una nuova catastrofe nucleare, quando non si ha a disposizione nessuna tecnologia efficace?

C’era una sola risposta sensata a questa domanda: non si può. Ma quello che era chiaro ad ogni spettatore non ha fermato gli autori che di questa impossibilità hanno fatto non un problema che invitava a lasciar stare una simile storyline, ma al contrario un’occasione melensa per coinvolgere i protagonisti in una ridicola sequela di tentativi astrusi il cui esito negativo era scontato fin dall’inizio. A rendere ulteriormente incauta questa scelta è anche la constatazione quasi ovvia che anche l’impossibile riuscita di ognuno di questi piani di salvataggio avrebbe comunque significato la salvezza per un unico gruppo e non per l’intera popolazione contrariamente a quanto i nostri eroi sono andati ripetendo in continuazione. Ne viene fuori, quindi, una scrittura illogica con personaggi che professano nobili ideali comunitari nello stesso istante in cui stanno agendo in direzione diametralmente opposta. E tutto questo mostrandosi sinceramente convinti di essere nel giusto facendo quindi la figura di ipocriti incapaci anche di riconoscere di esserlo.

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The 100

Come si rovina un personaggio (anzi tutti)

La conseguenza inevitabile di questo girare a vuoto è uno snaturamento di ogni personaggio, tanto che più volte lo spettatore è costretto a interrogarsi se non stia per caso vedendo una serie diversa con protagonisti radicalmente differenti. Così la coraggiosa Clarke, che sempre si è battuta per il bene comune fedele agli insegnamenti di Lexa, promette di salvare ancora una volta tutti e subito dopo inizia ad elaborare piani che prevedono di mettere al sicuro solo la sua gente. Soprattutto, spesso Clarke sembra subire il corso degli eventi piuttosto che provare ad indirizzarlo e per la maggior parte del tempo ha un atteggiamento conservativo, come se non fosse lei il leader a cui tutti guardano in attesa di risposte e indicazioni su cosa fare. Simile apatia sembra colpire Bellamy che, rassegnatosi alla friendzone in cui Rothemberg lo ha relegato per non dare soddisfazione ai Bellarke, si lascia sballottare tra il suo desiderio di aiutare Clarke (che però mai lo coinvolge nelle decisioni che contano) e difendere Octavia (che di tutto ha bisogno tranne che di un angelo custode).

Difficile trovare personaggi che si salvano, tra un Monty che eccede in un buonismo ad oltranza e una Harper che si lascia prendere da crisi di sconforto tanto profonde quanto esagerate. E neanche meglio va agli adulti, tra un Kane che si erge a campione della pace e dell’unione dei clan, ma pervicacemente nasconde agli altri ogni piano, e una Abby la cui unica bussola sembra essere mettere al sicuro la relazione con Kane stesso. Troppo facile stilare, invece, una lista dei peggiori, in cui brillano in negativo i nomi di Roan, diventato re solo per fare il galoppino di chiunque e farsi ingannare da chiunque altro, di Echo, tanto fedele al suo re da fare sempre la cosa che più può metterlo in cattiva luce, di Jaha, che proprio non riesce a non voler fare il leader anche dopo gli innumerevoli fallimenti, e di Luna, che si inventa una nuova versione di pacifismo basata sull’estinzione dei conflitti tramite estinzione del genere umano. Spicca su tutti ovviamente Jasper, le cui manie suicide lo rendono talmente irritante che la sua definitiva uscita di scena risulta un sollievo troppo a lungo invocato, invece che un dispiacere per quello che era uno dei personaggi più longevi della serie.

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The 100

Sommersi e salvati prima dei cinque minuti

Con la stessa catastrofica epicità del Titanic che si fionda contro l’iceberg fatale, The 100 si è schiantato contro una trama orizzontale fallimentare che ha fatto naufragare la serie e gran parte dei suoi personaggi. Restano a galla con una dignitosa prestazione solo in pochi, su cui primeggiano sicuramente Murphy e Indra. Non che i due si rendano protagonisti di imprese epocali o momenti altamente memorabili, ma hanno il pregio di restare coerenti con sé stessi. E quindi Murphy mantiene il suo atteggiamento opportunistico, volto a preservare l’amata Emori ma restando pronto ad aiutare spontaneamente il gruppo quando ce n’è bisogno, mentre Indra è efficace nel ruolo di capo clan che sceglie la strategia giusta in base alla disposizione delle forze in campo. Soprattutto, Indra sa puntare sul cavallo giusto, appoggiando incondizionatamente una Octavia che, partita nel ruolo della rancorosa ed eccessivamente letale Skairipa, ascende al difficile ruolo di erede morale della compianta Lexa dimostrando di averne appreso quella lezione che Clarke si vantava di conoscere senza mai applicarla. Bene anche Raven (a cui nessuno toglierà mai il premio #maiunagioia) che, pur essendo a tratti troppo forzatamente onnisciente, almeno non si lascia andare a isterismi o scelte a caso.

Una Octavia che guida il popolo unito nel bunker, mentre il sacrificio in prima persona di Clarke lascia Bellamy e Raven a gestire il ritorno sull’Arca di un esiguo gruppo. Come sopravvivere alle difficoltà di due distinte reclusioni? Non lo sapremo mai, perché i cinque minuti finali mostrano un salto temporale di oltre sei anni e sette giorni Clarke ancora viva. Non che si fosse tanto ingenui da credere che la protagonista della serie morisse off screen senza alcuna scena di addio, ma ritrovarla sana e salva e in splendida forma è decisamente sorprendente, dato che si era detto che nel bunker di Alie era impossibile sopravvivere più di pochi mesi. Invece, Clarke non solo ci resiste più di cinque anni, ma in una Terra tanto devastata dal Praimfaya che i sopravvissuti del bunker sono ancora chiusi dentro riesce anche a trovare parrucchiere ed estetista, visto il nuovo taglio, la tintura e il mascara. E, novella Robinson, trova anche il proprio Venerdì nella figura di Maddie una ragazzina spuntata dal nulla, la cui sopravvivenza non può certo essere spiegata col solo natblida che casualmente scorre nelle sue vene.

Ciliegina sulla torta, l’arrivo di una nave dallo spazio che, stando al nome sulla fiancata e a quanto trovato da Abby e Raven nei diari di Becca, dovrebbe essere della compagnia che spediva prigionieri a lavorare nello spazio sulle colonie. Che poi nessuno si sia mai ricordato di questi altri umani dispersi chissà dove e che anche loro siano rimasti in silenzio per più di cento anni, salvo ricomparire ex abrupto in questo season finale è uno di quei misteri il cui disvelamento rischia di essere una nuova catastrofe. O una interessante storyline, dal momento che stavolta i grounders sono Clarke e i sopravvissuti del bunker e nessuno sa se questi nuovi Skaicru siano ostili o pacifici. Un possibile modo per rimettere in sesto una serie che è andata totalmente alla deriva. Ma, dopo una stagione come questa, possiamo fidarci ancora di Rothemberg?

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Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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