
The 100: Recensione dell’episodio 3.10 – Fallen
Scritta da Lucio Dalla e Gianfranco Balduzzi su musiche di Gaetano Curreri e Giovanni Pezzoli, “Grande figlio di puttana”, primo successo degli Stadio nel 1982, è un divertito omaggio al chitarrista della band, Ricky Portera. Proprio verso il finale compare il verso “ed è per questo che a te la gente tutto ti perdona” che sembra scritto involontariamente proprio per Jason Rothenberg. Lo showrunner di The 100 se la sta passando davvero male ultimamente nel rapporto con i fan delusi per il modo in cui i due personaggi di Lexa e Lincoln hanno lasciato la serie con tanto di polemiche accuse da parte della comunità LGBT e di Ricky Whittle.
Eppure, la gente tutto gli perdona perché, contorno mediatico a parte, alla fine The 100 riesce a sopravvivere all’uscita di personaggi carismatici adorati dai fan (Lexa e Lincoln) e alla momentanea messa in pausa dei protagonisti storici (Clarke piuttosto dimessa ultimamente e Jasper quasi assente fino ad oggi) grazie a storyline che avanzano freneticamente svelando intrecci inattesi e portando in primo piano quella parte del cast che sembrava solo secondaria. Merito di Rothenberg, certo. Ma anche di attori che sanno rendere credibile il percorso dei caratteri che sono chiamati ad interpretare. Lasciando da parte l’acceso dibattito dall’incerto esito se questa sia o meno la migliore stagione di The 100 (la seconda era più lineare, ma questa è più sorprendente), non si può negare che gli autori siano diventati piuttosto ambiziosi coltivando il sogno sottaciuto di realizzare una serie che sappia legare a sé i fan per le storie che racconta e non per i personaggi che le interpretano al punto da restare affascinante anche quando quelli più amati vengono eliminati (qualcuno ha detto Game of Thrones?). Rischio calcolato o azzardo sconsiderato? Questo episodio doveva essere una risposta a questa domanda, ma solo in parte scioglie il ferale dubbio. Perché l’uscita di Lexa e Lincoln e l’assenza di Clarke e Roan (new entry rapidamente entrata nei favori del pubblico grazie alla bravura di Zach McGowan in uscita da Black Sails) effettivamente pesa molto poco. Ma per raggiungere questo scopo l’azione deve correre così tanto da rischiare di deragliare per la troppa frenesia con cui gli avvenimenti si succedono sullo schermo. E così che la rivolta contro Pike, ormai dipinto come un tiranno dispotico che verrebbe meno ad ogni promessa, è coronata da una rapidissimo successo dopo che per lungo tempo era sembrata una chimera imbattibile.
La lenta processione di Harper, Miller, Bryan, Kane e Octavia che sfilano di fronte a un Bellamy in catene si chiude senza Lincoln come omaggio al primo grounder che la serie ci aveva presentato ed offre il casus belli per lo straziante pestaggio che la sorella infligge al fratello come sfogo liberatorio che il primo accetta con dolorosa consapevolezza delle proprie colpe. È quindi molto più che prevedibile che il Bellamy che si offre di accompagnare Pike a catturare il resto dei ribelli dopo che l’appuntamento con Monty si è rivelato una scontata trappola (grazie all’ennesimo tradimento di Hannah, ormai saldamente in testa alla classifica delle peggiori madri della storia tv), stia solo fingendo per redimersi agli occhi di Octavia. Quel che è più forzato è l’estrema facilità con cui il piano improvvisato riesce dal momento che Pike, fino a quel punto dipinto come un esperto soldato, si lascia condurre verso i Grounders preoccupandosene appena solo quando è chiaramente troppo tardi. Pike prigioniero e Kane di nuovo al comando diretti a Polis promettono sviluppi interessanti dato l’atteggiamento radicalmente diverso della nuova Heda, ma il modo di arrivare a questa svolta è forse troppo rapido visto quanto accaduto finora. Un difetto di fretta che si può riscontrare anche nell’atteggiamento di Bellamy che passa dall’essere convintamente schierato con le ragioni di Pike per poi pentirsi quando persone a lui care sono condannate a morte e ritornare ora a preoccuparsi solo di Octavia dimostrando di non aver capito il senso della ribellione come sottolineato dalla domanda di Kane. Tutto troppo veloce perché correre può andare bene quando si tratta di far muovere gli eventi, ma va molto meno bene quando si devono caratterizzare i personaggi e motivare le loro scelte.
Jason Rothenberg si sta forse montando la testa come sembrerebbe dai suoi recenti atteggiamenti, ma con la terza stagione di The 100 sta provando a vincere una scommessa. Fare di quello che all’esordio sembrava solo un teen drama con ambientazione sci – fi una serie adulta che sa reggersi su sé stessa e non su chi la interpreta. Ci riuscirà? Lo sapremo presto.
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Per me la battuta del giorno è quella di Jasper rivolta a Clarke: “Suddenly you don’t
understand what dead means?”
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