
The 100: Recensione dell’episodio 3.08 – Terms and Conditions
Lyndon B. Johnson, trentaseiesimo presidente degli Stati Unidi d’America, disse: “Il problema non è fare la cosa giusta. È sapere quale sia la cosa giusta”. I protagonisti di The 100 sono costantemente divisi tra giusto e sbagliato, in continua lotta per veder emergere ora uno ora l’altro lato di sé, in costante evoluzione e in costante dubbio. Mai come in questi ultimi episodi è stato difficile definire ‘giusto’ un comportamento e ‘sbagliato’ l’altro, dal momento che le argomentazioni mosse dai diversi gruppi non solo erano ragionevoli ma persino allettanti. Come fare, allora, a scegliere? Come fare a schierarsi da una parte piuttosto che dall’altra, senza cadere nell’errore? Probabilmente l’unica, vera arma che tutti abbiamo a disposizione è il nostro sesto senso e, inevitabilmente, la morale.
Lo dirò senza girarci troppo intorno: per me, questo episodio è stato forse uno dei migliori di tutta la serie e di sicuro uno dei migliori di tutta la stagione. Mentre la scorsa puntata era stata Clarke-centrica, concentrandosi così a Polis e concludendo l’arco narrativo di Lexa, stavolta Rothenberg sposta la telecamera verso Arkadia e focalizza tutta l’attenzione su un campo diviso da incertezze e sospetti. Il primo ad essere responsabile di questo ambiente di paura e disagio è senz’altro Pike. Non posso immaginare uomo meno adatto a dirigere un campo e ad affrontare le minacce di Pike. Si tratta né più né meno di un tiranno, come Kane gli dice senza più remore. Da una parte la sua reazione è giustificabile viste le condizioni difficili in cui lui e la sua Station si sono trovati in seguito all’atterraggio. Un trauma va bene ma, se mai dovessi trovarmi in una guerra apocalittica tra i Grounders e la mia gente, presterei senz’altro orecchio a chi li ha affrontati più e più volte prima di me. L’Ice Nation che Pike usa per identificare tutti i Grounders non ha nulla a che vedere con quelli con cui Clarke e Bellamy hanno lottato all’inizio e finchè il Cancelliere non sarà in grado di capire la differenza è improbabile che sia in grado di fare delle scelte logiche.
Logica che, d’altro canto, non dovrebbe essere estranea a Bellamy o Monty, altri due individui interamente assorbiti nella rete di sfiducia e violenza sponsorizzata da Pike. Mentre è chiaro che per Monty tutto si riduce al legame che ha con la madre, ultimo membro della sua famiglia ancora in vita, diverso è per Bellamy. Proprio in quanto soldato in prima linea di tutte le precedenti battaglie, contro Grounders e non, ci si aspetterebbe un minimo di buon senso da parte sua, un minimo di lucidità. La lucidità pare, tuttavia, aver lasciato la sua persona più o meno in contemporanea a quando ha lasciato andare Clarke per l’ultima volta, ed ho detto tutto. Bellamy non si rende conto – cosa piuttosto chiara a noi che osserviamo dall’esterno – di quanto sia succube di Pike e della sua guerra, una guerra da cui non potrà mai uscire vincitore. Forse però non è la guerra a spaventare Bellamy, che la sa più lunga del temere qualche spada o qualche lancia, ma piuttosto è il perdere le persone che ama, le persone che si sente incaricato di proteggere. L’interpretazione di Bob Morley in questo episodio è magistrale, in particolare durante la condanna di Kane e quindi la consapevolezza, che abbiamo letteralmente visto apparirgli in volto, di quanto lontano sia pronto a spingersi Pike pur di restare al potere e portare avanti il suo piano. È quel momento, quell’essenziale momento a rendere tutto più difficile per Bellamy: benchè non lo dica, è chiaro che finalmente ha preso la sua decisione, che è finalmente tornato in sé e che ha visto il vero volto di Pike. Una persona che non solo non ha intenzione di appoggiare ma che, vedrete, non esiterà a tradire per salvare Kane.
Un episodio che non posso che definire straordinario. The 100 è cambiato tantissimo nel corso di questi anni, permettendosi di evolvere da un mero teen a qualcosa di più intenso e con un pathos infinitamente maggiore. I personaggi reggono molto bene le scene, riescono a coinvolgere e far emozionare. La banalità di quelle prime puntate non se la ricorda quasi più nessuno (ok, forse qualcuno si) ma per arrivare qui ne è valsa davvero la pena!
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