
The 100: Recensione della seconda stagione
Bildungsroman (romanzo di formazione): genere letterario riguardante l’evoluzione del protagonista verso la maturazione e l’età adulta. Scopo del romanzo di formazione è oggi quello di raccontare emozioni, sentimenti, progetti e azioni del protagonista viste nel loro nascere dall’interno.
Incipit rubato a Wikipedia per definire in maniera appropriata quello che la seconda stagione di “The 100” è stata. Se, infatti, la prima serie richiamava in un certo senso “Il Signore delle Mosche” di William Golding per l’idea di una comunità di ragazzi abbandonata a sé stessa salvo poi virare verso la più adrenalinica storyline della guerra con i Grounders, Rothenberg e soci hanno deciso di dedicare il secondo anno di vita della loro creatura al percorso di crescita dei ragazzi stessi. Non più spaesati liceali in vacanza costretti a difendersi, ma quasi universitari che devono lasciare gli anni della spensieratezza per farsi carico di una irrimandabile maturità. Come appunto in un romanzo di formazione, nessuno dei protagonisti della passata stagione arriva alla fine di questa con lo stesso carattere che aveva all’inizio, ma al contrario tutti raggiungono uno status nettamente diverso da quello che avevamo imparato a conoscere. E, nota sicuramente positiva, questo percorso riesce ad essere avvincente grazie ad una nuova minaccia e ad un nuovo modo di rapportarsi con quelli che erano i villain della passata stagione.
Raggiungere una maturità che significa soprattutto consapevolezza del proprio ruolo. È questa la difficile sfida che si trova ad affrontare Clarke. La responsabile ragazza sempre attenta a cercare il modo più onesto di provvedere al bene dei suoi amici si deve confrontare con il significato di essere un leader scoprendo che comandare è più che essere rispettati. È scegliere cosa è meglio per la tua gente anche se questo dovesse obbligarti a sacrificare le tue stesse convinzioni morali. Significa avere la forza di imporre la tua volontà anche a costo di opporti a chi ti vuole bene (sintomatica quel “sei tu il cancelliere, ma qui sono io a comandare” detto ad una stupita Abby). Vuol dire considerare possibile anche le opzioni più dolorose (come uccidere l’amato Finn) se queste possono essere le uniche ragionevoli. Ed infine avere il coraggio di sopportare il peso di scelte anche crudeli per evitare che siano altri a doverlo fare (ed è significativo che le sue ultime parole siano le stesse pronunciate da Dante Wallace). A guidare Clarke verso questa amara consapevolezza è Lexa, la leader dei Grounders, che solo per un attimo vacilla dal suo ruolo di feroce grillo parlante, mostrando però ad una Clarke verso cui nutre un sentimento amoroso come essere un capo significa anche accettare il tradimento e rinunciare ad ogni tuo desiderio personale. Perché ciò che Lexa ha davvero mostrato a Clarke è che, in fondo, i “good guys” non esistono. Che la bontà ad ogni costo è un lusso che non ci si può permettere in una guerra che può solo finire con la sconfitta di uno dei contendenti perché nessuna pace è possibile. Clarke deve infine scegliere tra l’essere i buoni e l’essere i vincitori e lo fa con rammarico ma senza tentennare. Complimenti anche agli autori qui per avere avuto il coraggio di chiudere la serie senza nessun buonismo, ma anzi calcando la mano con una strage degli innocenti perpetrata da quelli che appunto avrebbero dovuto essere i buoni. E un applauso anche per avere mostrato una eroina con tendenze bisex, cosa che non sarebbe neanche da segnalare se non fosse tanto rara da risultare un’eccezione in un panorama tv che non esita a volte a precipitare in un bigotto tradizionalismo.
Pochi sono i personaggi che si salvano dal vento del cambiamento che ha investito questa seconda stagione di “The 100”. Neanche Jasper che non è più lo scanzonato sbarbatello che pensa solo a divertirsi col suo inseparabile amico Monty. Lasciato solo da Bellamy e Clarke, Jasper si ritrova ad essere il punto di riferimento per i ragazzi intrappolati a Mount Weather e deve lentamente adeguarsi a questo ruolo scegliendo quel che è meglio fare per sopravvivere fino all’arrivo dei salvatori. L’amore per Maya è una spinta ulteriore, ma è soprattutto la fiducia nei pur distanti Bellamy e Clarke che permette a Jasper di maturare fino a guidare la resistenza e provare anche a trasformarsi nell’eroe che salva la situazione uccidendo il leader nemico (tentativo interrotto dall’intervento risolutivo di Clarke, ma comunque notevole per il suo significato). Inevitabile che il nuovo ruolo vada a incrinare un po’ il rapporto con Monty che, pur rimanendo incrollabile, è tuttavia messo a dura prova dalla scelta finale del suo amico di supportare il sacrificio di Maya e degli altri innocenti. Gli unici, forse, a non cambiare molto sono Raven a cui la serie dona un nuovo amore e una accettazione della propria menomazione (in verità alquanto minima a giudicare dalla rapida risoluzione del problema), ma soprattutto Bellamy. Il leader della passata stagione resta, infatti, ancora un leader mettendo però in maggiore luce quei lati onesti della sua personalità che erano prima apparsi solo quando era Clarke a tirarli fuori. Al contrario, Bellamy incarna stavolta in pieno la figura dell’eroe coraggioso che rischia tutto per i propri amici ed accetta anche di vedere Clarke andar via (con buona pace dei fan dei Bellarke) concedendole quel perdono che lei non può accettare.
“The 100” conferma quanto di buono aveva fatto vedere nella prima stagione e permette di aggiungere altri motivi alla lista dei cinque che avevamo fatto tempo fa su queste pagine. Soprattutto, Rothenberg mostra il coraggio di scelte anche impopolari (niente gioia per le shippers) o azzardate (ben due stragi degli innocenti) in quello che è un percorso di formazione inteso a mostrare infine che i “good guys” forse non sono mai esistiti. Ma possiamo accontentarci dei nostri imperfetti eroi.
The 100 - seconda stagione
Bildungsroman
Valutazione Globale
Bellissima recensione e bellissima serie.
Ottima recensione che condivido pienamente, questa serie é cresciuta diventando sempre più “adult” a
dispetto di chi troppo frettolosamente la definita roba da ragazzini. Mi auguro, se ci sarà la 3° stagione,
che si possa fare ancora di più e meglio.