
Taboo: Recensione dell’episodio 1.02
eròe s. m. [dal lat. heros –ōis, gr. ἥρως]. – Nel linguaggio com., chi, in imprese guerresche o di altro genere, dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie.
antieròe s. m. – Personaggio che, polemicamente o no, mostra qualità del tutto opposte a quelle considerate tipiche e tradizionali dell’eroe.
(Treccani)
Altruismo e ricerca del bene, sono questi i principi che sin da quando si è piccini vengono a noi insegnati attraverso le fiabe, i racconti, i film di animazione. Ci viene insegnato che nell’immaginario esistono eroi e cattivi e che, per quanto i secondi rappresentino una minaccia costante, solo i buoni – immacolati, eccezionali, nobili – riescono a vincere. Il bene trionfa sempre e su tutto.
Ma nel tempo impariamo, a nostre spese, che il bianco e il nero non sempre vivono in maniera del tutto distinta e nel mezzo c’è una tale e varia quantità di grigi da far impallidire qualsiasi eroe. E’ così che scopriamo che, nella realtà come nella finzione, anche un buono può agire in maniera contraria ai suoi dettami morali e che un cattivo può avere un animo benevolo.
La linea di confine tra eroi, antieroi e villain diventa quindi sempre più sottile e sempre più trafficata. Il nostro immaginario si riempie di personaggi al limite del bianco e al limite del nero, spinti ad agire dal proprio interesse una volta e dal bene comune un’altra.

Dai primi due episodi di Taboo, il personaggio di James Delaney sembra appartenere a questa categoria di navigatori, a cui è difficile dare un esatto colore. Per quanto l’aspetto (il nero, il fango, lo sguardo fermo) e le azioni possa far convergere l’ago della bilancia per il lato oscuro, le sue intenzioni non paiono del tutto malvagie. Il suo carico esperienziale, di cui comprendiamo per ora piccoli frammenti attraverso le visioni, ha probabilmente portato un giovane di belle speranze quale James era ad alzare il tiro e ad indossare una vigorosa armatura.
Non che i personaggi attorno al protagonista siano da meno. Il mondo in cui Taboo si muove è livido e sporco come la fotografia di Mark Patten. La storia che si profila all’orizzonte è intricata, mette in connessione mondi a loro modo inconciliabili (per interessi e cultura) e i partecipanti al gioco, sempre più numerosi, si muovono guardinghi e consapevoli che il pericolo può bussare da un momento all’altro alla loro porta.
E per quanto l’attenzione sia per tutta la durata dell’episodio concentrata sulla faida che vede anteposti economicamente la Compagnia delle Indie (e l’Inghilterra) e i giovani Stati Uniti d’America, una persona più di tutti potrebbe rappresentare una minaccia al piano di vendetta/riscatto architettato da James. Lorna Delaney, al secolo Lorna Bow, fa il suo ingresso in tribunale reclamando ciò che spetta ad ogni vedova. La sua apparizione cambierà sicuramente le carte in tavola.
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Se Taboo è stata pensata come miniserie di soli 8 episodi, viene da chiedersi se le sei puntate rimanenti riusciranno a dare una giusta soddisfazione a tutte le trame presentate. Fino ad ora la sensazione che si ha è che sia stato raccontato troppo e nulla. Le porte aperte sono numerose e diverse: il periodo di James trascorso in Africa, i rapporti – incestuosi? – con la sorella Zilpha, i conflitti commerciali tra America e Inghilterra, la lotta alla schiavitù, Nootka Sound e la vera identità della madre di James. Senza dimenticare la parte mistica a cui è legato il passato di James, passato che più di ogni altra storyline sembra seguire un cammino davvero prevedibile..
Per quanto tutto questo possa essere visto come le facce di un singolo dado, si spera che Steven Knight riesca a tessere una tela che dia senso e spazio ad ogni storia in maniera decente. Taboo è sicuramente un progetto ambizioso, ma il rischio che si riveli troppo autoreferenziale (non sarà di certo questa serie a farci cambiare opinione su Tom Hardy) è dietro l’angolo e fa paura. Quasi quanto il fantasma di James Delaney.
Nota a margine: si richiede cortesemente più minutaggio per i personaggi di Stephen Graham e Mark Gatiss. Grazie!
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