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Swiss Army Man: la recensione del film con Daniel Radcliffe e Paul Dano

Titolo: Swiss Army Man

Genere: Avventura, Commedia, Drammatico

Anno: 2016

Sceneggiatura e Regia: Daniels (Daniel Kwan, Daniel Scheinert)

Cast: Daniel Radcliffe, Paul Dano, Mary Elizabeth Winstead, Richard Gross, Aaron Marshall

Una piccola isola in mezzo al mare. Un ragazzo sta sistemando la corda con cui ha deciso di togliersi la vita, mentre intona a bassa voce un motivetto. Chiude gli occhi, pensa che quello sarà il suo ultimo respiro, ma li riapre e vede sulla riva un uomo. Si avvicina nella speranza che questo sia ancora vive ma scopre ben presto che lo è. Rammaricato, si lascia andare ad un’intima confessione: gli racconta che non è vero ciò che si dice, che il secondo prima di morire vedi scorrere davanti ai tuoi occhi tutta la tua esistenza. Ma il momento viene però interrotto da gorgoglii e rumori provenienti dalla pancia e dall’ano di quel corpo portato dal mare. Per il ragazzo questa è l’ultima delusione che può sopportare. Prende la cinta del deceduto e tenta una seconda volta di impiccarsi. Richiude gli occhi e mormora la stessa cantilena, ma i peti del morto si fanno sempre più rumorosi. Un susseguirsi di flati porta il corpo a muoversi, letteralmente. Ed ecco l’idea: sfruttare questa atipica situazione per lasciare l’isola. In poche e deliranti parole, cavalcare il morto.

Swiss Army Man: le due anime del film

La storia di Swiss Army Man, inizia proprio così, sintetizzando in pochi minuti le due anime del film: da una parte un profondo e poetico racconto sullo stare al mondo, dall’altra un’infantile ed esilarante trattazione delle più primitive pulsioni umane. Due mondi all’apparenza inconciliabili che i Daniels, il duo composto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert al loro esordio sul grande schermo, fanno incontrare con una naturalezza che risulta per lo spettatore spiazzante e destabilizzante.

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Swiss Army Man
Paul Dano, Daniel Radcliffe in una scena di Swiss Army Man, ora disponibile su Netflix

Partendo da un tema caro alla letteratura come al cinema (non è un caso che il protagonista si chiami Hank, forse un omaggio a quel Tom Hanks che con Cast away ricevette una Nomination agli Oscar come Miglior attore protagonista), i registi costruiscono una pellicola che potrebbe essere classificata come un divertente ed irriverente buddy movie con il defunto, à la Weekend con il morto per intenderci. Eppure questa è solo la superficie di un film che è sì un viaggio, un percorso fisico verso casa, ma nel suo svolgersi è un irrazionale, assurdo, folle peregrinare nell’irrazionale, assurda, folle scatola cranica di Hank.

Swiss Army Man richiede allo spettatore un notevole sforzo mentale – anzi più di uno – ponendo così a priori il suo più grande limite: non è un film per tutti.

Non è un film per chi non riesce a superare i mille atti di profanazione, perché infondo di questo si tratta, che subisce il corpo di Manny, il nomignolo che Hank attribuisce al morto (come Handy Manny, il tuttofare dell’omonimo cartone animato della Disney). Non è un film per chi si aspetta di ridere di gusto delle gag demenziali che i Daniels sciorinano. I peti, le erezioni, le disquisizioni sulle feci non generano risate, ma piuttosto un’amara considerazione sull’imbarazzo che genera vedere, sentire o parlare di tali argomenti, che alla fine appartengono a tutti e definiscono a loro modo il nostro essere vivi o morti.

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swiss army man

Non è un film per chi non riesce ad affidarsi completamente ad una narrazione stralunata e disturbante. Bisogna abbandonare totalmente l’idea che il narratore sia credibile e lasciarci trascinare dal suo racconto. Hank è un ragazzo solo, lo è sull’isola (sempre che ci sia arrivato) o nel bosco, ma lo era ancora di più prima tra i vivi nel mondo civilizzato. Il suo spiegare a Manny come funzionano i rapporti e le relazioni umane, l’amore, la vita e la morte è sempre velato, anche nei momenti più comici, di quella tristezza che solo chi si sente fuori posto può comprendere.

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I suoi deliri non danno solo prova della sua incredibile immaginazione – visivamente molto vicina alla poetica di Michel Gondry – ma manifestano un disagio esistenziale innato, unito ad un desiderio di vivere incrollabile. Perdersi e ritrovarsi, essere divisi tra il desiderio del ritorno a casa e dalle infinite possibilità di questo nuovo mondo, Hank utilizza Manny come una bussola, lo anima dei suoi pensieri, delle sue parole e dei ricordi, lo riporta in vita mentre riporta in vita se stesso.

Se si riesce a superare l’impasse generata da questa inusuale amicizia fondata sulla stramberìa e sul sacrilegio, Swiss Army Man è un film che difficilmente si dimentica. Non ha metri di paragone, non assomiglia a niente di quanto visto finora al cinema. È puro genio, un’incredibile prima opera che si spera possa essere seguita da altrettanti capolavori.

Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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